I caratteri dell’atto di destinazione in caso di vincoli creati reciprocamente tra più parti

I caratteri dell’atto di destinazione in caso di vincoli creati reciprocamente tra più parti

Sommario: 1. L’origine anglosassone del negozio di destinazione – 2. I caratteri dell’atto di destinazione – 2.1. Revocabilità – 2.2. Gratuità – 2.3. Unilateralità.

L’art. 39-novies della L. 23 febbraio 2006, n. 51, di conversione del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, ha introdotto nel libro sesto, titolo I, capo I, del codice civile, l’art. 2645-ter e contestualmente, nel nostro ordinamento, il negozio di destinazione, noto al grande pubblico come “trust all’italiana”. La norma, rubricata “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche consente di vincolare al perseguimento degli scopi di cui all’art. 1322, c. 2, c.c., beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, sebbene per un periodo non superiore a novant’anni o alla durata della vita della persona fisica beneficiaria; l’atto di destinazione, da redigersi nella forma dell’atto pubblico, è soggetto a trascrizione (da qui la collocazione della norma) ai fini dell’opponibilità ai terzi. Per la realizzazione degli obiettivi ai quali il vincolo è preordinato può agire tanto il conferente quanto, anche durante la vita dello stesso, qualsiasi interessato.

1. L’origine anglosassone del negozio di destinazione

Il negozio di destinazione trae ispirazione dal trust, istituto di origine anglosassone riconosciuto nell’ordinamento giuridico italiano per effetto della ratifica della Convenzione de l’Aja dell’1 luglio 1985 con L. n. 364 del 1989, caratterizzandosi come una particolare figura dello stesso, destinata a realizzare interessi meritevoli di tutela a favore di persone disabili, pubbliche amministrazioni o altri soggetti (Cass. civ., sez. V, sent. n. 22758 del 12 settembre 2019). Il trust, nella definizione data dall’art. 2 della citata Convenzione, produce effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni coinvolti, ed è un rapporto giuridico istituito da un settlor (con atto inter vivos o mortis causa, quindi anche per testamento, con efficacia dopo la morte del disponente), il quale pone dei beni sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico; nell’ambito di siffatta figura, il trustee, come il beneficiario, possono essere individuati in soggetti terzi ma pure nello stesso disponente, realizzando in tale ultimo caso il c.d. trust autodichiarato. Il trust, come il patrimonio destinato ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. è in sé privo di personalità giuridica, mentre è il trustee ad avere la legittimazione ad intrattenere rapporti con i terzi (altresì dal punto di vista processuale), nella sua veste di gestore, formale intestatario dei beni ed esercente in proprio dei diritti correlati.

2. I caratteri dell’atto di destinazione

2.1. Revocabilità

Dispone l’art. 2645-ter, ultimo periodo: “I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo”.

La stipula del negozio determina la creazione, da parte del conferente, di un patrimonio separato, sottratto alle azioni esecutive dei creditori generali dello stesso, ovvero di quelli nei cui confronti il disponente ha assunto obbligazioni non riferibili al vincolo, ed è dunque idoneo a pregiudicare le ragioni dei creditori con effetti dotati del carattere di realità, come confermato dalla sua assoggettabilità alla trascrizione. L’idoneità del negozio a determinare siffatto pregiudizio lo rende suscettibile di azione revocatoria ordinaria (Cass. civ., sez. III, sent. n. 29727 del 15 novembre 2019).

2.2. Gratuità

L’atto di destinazione di un bene alla soddisfazione di interessi meritevoli di tutela è per sua natura connotato da gratuità, al pari degli ulteriori negozi aventi struttura similare (destinazione di beni al fondo patrimoniale di cui all’art. 167 ss. c.c., pure stipulato da entrambi i coniugi; trust e trust familiare, tutte fattispecie in relazione alle quali la Corte statuiva nel medesimo senso). Difatti, a fronte del sacrificio posto in essere dal disponente, egli non riceve alcun beneficio inquadrabile come controprestazione sinallagmatica, né alcuna attribuzione corrispettiva. La caratteristica della gratuità non viene meno neppure quando, come nell’ipotesi peculiare affrontata dalla Suprema Corte, il negozio sia realizzato nell’ambito di un atto pubblico dal contenuto più esteso, e nel quale siano posti ulteriori atti di destinazione da parte di altri soggetti partecipanti al contesto documentale, quand’anche tali atti ulteriori siano reciproci -nei confronti del disponente del primo. La vicendevolezza degli atti (per cui ciascun costituente è al contempo beneficiario), infatti, non si identifica con la causa, la funzione economica individuale del negozio, il quale rimane indipendente dagli altri della stessa specie, realizzati dai familiari coinvolti nell’atto notarile senza alcuna corrispettività.

La gratuità dell’atto produce conseguenze sui presupposti di accoglimento dell’azione revocatoria: l’art. 2901 c.c., nell’attribuire al creditore il potere di domandare la declaratoria d’inefficacia relativa degli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore ne pregiudichi i diritti, richiede, in aggiunta all’aspetto oggettivo dell’eventus damni, pure un elemento subiettivo, il consilium fraudis del debitore e la scientia damni del terzo, vale a dire la consapevolezza da parte di questo del pregiudizio o la sua partecipazione alla sua dolosa preordinazione. Tale aspetto della soggettività del terzo (art. 2901, c.1, n. 2, c.c.), peraltro, è presupposto della revoca solo ove l’atto di disposizione abbia carattere oneroso, come disposto dalla stessa norma.

2.3. Unilateralità

Il negozio si limita a vincolare un bene alla realizzazione di esigenze meritevoli, senza che risulti mutato il proprietario dello stesso; non dà vita ad un rapporto contrattuale tra il disponente e i beneficiari, tant’è che gli stessi potrebbero pure non essere individuati (l’individuazione è consentita pure in un momento successivo): di conseguenza, quando più negozi di destinazione sono contenuti in un medesimo atto pubblico, gli stessi rimangono tra loro distinti, ed accomunati solo dall’occasionale comune sede. Nulla vieta, in verità, che il vincolo di destinazione sia originato da atti di natura bilaterale o plurilaterale, e quindi contrattuale, come nel caso in cui la sua creazione venga accompagnata dal trasferimento del diritto dominicale sul bene; ciò deve nondimeno emergere dall’atto che, in concreto, viene in rilievo, esaminandone la causa specifica e avendo attenzione alla volontà delle parti, dato che la regola enunciata dai Giudici del Palazzaccio rimane l’unilateralità del negozio, il quale si perfeziona e produce i suoi effetti per mezzo della manifestazione di volontà di un solo soggetto, senza necessitare la convergenza di più parti-centri d’interesse a formare proposta e accettazione (Cass. civ., sez. III, ord. n. 3697 del 3 febbraio 2020).


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Laura Muscolino

Laura Muscolino è nata nel 1991 a Messina, dove risiede. Diplomata al Liceo Classico F. Maurolico, si laurea con lode in Giurisprudenza Magistrale all'Universitá degli Studi di Messina nel luglio 2019. Durante il corso di laurea ha partecipato al Festival del diritto di Piacenza, ed. 2014, ed effettuato il tirocinio curriculare di cui al D.M. 270/04 presso la Procura della Repubblica di Barcellona P.G.; attualmente svolge il tirocinio ex art. 73, d.l. 69/13 presso il Tribunale di Messina, dove si occupa di diritto civile.

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