I codici di comportamento delle pubbliche amministrazioni: contenuto e valore giuridico dopo la legge 190/2012
La legge n. 190 del 2012 ha riscritto l’art. 54 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevedendo l’adozione di nuovi codici di comportamento per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Invero, è stato predisposto un modello secondo cui a un codice generale se ne addizionano altri adottati dalle singole amministrazioni, i quali sono finalizzati a integrare e specificare i contenuti del primo.
In attuazione al disposto normativo in questione, nel 2013 con il D.P.R. n. 62, è stato approvato il “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici” che rappresenta la base minima su cui devono fondarsi i codici comportamentali delle singole amministrazioni al fine “… di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico”.
Con la riforma, pertanto, si sono avute importanti novità a livello contenutistico considerato che le amministrazioni tramite i codici di comportamento, oggi, hanno l’obbligo, e non più la mera facoltà, di integrare e specificare le previsioni del codice generale.
I codici amministrativi, infatti, rispetto al c.d. codice nazionale hanno come scopo quello di individuare specifici doveri di comportamento del personale della p.a. tenendo in considerazione, in particolare, le funzioni attribuite alla stessa e la relativa organizzazione.
E’ inappropriata, pertanto, la prassi tenuta da diverse amministrazioni di riprodurre con il codice amministrativo i contenuti del codice nazionale in quanto il primo, ribadendo la vigenza e la vincolatività del secondo, dovrebbe chiarire quali sono le disposizioni del codice nazionale da rispettare ai sensi del D.P.R. n. 62 del 2013 e quali, invece, sono da ritenersi nuove e aggiuntive.
Per quanto riguarda il valore giuridico dei codici di amministrazione, in passato, si è avuto un quadro normativo confuso che ha generato incerte interpretazioni. Vi era, infatti, chi li associava ai codici di comportamento rilevanti ai fini disciplinari e chi, invece, riteneva che avessero solo una valenza etica.
L’art. 54, al comma 3, ha espressamente previsto che la violazione degli stessi è fonte diretta di responsabilità disciplinare. E’, pertanto, esclusa la natura meramente morale o deontologica dei codici in questione stante l’immediata applicazione di sanzioni a carattere disciplinare nel caso in cui venisse infranta una loro disposizione.
Ciò è, altresì, confermato dall’ultimo periodo del comma in esame che, facendo riferimento ad alcune ipotesi specifiche, prevede che le <<violazioni gravi o reiterate del codice … >> comportino come extrema ratio l’applicazione della sanzione del licenziamento di cui al d.lgs. n. 150 del 2009.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Marta De Leucio
Laureata con lode presso l'Università degli Studi di Siena.
Ha conseguito l'abilitazione alla professione di Avvocato presso la Corte di Appello di Firenze nel 2014.
Diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università degli Studi di Siena.
Autrice di vari contributi su riviste giuridiche on line.
Ha conseguito, rispettivamente, nel 2011 e nel 2016 il Master in Comunicazione Istituzionale presso l'Università "Tor Vergata" nonchè, quello in Amministrazione e Governo del Territorio presso l'Università" Luiss" di Roma .
Nel 2011 ha frequentato il corso di perfezionamento e specializzazione per Mediatore civile e Commerciale organizzato dall'Università degli Studi di Siena.
Vanta numerosi incarichi professionali presso Pubbliche Amministrazioni, Enti locali e Società di servizi.
Ad oggi è, altresì, responsabile della sede Confconsumatori di Avellino.
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