I batteri non riconoscono il nemico (Tesi di laurea)
I batteri non riconoscono il nemico
(clicca sul titolo per scaricare la tesi di laurea)
a cura di Giuseppina Tuzza
La tesi presenta l’altro volto della guerra batteriologica.
La non controllabilità di un’arma, che pertanto rientra nella più ampia problematica dell’uso delle armi non convenzionali, necessita di attenzione sotto il profilo degli effetti tediali che ne potrebbero scaturire dall’eventuale utilizzo. La questione della manipolazione genetica per usi militari sta assumendo sempre maggiore rilievo ed è inquietante la collaborazione industria-struttura militare che vede sempre più ingenti investimenti al fine di sperimentare nuove armi. Non solo. Perché la realtà attuale propone un condizionamento biologico e mentale come forme di assoggettamento, anche in termini di panico e di disturbo post-traumatico da stress, a fronte di armi che stanno diventando sempre più qualcosa di esterno fino ad approdare a nuove forme di uomini e, quindi, nuove forme di soldati.
La presente tesi, infatti, analizza la figura del soldato bio-tech, ossia il corpo non più solo come soggetto, quanto piuttosto come oggetto di nuove tecnologie, di nuovi spazi, di nuove sperimentazioni, insomma il corpo come arma. Se da un lato la guerra batteriologica è sempre esistita (frecce avvelenate, coperte di vaiolo, ecc.), dall’altro lato le nuove tecnologie sono sempre più complesse, meno controllabili e più alla portata di tutti. L’emergenza è, quindi, il timore che lo spietato terrorismo che angoscia i nostri giorni, possa accedervi e farne uso.
E allora le Convezioni internazionali prese in esame hanno un ruolo fondamentale. Tuttavia, come sarà meglio illustrato nella tesi in esame, tali convenzioni (Protocollo di Ginevra, BWC, ecc.) o sono obsolete oppure dovrebbero essere adeguate. E’ opportuno un dibattito serio che tenga conto delle nuove questioni collegate al potenziamento umano e genetico, al fine di predisporre un efficace organigramma costituito da una rete di prevenzione e di sicurezza. Il pericolo perviene proprio dalla scienza, in quanto la minaccia non è il batterio in sé, ma rientra nel campo di chi li manipola, nella ricerca dual-use e nell’applicazione delle biotecnologie.
Si è messo in luce come il bioterrorismo sia una minaccia relativamente recente per la popolazione globale e che ha ereditato il patrimonio cognitivo di conoscenze e di abilità operative dalla guerra biologica, la quale, da parte sua, ha visto nell’arma biologica una plausibile opzione per uso militare anche per le caratteristiche conseguenze gravi e temibili avvertite dalla popolazione sulla salute pubblica. È, comunque, anche emerso che, benché copiose testimonianze affermino che nel corso del tempo sono state perfezionate armi biologiche letali o incapacitanti, potenzialmente prodotte in elevata quantità e disperse nell’ambiente allo scopo di infettare un gran numero di avversari, non vi sono, però, episodi che confermino un loro possibile utilizzo ad opera degli Stati durante il secolo scorso. Neppure da parte dei regimi dittatoriali più feroci, probabilmente perché i batteri non riconoscono il nemico, quindi di fronte all’inadeguata capacità di far fronte ai rischi di un attacco batteriologico, tali da interessare in primis proprio gli utilizzatori in ragione del loro difficile controllo, la remora è la strategia migliore.
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