I colloqui dei detenuti al 41-bis con Skype for business

I colloqui dei detenuti al 41-bis con Skype for business

Cass. Pen., sez. I, sentenza 11 agosto 2020, n. 23819

La vicenda. Un detenuto ex art. 41-bis Ord. Pen. chiedeva di essere autorizzato ad effettuare un colloquio in video-collegamento con la propria moglie, all’epoca sottoposta a misura di prevenzione e impossibilitata a recarsi in quell’Istituto.

Il Magistrato di Sorveglianza rigettava il reclamo sul presupposto che l’art. 16 della circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria n. 3676/6126 del 2/10/2017 non contemplava tale forma di colloquio fra detenuti e familiari in libertà; tanto più che anche la nota in data 11/7/2017 del D.A.P. aveva chiarito che il sistema della videoconferenza era utilizzato solo per la partecipazione dei detenuti agli impegni di giustizia, con la modalità della partecipazione dell’udienza a distanza ex art. 146-bis disp. att. c.p.p..

Avverso il predetto provvedimento il detenuto propose reclamo davanti al Tribunale di sorveglianza di Roma, il quale, con ordinanza in data 16/1/2020, lo accolse valorizzando il diritto di ciascun detenuto ad effettuare colloqui con i propri familiari, diritto di diretta derivazione costituzionale.

Secondo il Tribunale, infatti, è possibile fare ricorso al collegamento a distanza mediante la piattaforma Skype for business, da ritenersi quindi sufficientemente sicura per contemperare il diritto al colloquio con le esigenze di tutela della collettività. Del resto questo strumento informatico è stato anche recentemente sperimentato per i detenuti in regime di c.d. media sicurezza, ed è risultato perfettamente controllabile e gestibile dal personale penitenziario.

Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Ministro della Giustizia, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 41-bis Ord. Pen., comma 2-quater, lett. a) e b) e art. 18 Ord. Pen.

La decisione. Un consolidato orientamento giurisprudenziale qualifica i colloqui visivi come un fondamentale diritto del detenuto alla vita familiare e al mantenimento di relazioni con i più stretti congiunti, riconosciuto da numerose disposizioni dell’ordinamento penitenziario, quali gli artt. 28 Ord. Pen., secondo cui “particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare, o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie“; art. 18, comma 3, che riconosce “particolare favore (…) ai colloqui con i familiari“; 1, comma 6, e 15 Ord. Pen. (i quali collocano i colloqui nel trattamento, attribuendo loro rilevanza anche ai fini dell’attività di recupero e rieducazione del condannato); D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 61, comma 1, lett. a) e art. 73, comma 3, il quale contempla il mantenimento del diritto ai colloqui con i familiari anche in caso di sottoposizione del detenuto alla sanzione disciplinare dell’isolamento con esclusione dalle attività in comune (cfr. Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Trigila, Rv. 262417; Sez. 1, n. 47326 del 29/11/2011, Panaro, Rv. 251419; Sez. 1, n. 33032 del 18/4/2011, Solazzo, Rv. 250819; Sez. 1, n. 27344 del 28/5/2003, Emmanuello, Rv. 225011; Sez. 1, n. 22573 del 15/5/2002, Valenti, Rv. 221623; Sez. 1, n. 21291 del 3/5/2002, Floridia, Rv. 221688). Un diritto che, peraltro, presenta un saldo radicamento sul piano costituzionale (cfr. gli artt. 29, 30 e 31 Cost. posti a tutela della famiglia e dei suoi componenti) e convenzionale (v. l’art. 8, Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, il quale stabilisce che “ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare…“, sicché le limitazioni all’esercizio di tale diritto devono essere previste dalla legge e devono essere giustificate da esigenze di pubblica sicurezza, di ordine pubblico e prevenzione dei reati, di protezione della salute, dei diritti e delle libertà altrui).

Ne consegue che il diritto ai colloqui è pacificamente riconosciuto anche ai ristretti sottoposti al regime differenziato dell’art. 41-bis Ord. Pen., ai quali, pure, si applicano disposizioni restrittive in relazione al numero dei colloqui e alle relative modalità di svolgimento, senza che però possa impedirsi al detenuto di accedervi. Così, l’art. 41-bis Ord. Pen. prevede, al comma 2-quater, lett. b), che esso sia svolto in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti e che in caso di mancata effettuazione di colloqui personali, possa essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto, solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di 10 minuti sottoposto, comunque, a registrazione.

Dunque, come già per i detenuti ordinari, anche per quelli sottoposti al regime differenziato, la legge penitenziaria e il relativo regolamento di esecuzione stabiliscono che i contatti con i familiari si realizzino secondo due modalità fondamentali: in presenza degli interlocutori o con il mezzo del telefono.

Tuttavia, l’evoluzione tecnologica ha reso possibile nuove forme di comunicazione a distanza, consentendo, per quanto qui di interesse, il ricorso a modalità di collegamento audio e video che consentono di riprodurre, accanto alla voce dei conversanti, anche la loro immagine (cd. videochiamate).

Di fronte a tali novità tecnologiche, la giurisprudenza, anche di legittimità, ha assunto posizioni non univoche, talvolta ammettendo anche per i detenuti sottoposti al regime differenziato i colloqui visivi con i familiari mediante forme di comunicazione a distanza (Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Trigila, Rv. 262417), talaltra accedendo alla soluzione negativa, in ragione della mancanza di un’espressa disciplina normativa che individuasse i presupposti della comunicazione a distanza e che dettasse una specifica regolamentazione delle modalità esecutive e delle relative coperture di spesa (Sez. 1, n. 16557 del 22/3/2019, c.c. Sassari, Rv. 275669).

Secondo la stessa Amministrazione penitenziaria le forme di comunicazione a distanza devono essere, comunque, ricondotte nell’alveo dei “colloqui visivi”, dei quali condividono qualificazione giuridica e modalità esecutive, secondo quanto stabilito, per i detenuti inseriti nel circuito della cd. media sicurezza, dalla circolare DAP del 29 gennaio 2019, n. 0031246U, che ha emanato delle linee-guida rivolte a tutte le direzioni degli istituti penitenziari, con un manuale tecnico-operativo per agevolare la procedura telematica di video-chiamata tramite la piattaforma Skype for business.

Ne consegue che, per i detenuti sottoposti al regime ordinario, la relativa disciplina – per quanto riguarda l’individuazione degli organi competenti all’autorizzazione, il numero e la durata dei collegamenti audio-visivi, nonché le modalità di controllo – è stata individuata in quella dettata dall’art. 18 Ord. Pen. e D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 37 (cd. regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario). La possibilità di consentire il ricorso, da parte dei detenuti, a questa particolare forma di comunicazione è stata condivisibilmente giustificata dall’Amministrazione penitenziaria con l’esigenza di “facilitare le relazioni familiari nelle strutture penitenziarie“. È, infatti, notorio che assai frequentemente i congiunti del detenuto si trovino nella impossibilità di effettuare i colloqui in ragione della distanza dal luogo in cui quest’ultimo è ristretto; sicché tale innovativa forma di comunicazione è stata individuata, dalla stessa Amministrazione, come un rilevante strumento per garantire l’effettività del diritto in questione.

Una esigenza che il D.L. 10 maggio 2020, n. 29, dettato per la gestione della cd. emergenza Covid-19, ha inteso parimenti perseguire attraverso la previsione della possibilità per i condannati, gli internati e gli imputati di svolgere “a distanza” i colloqui con i congiunti (o con gli altri soggetti cui hanno diritto), mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’Amministrazione penitenziaria e minorile ovvero mediante corrispondenza telefonica, autorizzabile oltre i limiti dell’art. 39, comma 2, reg. esec. e del D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, art. 19, comma 1. Una disciplina che, seppur temporalmente circoscritta, non distingue tra i detenuti cui è riferibile e che, dunque, ben potrebbe essere ritenuta applicabile anche al caso di coloro che siano assoggettati al regime penitenziario differenziato.

Le considerazioni che precedono, segnalano, perciò, da un lato, l’esistenza di un diritto alla realizzazione del colloquio e, dall’altro lato, si inseriscono nel contesto di una disciplina, certamente più restrittiva, disegnata per i detenuti sottoposti al regime differenziato, che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto compatibile con la Carta fondamentale nei limiti in cui le deroghe al regime ordinario siano strettamente connesse a non altrimenti gestibili esigenze di ordine e di sicurezza (v. Corte Cost., 5 dicembre 1997, n. 376), atteso che, diversamente, le misure derogatorie del regime ordinario acquisterebbero un significato diverso, divenendo ingiustificate, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale (così Corte Cost., 14 ottobre 1996, n. 351 e, più recentemente, Corte Cost., 5 maggio 2020, n. 97). E sulla stessa lunghezza d’onda, anche la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “quella della congruità tra misura e scopo costituisce una declinazione del principio di proporzione, rispetto al quale la stessa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo richiede che le misure incidenti sulle libertà riconosciute dalla convenzione Europea dei diritti dell’uomo debbano, per poter essere considerate legittime, perseguire un fine legittimo; essere idonee rispetto all’obiettivo di tutela; risultare necessarie, non potendo essere disposte misure meno restrittive e parimenti idonee al conseguimento dello scopo; non realizzare un sacrificio eccessivo del diritto compresso” (Sez. 1, n. 43436 del 29/5/2019, Gallucci, non massimata).

Nel caso di specie, inoltre, <<…è la stessa ordinanza impugnata a rimettere all’Amministrazione penitenziaria la scelta relativa alle concrete modalità esecutive nell’ambito di un ventaglio articolato di possibilità operative, tutte peraltro già esistenti, al fine di consentire alla Direzione dell’Istituto di individuare la modalità compatibile con le cennate esigenze di sicurezza, certamente affrontabili con semplici accorgimenti organizzativi costituenti comune patrimonio di conoscenza. Infatti, rispetto a quanto dedotto dall’Amministrazione in ordine al rischio di illecite captazioni, non può non rilevarsi come la video-chiamata, utilizzando la rete intranet del Ministero della giustizia, soddisfi le paventate esigenze di sicurezza, trattandosi di modalità validata tecnicamente dal Servizio Informatico Penitenziario della Direzione Generale del Personale e delle Risorse del D.A.P. e dalla DGSIA (cfr. pag. 2 Circolare del 30 gennaio 2019). Inoltre, per quanto attiene alle problematiche di documentazione della conversazione a distanza, la video-chiamata può essere notoriamente registrata attraverso l’applicazione indicata nel provvedimento e nella richiamata circolare del D.A.P. (Skype for business) o altra equivalente, venendo generato un file temporaneo che, collocato in una cartella presente sul computer utilizzato per la comunicazione, può essere successivamente masterizzato e custodito (per essere poi inviato, a richiesta, alla Direzione Distrettuale Antimafia o ad altra autorità giudiziaria che dovesse avere la necessità di accedere alla comunicazione)…>>.

Ancora: come per i detenuti della media sicurezza, le importantissime esigenze di controllo sulle modalità di svolgimento della conversazione possono essere soddisfatte attraverso l’esercizio della vigilanza “da remoto” da parte dell’operatore penitenziario, il quale, in caso di comportamenti non consentiti, potrebbe interrompere immediatamente la chiamata; e con specifico riferimento al caso in esame, la circostanza che entrambi i colloquianti possano accedere alla piattaforma di comunicazione solo dall’ambiente carcerario in cui si trovano ristretti, rende evidente l’insussistenza di rischi collegati alla presenza di terzi o a comportamenti “non controllabili” del familiare ammesso al colloquio visivo da remoto. Inoltre, sempre secondo le regole previste dalla circolare del 30 gennaio 2019, n. […] con riferimento le video-chiamate effettuate dai detenuti inseriti nel circuito della cd. media sicurezza, potrebbe essere effettuata la contabilizzazione delle chiamate eseguite dai detenuti sottoposti al regime differenziato, sicché anche su tale piano non vi sarebbe alcuna specifica controindicazione, diversamente da quanto, ancora una volta, prospettato dall’Amministrazione ricorrente.

Sotto altro profilo, la Suprema Corte osserva che <<…lo stesso Ministero fonda le proprie riserve in ordine alla possibilità di effettuare le video-chiamate sull’assenza di un regolamento in grado di uniformare le relative modalità esecutive tra i vari istituti penitenziari (per un’analoga osservazione v. Sez. 1, n. 16557 del 22/3/2019, citata). E tuttavia, in disparte la circostanza che l’assenza di una regolamentazione uniforme è imputabile essenzialmente all’inerzia dell’Amministrazione che la denuncia come necessaria, è la stessa affermazione della sua indispensabile adozione a rivelare la piena legittimità del ricorso alle videochiamate, pacificamente non impedito dalla legge penitenziaria e, quindi, eseguibile attraverso l’adozione di semplici misure organizzative attraverso le quali garantire l’effettività del diritto al colloquio…>>.

In proposito, va, infatti, rimarcato come il ricorso a tale modalità di svolgimento dei colloqui sia funzionale a rendere possibile l’esercizio del diritto nei casi in cui esso non potrebbe essere altrimenti garantito, dovendo, dunque, la videoconferenza essere circoscritta alle situazioni di impossibilità o, comunque, di gravissima difficoltà ad effettuare il colloquio in presenza, come appunto segnalato nel caso in esame, essendo entrambi i coniugi ristretti in regime di art. 41-bis Ord. Pen. e non avendo avuto la possibilità di effettuare colloqui da oltre quattro anni.


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