I diritti costituzionalmente protetti nel “gioco” del riparto di giurisdizione
Il problema del riparto di giurisdizione sorge con la L 5992/1889, attraverso cui è istituita la IV sezione del Consiglio di Stato, alla quale sono attribuite tutte le questioni relative alla validità degli atti amministrativi.
Prima dell’entrata in vigore della legge in analisi, la validità dei provvedimenti amministrativi è opposta di fronte alla stessa Pubblica Amministrazione, di fronte la quale il privato promuove ricorso per ottenere l’annullamento del provvedimento ritenuto poi invalido.
In questo più o meno ampio periodo storico antecedente alla L 5992/1889, dunque, non è prevista la possibilità di ottenere un atto giurisdizionale, che definisca la validità di un provvedimento amministrativo.
In tutti quei casi in cui il giudice, dunque, si trova a dover fare i conti con un atto amministrativo, non può pronunciarsi in maniera diretta sulla propria validità, per evitare che lo stesso interprete invada i confini di potere della PA.
Per questo motivo in particolare, il legislatore nel 1865 emana una legge, anche conosciuta come legge sul contenzioso amministrativo, attraverso cui concede al giudice un particolare potere di disapplicazione, che può esercitare in tutti i casi specifici in cui subentra un atto amministrativo, poi ritenuto illegittimo.
Con l’esercizio del potere di disapplicazione in questione, quindi, l’interprete ha la possibilità di eliminare esclusivamente nel caso in concreto in analisi l’atto amministrativo illegittimo, considerandolo come inesistente solo nella fattispecie dallo stesso affrontata.
In questo modo, il legislatore riesce a evitare che il giudice possa invadere la sfera di potere riconosciuta alla PA.
Il periodo che corre dal 1865 al 1889, dunque, è caratterizzato dalla presenza del solo giudice ordinario, il quale, in relazione agli atti amministrativi, non può pronunciarsi con atti capaci di passare in giudicato, ma può limitarsi a disapplicarli, considerandoli, nel caso in concreto, come mai posti in essere.
Alla luce di ciò, l’unico modo previsto per il privato di ottenere l’annullamento totale del provvedimento amministrativo è quello di rivolgersi alla PA, attraverso ricorso interno.
Nel 1889, però, come esposto in apertura, il legislatore, con la legge n.5992, istituisce la IV sezione del Consiglio di Stato, finalizzata a pronunciarsi circa la validità degli atti amministrativi.
Per la prima volta, dunque, i provvedimenti amministrativi possono essere sottoposti all’analisi di un organo, che si pronuncia con atti capaci di passare in giudicato.
All’indomani del 1889 e, quindi, dell’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato, si ha l’esigenza di comprendere in che modo debba essere proposto il riparto di giurisdizione, utile per capire, in una controversia, di fronte a quale giudice proporsi: quello ordinario oppure quello amministrativo.
Una prima tesi fonda il criterio del riparto di giurisdizione sulla richiesta formale che propone il ricorrente: qualora quest’ultimo procede con un ricorso avverso un atto amministrativo, il giudice da adire è quello amministrativo; altrimenti si procede di fronte al giudice ordinario.
Questa tesi è quella del petitum formale, che si contrappone a un’altra, che sostiene un petitum sostanziale.
Secondo i sostenitori di quest’ultima tesi, il riparto di giurisdizione deve essere proposto in base alla posizione giuridica vantata dalla parte ricorrente: qualora il ricorrente si dimostra titolare di un diritto soggettivo, il ricorso attraverso cui si denuncia la lesione dello stesso diritto deve essere rivolto di fronte al giudice ordinario; laddove, invece, il ricorrente è titolare di un semplice interesse legittimo, il ricorso promosso per la tutela dello stesso, deve essere indirizzato al giudice amministrativo.
Poiché la seconda tesi del petitum sostanziale si dimostra in misura oggettiva, fondata, dunque, su criteri concreti, la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza dell’epoca la preferiscono alla prima del petitum formale, che, invece, si fonda su semplici richieste soggettive promosse dalle parti.
Tale criterio oggettivo di riparto di giurisdizione, definito anche causa pretendi, è oggi riconosciuto anche a livello costituzionale: secondo l’art 103 Cost, infatti, il Consiglio di Stato e gli altri organi giurisdizionali amministrativi possono decidere su tutte le questioni legate agli interessi legittimi.
Per comprendere a pieno tale riparto di giurisdizione, è opportuno anche distinguere i due tipi di posizioni giuridiche, i diritti soggettivi e gli interessi legittimi.
I diritti soggettivi sono posizioni giuridiche che permettono al titolare di ottenere in maniera immediata il bene della vita al quale lo stesso persegue.
Gli interessi soggettivi, invece, garantiscono al titolare il perseguimento del bene attraverso la mediazione della pubblica amministrazione.
In questo caso la legge attribuisce alla PA un potere pubblico, attraverso il quale il soggetto pubblico permette al privato di ottenere il bene della vita al quale è indirizzato.
La legge, dunque, fa regredire il diritto soggettivo, in interesse legittimo, posizione giuridica che, soprattutto negli ultimi tempi, ha acquisito maggiore importanza, al pari di un diritto soggettivo.
Soprattutto nel 1999, le Sezioni Unite riconoscono la possibilità per i privati interessati di ottenere il diretto risarcimento, ex art 2043 cc, per la lesione dei propri interessi legittimi.
Questa pronuncia è molto importante, perché attribuisce all’interesse legittimo maggiore rilevanza rispetto al passato.
Prima, infatti, la posizione giuridica in questione era considerata come semplice interesse generale affinché la PA eserciti il suo potere amministrativo.
Dalla sentenza 500/1999, con cui le Sezioni Unite riconoscono la possibilità ai privati di agire in giudizio per ottenere un risarcimento ex art 2043 cc per la lesione dei propri interessi legittimi, è attribuito a questi ultimi lo stesso rilievo sempre attribuito ai diritti soggettivi.
La giurisdizione del giudice amministrativo può essere anche esclusiva, come pure previsto dal su indicato art 103 Cost.
La norma in questione, infatti, stabilisce al primo comma che gli organi giurisdizionali amministrativi possono, in alcune materie particolari indicate dalla legge, pronunciarsi anche su questioni in cui entrano in gioco diritti soggettivi.
In questo caso, quindi, la norma costituzionale ci fa capire che il legislatore ha la possibilità di scegliere quelle particolari materie in cui le controversie sono sempre indirizzate alla giurisdizione esclusiva del GA.
Tuttavia non sono mancate pronuncie, soprattutto della giurisprudenza costituzionale, attraverso le quali si è definito meglio questo aspetto, limitando proprio questa discrezionalità che la Costituzione attribuisce al legislatore, ex art 103 Cost.
Nel caso specifico, nei primi anni Duemila, la giurisdizione di legittimità presenta ricorso di fronte alla Corte Costituzionale, opponendo l’incostituzionalità, in particolare, degli artt 33 e 34 dlgs 80/1998, attraverso i quali il legislatore indirizza alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte quelle controversie che sorgono nelle particolari materie di edilizia, urbanistica e servizi sociali.
Queste materie, in effetti, sono di confine tra il diritto civile e il diritto amministrativo, in quanto, non di rado, è previsto anche un intervento della PA, la presenza della quale porta il legislatore, con le norme oggetto del ricorso di incostituzionalità, ad attribuire tutte le questioni, legate alle materie di diritto edilizio, urbanistico e dei servizi pubblici, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Nell’ordinanza di remissione, dunque, la corte ricorrente oppone il fatto che l’azione della PA e, dunque, la sola presenza della stessa, non può essere un elemento sufficiente per definire la questione del riparto di giurisdizione in queste materie.
Secondo il ricorrente, è vero che le materie in analisi sono particolari, in quanto spesso, in esse, il diritto soggettivo del privato è degradato dalla legge in interesse legittimo, grazie all’attribuzione del potere pubblico alla PA, che spesso agisce in materia di edilizia, urbanistica e servizi sociali, ma nonostante questo il legislatore deve stare attento a non portare avanti un lavoro approssimativo, attraverso il quale si rischia di affidare controversie, in cui la degradazione del diritto soggettivo non è nemmeno accennata, alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Ci sono, infatti, in queste materie di confine, situazioni in cui, pur essendo in gioco diritti soggettivi, diversi dubbi interpretativi spingono a far pensare al legislatore di assegnare le stesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Questo, però, non può portare il legislatore a effettuare un generico lavoro di attribuzione di ogni questione in materia di edilizia, urbanistica e servizi pubblici alla giurisdizione esclusiva del GA.
Alla luce di ciò, nei primi anni Duemila, come in precedenza esposto, è presentato ricorso alla Consulta, per sollevare l’incostituzionalità degli artt 33 e 34 dlgs 80/1998.
La Corte Costituzionale si pronuncia con due sentenze, emanate entrambe nel 2004, in cui, di massima, è accolto il ricorso ed è, di conseguenza, promossa dichiarazione di incostituzionalità degli artt 33 e 34 dlgs 80/1998.
Il giudice delle leggi, nel pronunciarsi in questo modo, sostiene che il legislatore, per poter attribuire le questioni, legate a particolari materie, in cui sono in gioco anche diritti soggettivi, alla giurisdizione esclusiva del GA, deve considerare la reale posizione che la PA assume nel caso in concreto.
Se, infatti, nella controversia la PA è parte equilibrata e, quindi, posizionata sullo stesso piano del privato, la questione che ha come oggetto un diritto soggettivo non può essere assegnata alla giurisdizione esclusiva del GA, ma a quella del GO.
Affinché una controversia, pur essendo fondata su un diritto soggettivo, possa essere assegnata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è necessario, dunque, che la PA eserciti un certo potere autoritario nei confronti del privato, con il quale entra in conflitto.
Alla luce di quanto esposto dalla Corte Costituzionale nelle sentenze in analisi, la possibilità del legislatore di poter individuare quelle particolari materie da assegnare alla giurisdizione esclusiva del GA, come previsto dall’art 103 Cost, trova questo importante limite: la posizione autoritaria della PA, che si trova coinvolta nella controversia.
Le controversie in cui il privato e la PA si trovano in posizione del tutto paritaria, sono, dunque, tutte assegnate alla normale giurisdizione del GO, nonostante la presenza del soggetto pubblico, la quale, da sola, non può essere sufficiente a determinare la giurisdizione esclusiva del GA.
Tutto quanto esposto dalla Corte Costituzionale nelle sentenze del 2004, è ripreso in un altro ricorso promosso verso la Consulta, in cui si denuncia l’incostituzionalità dell’art 1, comma 552 della legge finanziaria del 2005, L 311/2004.
Secondo la norma in analisi, tutte le controversie aventi ad oggetto le procedure e i provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica e le relative questioni risarcitorie sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del GA.
Nell’ordinanza di remissione alla Consulta, il ricorrente recupera quanto la stessa Corte Costituzionale ha sostenuto nelle sentenze del 2004: non è opportuno che il legislatore attribuisca alla giurisdizione esclusiva del GA blocchi interi di materie, senza tener conto, come limite imprescindibile, la reale posizione che la PA assume nel rapporto in concreto.
Si aggiunga a ciò il fatto che la materia indicata nel comma 552, art 1 L 311/2004 è una materia certamente particolare, in cui entrano in gioco importanti diritti fondamentali, garantiti dalla Costituzione, in particolare il diritto alla salute.In materia di diritti fondamentali, già a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, la giurisprudenza ha sempre ritenuto che gli stessi non potessero mai essere assegnati alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Con un’importante sentenza, le Sezioni Unite, nel 1979, infatti, riconoscono che i diritti fondamentali non possono essere degradati in interessi legittimi, poiché trovano fondamento direttamente dalla Costituzione. Proprio perché i diritti fondamentali sono disciplinati dalla Costituzione, la legge non può essere in grado di assegnarli alla disciplina dell’azione amministrativa, degradandoli, in questo modo, in interessi legittimi.
Alla luce anche di questa consolidata giurisprudenza, come già si è avuto modo di accennare in precedenza, è presentato ricorso verso la Corte Costituzionale, alla quale si oppone l’incostituzionalità del su indicato comma 552, art 1 L 311/2004.
Secondo quanto esposto nell’ordinanza di remissione, assegnare alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie che hanno a oggetto le procedure ed i provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica, significa rischiare di attribuire alla giurisdizione del GA anche questioni in cui entrano in gioco alcuni diritti fondamentali, in particolare quello della salute.
La Corte Costituzionale si pronuncia nel 2007 con una sentenza di rigetto della questione di incostituzionalità sollevata, opponendo innanzitutto che, in questo caso, il legislatore non ha assegnato, in toto, un intero blocco di materia alla giurisdizione del GA, ma solo particolari aspetti di una precisa materia: nello specifico, infatti, l’art 1, comma 552 L 311/2004 attribuisce alla giurisdizione esclusiva del GA solamente le controversie legate ai procedimenti e provvedimenti che hanno a oggetto impianti di energia elettrica.
Secondo la Consulta, dunque, non si può, nel caso in concreto, richiamare le conclusioni raggiunte dalla stessa Corte Costituzionale nelle sentenze del 2004. Ciò in quanto, con la stesura della norma in questione, il legislatore è stato più attento a limitare il perimetro dell’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, assegnando a quest’ultimo solamente alcune questioni tra quelle che rientrano nella materia in questione.
La seconda conclusione che la Consulta raggiunge nel 2007 ha come oggetto la questione dei diritti fondamentali, opposta nel ricorso. In questo caso, la Corte Costituzionale risulta evidentemente innovativa rispetto al passato e, nello specifico, rispetto all’orientamento giurisprudenziale, sorto in particolare con la sentenza delle Sezioni Unite del 1979, secondo cui i diritti fondamentali non possono essere attribuiti alla giurisdizione del GA, perché certamente non sono degradabili in interessi legittimi.
Rispetto a quanto sostenuto in passato, quindi, la Corte Costituzionale sostiene che, in realtà, l’impossibilità di degradare i diritti fondamentali in interessi legittimi non trova riscontro in alcuna norma dell’ordinamento. A ciò si aggiunga anche che, in passato, l’interesse legittimo assumeva una rilevanza certamente inferiore rispetto al diritto soggettivo, perché visto come posizione giuridica di stampo procedurale: l’interesse legittimo, infatti, era considerato come generale interesse affinché la PA agisca ed eserciti il potere amministrativo che la legge gli ha concesso.
Questo contribuiva a rinforzare la tesi che proponeva il divieto di attribuzione dei diritti fondamentali alla giurisdizione del G.A.Si consideri, inoltre, che, soprattutto nel secolo scorso, il giudice amministrativo pure non godeva di grandi possibilità tecniche, perché privo di molti strumenti processuali, di cui, invece, il giudice ordinario ha sempre potuto servirsi.
In passato, infatti, il processo amministrativo si riduceva in un rito certamente più povero e, sotto certi aspetti, meno garantista rispetto a quello ordinario. Con il passare del tempo, invece, sia gli interessi legittimi, che il processo amministrativo in sé assumono maggiore rilevanza.
Per quanto riguarda i primi, con il tempo sono diventati posizioni giuridiche più rilevanti, al pari dei diritti soggettivi. Ciò è stato reso possibile grazie al cambio di punto di vista dal quale si osservano gli stessi interessi legittimi: dal punto di vista dell’azione della P.A., che attribuiva agli stessi una colorazione procedurale, si passa, infatti, a un altro punto di vista, che è quello del bene della vita al quale l’interessato è indirizzato.In questo caso, dunque, l’azione della PA assume rilevanza strumentale: l’esercizio del potere pubblico, infatti, non è fine a se stesso, ma finalizzato al perseguimento del bene della vita.
È soprattutto questo passaggio di punti di vista che permette l’affiancamento degli interessi legittimi ai diritti soggettivi. Anche i diritti soggettivi, infatti, guardano al bene della vita al quale il titolare del diritto protende, con l’unica differenza, però, che, in questo caso, lo stesso bene è garantito direttamente dalla legge, che permette al titolare di ottenere immediatamente il bene della vita. Nel caso degli interessi legittimi, invece, l’interessato può ottenere il bene della vita al quale protende solo attraverso l’intervento della PA.
Per quanto riguarda, invece, il processo amministrativo, anche questo ha conosciuto un’evoluzione certamente favorevole, conclusasi con l’introduzione nell’ordinamento del codice del processo amministrativo, dlgs 104/2010. Da un processo amministrativo più povero rispetto a quello che è promosso di fronte al GO, si passa a un altro tipo di attività processuale amministrativa, capace di garantire una più piena tutela non solo degli interessi legittimi, ma anche dei diritti soggettivi, nel caso di giurisdizione esclusiva, grazie all’introduzione, nel corso degli anni, di maggiori strumenti processuali, l’assenza dei quali portava a una comparazione certamente negativa rispetto al processo ordinario. Figlia anche di questa comparazione negativa era la tesi che sostiene l’impossibilità di procedere di fronte al GA nei casi in cui entrano in gioco i diritti fondamentali, sicuramente meglio tutelati dalla giurisdizione ordinaria.
Con queste evoluzioni di carattere sostanziale e processuale, la tesi in questione è superata, a favore di quella che permette l’assegnazione alla giurisdizione esclusiva del GA di tutte quelle controversie fondate su diritti fondamentali, possibilità, tra l’altro, nemmeno vietata espressamente da alcuna norma dell’ordinamento. Alla luce di queste osservazioni, la Consulta respinge il ricorso di incostituzionalità, promosso nei confronti dell’art 1, comma 552 L 311/2004, attraverso la citata sentenza del 2007.
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Pasquale Fiorentino
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