Grave inadempimento del fornitore e risoluzione del contratto di credito
Sommario: 1. Premessa – 2. Il quadro normativo: il Testo Unico Bancario – 3. La giurisprudenza sul “collegamento negoziale” – 4. Conclusioni
1. Premessa
Immaginiamo che, per acquistare un’autovettura presso una concessionaria, si richieda e si ottenga da un istituto di credito una somma a titolo di finanziamento, da restituire ratealmente, e che, in seguito alla sottoscrizione del contratto di credito[1], la concessionaria stessa (a cui le somme finanziate sono state erogate direttamente dall’istituto di credito) non consegni l’automobile o ne consegni un’altra, diversa dal modello specificamente ordinato.
Oppure, immaginiamo che, per risolvere un problema di salute, si richieda ad un istituto di credito un finanziamento, finalizzato a sostenere i costi dei trattamenti medico-sanitari presso una clinica privata, la quale, tuttavia, dopo essergli state erogate le somme dall’istituto di credito, non inizi le cure o le esegua solo parzialmente, rendendosi inadempiente rispetto alla prestazione medico-sanitaria a cui si era obbligata.
In situazioni simili, il cliente/consumatore[2] si ritroverà, non solo senza il bene o il servizio per i quali ha richiesto il finanziamento, ma anche con una ingente quantità di denaro da restituire all’istituto di credito, maggiorata di oneri, spese e interessi vari.
Tanto premesso, l’obiettivo che si intende perseguire con il presente contributo, è quello di analizzare la normativa che il nostro ordinamento prevede a tutela del cliente/consumatore che, in fattispecie come quelle appena descritte, si ritroverebbe a dover subire un grave danno, a causa dell’inadempimento contrattuale posto in essere da un soggetto “terzo” al contratto di finanziamento, ossia il c.d. “fornitore” del bene o del servizio, ma le cui prestazioni contrattuali sono, come vedremo, “collegate” al contratto di finanziamento stesso.
2. Il quadro normativo: il Testo Unico Bancario
Posto che fatti come quelli appena descritti possano integrare, astrattamente, ed in presenza degli elementi costitutivi previsti dall’art. 640 del codice penale, anche il reato di truffa[3], il presente contributo intende offrire una differente prospettiva al caso concreto, di natura bancaria-civilistica, che trova il proprio fondamento nel D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 e successive modifiche e integrazioni, ossia il “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”, anche conosciuto come “Testo Unico Bancario” (di seguito, per brevità, anche “TUB”).
Il Testo Unico Bancario, da un punto di vista formale, si compone di IX Titoli, per un totale di 162 articoli. Tuttavia, per quel che interessa in questa sede, si andranno ad analizzare brevemente solo le disposizioni normative contenute nel Titolo VI, “Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”[4], Capo II, rubricato “Credito ai consumatori”[5] e, segnatamente, gli artt. 121 e 125-quinquies TUB (con un’attenzione particolare a quest’ultimo, il quale costituisce la norma fondamentale per la soluzione della fattispecie al nostro esame).
Ai fini della presente analisi normativa, da ultimo, si procederà ad un breve richiamo agli artt. 128-quater e 128-undecies, contenuti nel Titolo VI-bis TUB, rubricato “Agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi”[6].
Muovendo, quindi, dal citato art. 125-quinquies TUB[7], vediamo come esso, ai commi 1 e 2, preveda testualmente:
“1. Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile.
“2. La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso”.
In sostanza, tale disposizione normativa prevede – al ricorrere di determinate condizioni – la risoluzione del contratto di credito sottoscritto dal cliente/consumatore con l’intermediario finanziario, in caso di inadempimento da parte del fornitore del bene o del servizio[8], e il conseguente diritto del consumatore al rimborso delle rate già pagate, e di ogni altro onere applicato (ovvero, gli interessi e tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese applicate al contratto di credito).
Le citate condizioni previste per la risoluzione del contratto di credito e il conseguente rimborso al cliente/consumatore delle rate eventualmente già pagate (nonché, come detto, di ogni altro onere applicato) sono le seguenti:
I. che ci si trovi nel campo di applicazione del “contratto di credito collegato”, definito dall’art. 121 lett. d) TUB[9] come il “contratto di credito finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici se ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito”.
In sintesi, quindi, per quanto attiene alla condizione sub. 1), l’art. 121 lett. d) TUB, per “contratto di credito collegato”, intende – alternativamente – quel contratto sottoscritto dal cliente/consumatore, per il tramite di un intermediario del credito ai sensi dell’art. 128-quater TUB[10], ossia il “soggetto che promuove e conclude contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma o alla prestazione di servizi di pagamento, su mandato diretto di intermediari finanziari previsti dal titolo V”[11]; per quanto, invece, attiene alla condizione sub. 2), l’art. 121 lett. d) TUB, richiede – anche, come detto, in alternativa alla condizione sub. 1) – che il bene o il servizio che si intendono finanziare (l’autovettura, o la prestazione medico-sanitaria), siano specificamente indicati nel contratto di finanziamento.
In presenza di almeno una delle due citate condizioni quindi – la cui sussistenza, nelle intenzioni del legislatore, è tale da fornire la prova del “collegamento” tra i contratti – si avrà un contratto di credito collegato, che giustifica, pertanto, l’applicabilità dell’art. 125-quinquies TUB.
II. Che il consumatore abbia messo in mora il fornitore, senza esiti, per grave inadempimento ai sensi dell’art. 1455 del codice civile (“inadempimento di non scarsa importanza”)[12]: in sostanza, il cliente/consumatore – in presenza di un grave inadempimento contrattuale del fornitore del bene o del servizio – dovrà notificare a quest’ultimo, una diffida ad adempiere ex art. 1454 del codice civile e, solo in caso di esito negativo della stessa, procedere per la risoluzione del contratto di credito collegato, sottoscritto con il finanziatore.
Al verificarsi delle condizioni necessarie a configurare un contratto di credito collegato ai sensi dell’art. 121 TUB, pertanto, l’art. 125-quinquies TUB prevede che – con riferimento alla prestazione rimasta ineseguita da parte del fornitore del bene o del servizio (come ad esempio, la mancata consegna dell’autovettura) – le rate (eventualmente) pagate e quella ancora da corrispondere al finanziatore, essendo collegate ad una prestazione (seppure parzialmente) non eseguita da parte del fornitore del bene o del servizio, non sono dovute per difetto funzionale del sinallagma contrattuale.
La risoluzione del contratto di credito non comporta, inoltre, l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi, dal momento che l’art. 125-quinquies TUB, al comma 2 ultimo capoverso, riconosce allo stesso finanziatore il diritto di recuperare tale importo nei confronti del fornitore stesso.
3. La giurisprudenza sul “collegamento negoziale”
Sulla definizione di “collegamento negoziale” si richiama, in primis, la sentenza del Tribunale di Milano del 24.10.2008[13], che ha avuto il merito di approfondire il tema del credito al consumo e del collegamento negoziale.
Il Tribunale di Milano, in sintesi, ha posto l’accento sulla circostanza per cui, nella prassi dei contratti di credito, sono quasi sempre individuabili tre rapporti bilaterali (quello tra soggetto finanziatore e cliente finanziato, quello tra cliente e fornitore del bene o servizio e, da ultimo, quello tra finanziatore e fornitore), i quali indicano l’esistenza tra tali rapporti di un collegamento causale tale per cui “l’esistenza, la validità, l’efficacia, l’esecuzione dell’uno influisce sulla validità, sull’efficacia e sull’esecuzione dell’altro”. Il collegamento tra questi tre rapporti contrattuali, nella sostanza, “attiene alla causa degli stessi. Gli interessi dei tre soggetti coinvolti sono geneticamente intrecciati, in una connessione teleologica per così dire circolare”.
L’accertamento del collegamento negoziale tra il contratto con il fornitore del bene o del servizio ed il contratto di credito va condotto caso per caso, secondo la metodologia interpretativa tipica del collegamento avente natura volontaria che si fonda, prevalentemente, sull’analisi degli interessi delle parti coinvolte. Ciò posto, al cliente/consumatore è consentito, quindi, di chiedere la risoluzione del contratto di finanziamento previa dimostrazione di quel “livello minimo di collegamento negoziale” con il contratto sottoscritto col fornitore.
Sul punto, anche la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la mancata esecuzione della prestazione principale derivante dal contratto collegato al contratto di finanziamento, rende privo di giustificazione il finanziamento stesso e, ad ogni modo, configura in capo al consumatore il diritto di ripetizione delle somme indebitamente versate in favore del fornitore inadempiente (Cass. Civ. n. 19000/2016).
Il collegamento tra i contratti si rileva, in generale, “tutte le volte in cui un contratto presenti un certo nesso con un altro contratto”, anche attraverso la prova della sussistenza di indici rivelatori che palesano l’unicità dell’intera operazione commerciale[14]. Sotto tale aspetto, la definizione che più di altre inquadra il fenomeno in esame è quella che identifica il collegamento negoziale quale operazione economica realizzata da soggetti privati attraverso una pluralità di negozi distinti, i quali, pur mantenendo la propria individualità negoziale, sono legati da un nesso di reciproca, o unilaterale dipendenza, tale per cui le vicende patologiche dell’uno si ripercuotono sull’altro (ex multis Cass. Civ. n. 13164/2007; Cass. Civ. n. 7524/2007).
Il collegamento negoziale, dunque, è ravvisabile – secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità – ogni qual volta due o più negozi, ciascuno dei quali dotato di una propria autonomia strutturale, siano tra loro connessi in virtù di un legame giuridicamente rilevante, al fine di realizzare uno scopo pratico unitario, altrimenti non perseguibile mediante l’adozione dei singoli schemi contrattuali (ex multis Cass. Civ. n. 415/2006; Cass. Civ. n. 4645/1995).
4. Conclusioni
Ai fini del presente contributo, da ultimo, appare utile richiamare due recenti Decisioni dell’Arbitrato Bancario Finanziario[15], Collegio Arbitrale di Roma e, segnatamente, la n. 888 del 22.01.2020 e la n. 1346 del 29.01.2020[16].
La fattispecie sottesa a tali decisioni arbitrali, dalle quali è stato preso lo spunto per la presente analisi, è quella che ha visto come protagonista una società che – in cambio di servizi pubblicitari cui si erano obbligati i clienti/consumatori – prometteva a questi ultimi, attraverso la sottoscrizione di un contratto d’acquisto, il rimborso delle rate del finanziamento finalizzato all’acquisto di un’autovettura; i consumatori avrebbero potuto liberamente scegliere l’automobile da acquistare presso specifiche concessionarie, le quali operavano anche quali intermediari degli istituti di credito finanziatori[17].
In sostanza, il Collegio Arbitrale di Roma, facendo applicazione delle richiamate norme del Testo Unico Bancario, una volta raggiunta la prova del nesso fra i contratti, ha deciso per la risoluzione (parziale) del contratto di finanziamento sottoscritto dal cliente/consumatore con l’istituto di credito, in conseguenza del grave inadempimento posto in essere dalla società fornitrice del servizio[18].
Alla luce di tutto quanto rappresentato, si potrà, quindi, concludere affermando che, in caso di inadempimento (o adempimento parziale) da parte del fornitore del bene o del servizio, potrà ammettersi una pronuncia di risoluzione (anche parziale) sia del contratto di fornitura, che del relativo contratto di credito al consumo.
La risoluzione del contratto di credito comporterà, poi, l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato[19].
[1] L’art. 121 lett. c) TUB definisce il “contratto di credito” come il “contratto con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria”.
[2] L’art. 121 lett. b) TUB definisce il “consumatore” come la “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.
[3] L’art. 640 c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032, a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal comma 2 o la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”.
[4] Rubrica così sostituita dall’art. 4, comma 1, D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141.
[5] Capo così sostituito dall’art. 1 D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141.
[6] Il Titolo VI-bis è stato inserito dall’art. 11, D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141.
[7] Articolo inserito dall’art. 1 D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141.
[8] Nei nostri esempi, “fornitori” sono, rispettivamente, la concessionaria, la clinica o il professionista sanitario.
[9] Articolo così sostituito dall’art. 1 D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141.
[10] Articolo inserito dall’art. 11, D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, come modificato dall’art. 8, D.lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 e dall’art. 6, comma 1, lett. a), D.lgs. 19 settembre 2012, n. 169.
[11] Negli esempi citati all’inizio del presente contributo, intermediari del credito potrebbero anche essere, sia la concessionaria, sia la clinica, se iscritti negli elenchi tenuti dall’ “Organismo” di cui all’art. 128-undecies TUB (articolo, quest’ultimo, inserito dall’art. 11, D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, come modificato dall’art. 6, comma 1, lett. f), D.lgs. 19 settembre 2012, n. 169).
[12] L’art. 1455 c.c. prevede espressamente che: “Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”.
[13] Pubblicata il 06.11.2008 Pres., est. Alda Maria Vanoni.
[14] A titolo meramente esemplificativo, nel caso in cui non sia stato indicato esplicitamente il bene o servizio finanziato ai sensi dell’art. 121 lett. d) sub.2) TUB, indici rivelatori del collegamento potranno essere: la contestualità della sottoscrizione dei contratti; la coincidenza tra l’importo finanziato e il prezzo del bene o del servizio etc.
[15] L’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) è un sistema di risoluzione alternativa delle controversie (ADR – Alternative Dispute Resolution) che possono sorgere tra i clienti e le banche e gli altri intermediari in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari.
[16] Che si possono trovare al seguente link: https://www.arbitrobancariofinanziario.it/decisioni/index.html.
[17] Un caso molto simile ha riguardato un noto franchising di cliniche odontoiatriche, che è risultato inadempiente rispetto alle prestazioni mediche cui si era obbligata contrattualmente nei confronti dei clienti. Questi ultimi, per poter affrontare i costi delle cure mediche, mai prestate o prestate solo parzialmente, avevano dovuto fare ricorso alla stipulazione di gravosi contratti di finanziamento.
[18] Nello specifico, si trattava di un inadempimento relativo alla mancata prestazione di un servizio (il c.d. “wrapping”, cambio adesivi pubblicitari), il cui costo rientrava a pieno titolo nell’importo totale del credito finanziato; accertato tale grave inadempimento, il Collegio di Roma ha deciso per la risoluzione parziale del contratto di credito e il conseguente rimborso al cliente/consumatore dell’importo relativo al costo del servizio rimasto inadempiuto.
[19] Da ultimo, si evidenzia che, ai sensi dell’art. 2946 del codice civile, il cliente/consumatore dovrà agire nel termine di prescrizione ordinaria, che – per i diritti nascenti da obbligazioni contrattuali – è stabilito in dieci anni dal giorno in cui si è verificato l’inadempimento, ovvero dal giorno in cui sia stato leso il proprio diritto a ricevere il bene o il servizio, di cui si dovrà, in ogni caso, dare rigorosa prova in giudizio (il quale potrà instaurarsi con ricorso all’Arbitrato Bancario Finanziario oppure, in caso di esito negativo, attraverso un ordinario processo civile).
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Iscritto all’Albo degli Avvocati di Rieti dal gennaio 2021. Si occupa principalmente di diritto civile e penale. Collabora da circa cinque anni con studi legali dall’esperienza pluriennale in materia civile e penale, i quali prestano la propria attività anche in favore di importanti aziende, istituti di credito ed enti pubblici. Ha avuto modo di sviluppare e consolidare conoscenze e competenze nei settori del diritto delle relazioni familiari, delle persone e dei minori, diritti reali, di proprietà, delle locazioni e del condominio, diritto successorio, diritto dell’esecuzione forzata, diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, diritto bancario e finanziario, diritto del lavoro, sindacale, della previdenza e dell’assistenza sociale, oltre che nella contrattualistica privata e d’impresa, avendo prestato attività anche in favore di importanti società che lavorano e collaborano con intermediari bancari, finanziari e aziende di primaria importanza. Dall'aprile 2021 collabora come autore di pubblicazioni in materia giuridica con la Rivista scientifica "Salvis Juribus".