I contratti della crisi coniugale e la loro qualificazione giuridica
I “contratti della crisi coniugale” sono definiti da autorevole dottrina come accordi atipici volti al miglior soddisfacimento dell’interesse del minore e del coniuge debole, la cui legittimità è da ricondurre alla libertà negoziale operante all’interno della famiglia.
Le pattuizioni in esame sono soggette a limitazioni imposte dall’ordinamento ai fini della tutela di interessi pubblicistici.
Nell’ambito di questa breve trattazione, concernente la crisi del rapporto matrimoniale, l’attenzione sarà focalizzata sugli accordi raggiunti dai coniugi, trasfusi nel verbale di separazione o di divorzio, la cui efficacia è subordinata al controllo da parte dell’Autorità giudiziaria.
Tali figure negoziali si caratterizzano per un contenuto necessario, a cui le parti possono affiancare delle previsioni ulteriori, volte a disciplinare aspetti diversi, solitamente di carattere squisitamente economico.
Si tratta, a ben vedere, di pattuizioni assunte in occasione della separazione, che rappresentano l’estrinsecazione dell’autonomia contrattuale riconosciuta ai coniugi, la cui validità è da tempo riconosciuta anche dalla giurisprudenza.
Le stesse vanno ricondotte alle previsioni normative contenute agli articoli 711 c.p.c. e 16 co.4 della legge sul divorzio, pur mantenendo una loro autonomia.
Gli interpreti hanno avuto il difficile compito di fornire una qualificazione giuridica al contenuto eventuale degli accordi della crisi coniugale, dal momento che molteplici sono le esigenze che spingono le parti ad integrare queste pattuizioni.
Le parti con detti accordi possono prevedere anche attribuzioni traslative, ad esempio trasferimenti di denaro, costituzione di diritti reali di godimento, cessioni di beni da un coniuge a favore dei creditori dell’altro, in funzione solutoria.
Una parte della dottrina ne esclude la riconducibilità allo schema delle donazioni mancando il carattere della liberalità, dell’animus donandi e della gratuità del trasferimento.
Altri interpreti, invece, rimarcando l’assenza di gratuità nei suddetti accordi, li qualificano come accordi transattivi, che sono connessi alla crisi coniugale, e ridefiniscono assetti economico-patrimoniale, altri ancora sarebbero atti di adempimento dell’obbligo di mantenimento previsto dall’articolo 5 co. 6 della legge 898/1970.
L’orientamento più recente emerso in seno alla giurisprudenza e, avallato dalla stessa dottrina, preferisce qualificare questi atti di trasferimento come negozi a causa esterna, volti alla definizione di interessi patrimoniali, meritevoli di tutela in base all’articolo 1322 co. 2 c.c.
Con riferimento alla natura dell’accordo, laddove il trasferimento sia disposto in favore dei figli, non essendo i medesimi parte del procedimento di separazione, l’opinione prevalente li riconduce allo schema contratto a favore di terzi, se il trasferimento è immediato, o al contratto preliminare a favore di terzi, nel caso di trasferimento successivo.
In ogni caso, gli interpreti evidenziano come tali fattispecie vadano ricondotti al modello di cui all’articolo 1333 c.c., trattandosi di contratti gratuiti e atipici con obbligazioni a carico del solo proponente
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Michela Falcone
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