Green Pass e ambito di lavoro: la dignità umana è in bilico?
La pandemia da Covid-19 ha rappresentato una grande sfida per il mondo del lavoro.
A partire dal 15 ottobre scorso, il D.L. n. 127/2021 ha imposto il possesso del c.d. green pass per l’accesso nei luoghi di lavoro pubblici e privati da parte di tutti i lavoratori in forza presso aziende, enti pubblici e che espletino attività di formazione e volontariato.
Il neo D.L., approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 24 novembre 2021, contempla una serie di misure di contenimento della “quarta ondata” della pandemia, distinguendole in quattro ambiti: obbligo vaccinale e terza dose (a decorrere dal 15 dicembre 2021); estensione dell’obbligo vaccinale ad altre categorie; istituzione del Green pass rafforzato; rafforzamento dei controlli e campagna promozionali sulla vaccinazione.
Da qui prende le mosse la diatriba sulla legittimità costituzionale dell’obbligo del green pass nell’ambito lavorativo.
È opportuno chiedersi – a parere di chi scrive – se il green pass rispetti il principio del bilanciamento tra diritti, libertà e principi fondamentali che la giurisprudenza costituzionale pone a fondamento della proporzionalità delle misure legislative, anche ove prevedano trattamenti differenziati, e se tale principio possa subire deroghe nelle vicende emergenziali.
A tale proposito, occorre prestare attenzione alla sentenza n. 85/2013 riguardante il caso ILVA, dalla quale scaturisce la teoria del c.d. diritto del tiranno, incentrata sul rapporto tra diritto alla salute, tutela del lavoro e produzione economica.
Nella predetta pronuncia, la Consulta statuisce che “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri”.
In piena emergenza sanitaria, tale punto è stato ripreso e sviluppato dall’allora Presidente della Marta Cartabia nella Relazione annuale del 2019 della Corte costituzionale del 28 aprile 2020, la quale ha evidenziato come nella Costituzione “non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell’assetto dei poteri”.
Accertata l’impossibilità di predisporre una gerarchia tra i diritti fondamentali, appare naturale il venir meno del principio di precauzione della Salus Rei Pubblicae, posto a base della presunzione assoluta di prevalenza del diritto alla salute sugli altri diritti.
Occorre poi interrogarsi sulla finalità della normativa che consacra il green pass.
Quest’ultimo sembrava essere mosso dall’intento di limitare la divulgazione del contagio.
Nella pratica, l’esortazione alla vaccinazione ha assunto le forme di un obbligo indiretto, e nell’ambito lavorativo, di una sospensione dell’obbligazione retributiva, pur in assenza della volontà della parte di interrompere il rapporto.
E’ palese che l’esortazione alla vaccinazione aggiri l’art. 32 Cost., per il quale solo una legge ovvero un decreto legge possono ammettere un trattamento sanitario obbligatorio.
In mancanza di un obbligo vaccinale per tutte le categorie, il green pass implica senza alcun dubbio un trattamento differenziato tra vaccinati e non vaccinati in ordine all’accesso alle sedi di lavoro.
L’assenza di tale obbligo – ad avviso di chi scrive – non giustifica un trattamento differenziato in ragione del libero esercizio di un proprio diritto.
È necessario precisare che la differenza di trattamento non può essere superata intravedendo nel tampone un valido mezzo alternativo alla vaccinazione, in quanto il primo presenta una validità circoscritta.
Il fine prefissato, nonché quello di sollecitare la ripresa dell’economia in sicurezza e nel rispetto delle garanzie costituzionali del diritto al lavoro e della libertà di impresa, viene apertamente aggirato nel punto in cui il D.L. n. 127/2021 introduce una disparità di trattamento coinvolgente la categoria dei lavoratori privati: gli imprenditori con più di 15 dipendenti non possono sostituire i lavoratori presunti assenti; al contrario, gli imprenditori con meno di 15 dipendenti hanno la facoltà di sospendere i lavoratori privi di green pass.
In definitiva, l’esortazione alla vaccinazione risulta legittima solo se accostata da ulteriori strumenti alternativi ed equivalenti idonei a contenere la propagazione del contagio.
Da tale scenario emerge – a parere di chi scrive – una lesione della dignità umana, centro di gravità della democrazia costituzionale. Con ciò non si vuole sminuire la portata del vaccino; in tale sede, infatti, esso trova pieno accoglimento.
Il segreto risiede nel distinguere le due situazioni e agire di conseguenza.
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Dott.ssa Luana Leo
La dottoressa Luana Leo è dottoranda di ricerca in "Teoria generale del processo" presso l'Università LUM Jean Monnet.
È cultrice di Diritto pubblico generale e Diritto costituzionale nell'Università del Salento.
Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso il medesimo ateneo discutendo una tesi in Diritto Processuale Civile dal titolo ”Famiglie al collasso: nuovi approcci alla gestione della crisi coniugale”.
È co-autrice dell'opera "Il Presidente di tutti".
Ha compiuto un percorso di perfezionamento in Diritto costituzionale presso l´Università di Firenze.
Ha preso parte al Congresso annuale DPCE con una relazione intitolata ”La scalata delle ordinanze sindacali ”.
Ha presentato una relazione intitolata ”La crisi del costituzionalismo italiano. Verso il tramonto?” al Global Summit ”The International Forum on the Future of Constitutionalism”.
È stata borsista del Corso di Alta Formazione in Diritto costituzionale 2020 (“Tutela dell’ambiente: diritti e politiche”) presso l´Università del Piemonte Orientale.
È autore di molteplici pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifiche in materia.
Si occupa principalmente di tematiche legate alla sfera familiare, ai diritti fondamentali, alle dinamiche istituzionali, al meretricio, alla figura della donna e dello straniero.
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