I “diritti sindacali” dei militari: sent. n. 120/2018 della Corte Costituzionale
Era il 1999 quando la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 449 del 17 dicembre 1999, si espresse a favore dell’art. 8 della l. 382/1978, in base al quale: “I militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali. I militari in servizio di leva e quelli richiamati in temporaneo servizio, possono iscriversi o permanere associati ad organizzazioni sindacali di categoria, ma è fatto loro divieto di svolgere attività sindacale quando si trovano nelle condizioni previste dal terzo comma dell’articolo 5. La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa”. In quell’occasione fu dichiarato che “il legislatore ordinario ben può escludere i militari dall’esercizio di determinati diritti, ancorché costituzionalmente sanciti (come appunto la libertà sindacale sancito nell’art. 39, comma 1, Costituzione), ove ciò pregiudichi la disciplina, vero e proprio fondamento dell’ordinamento militare, in quanto questa costituisce il presupposto stesso dell’efficienza delle Forze Armate e quindi, in ultima ratio, del perseguimento di quei fini che la Costituzione solennemente tutela”.
A distanza di circa venti anni, però, la Corte Costituzionale si è pronunciata sul tema del riconoscimento dei diritti sindacali agli appartenenti alle Forze Armate in termini completamente diversi. Ciò emerge dalla sentenza n. 120/2018.
Con la suddetta sentenza, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66 (Codice dell’ordinamento militare) in quanto prevede che “i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali” anziché “i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali”.
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata da due distinte ordinanze di rimessione, una del Consiglio di Stato (R.G. n. 111/2017) e l’altra del T.A.R. Veneto (R.G. n. 198/2017), per la rilevanza di un contrasto tra il summenzionato art. 1475, comma 2 e l’art. 117, comma 1 della Costituzione, in relazione sia agli artt. 11 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e alle sentenze emesse in data 2 ottobre 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, Matelly contro Francia e Association de Défense des Droits des Militaires (ADefDroMil) contro Francia; sia in relazione all’art. 5, paragrafo unico, terzo periodo, della Carta sociale europea (Diritti sindacali – “Per garantire o promuovere la libertà dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire organizzazioni locali, nazionali o internazionali per la protezione dei loro interessi economici e sociali ed aderire a queste organizzazioni, le Parti s’impegnano affinché la legislazione nazionale non pregiudichi questa libertà né sia applicata in modo da pregiudicarla. La misura in cui le garanzie previste nel presente articolo si applicheranno alla polizia sarà determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale. Il principio dell’applicazione di queste garanzie ai membri delle forze armate e la misura in cui sono applicate a questa categoria di persone è parimenti determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale”).
In particolare, la Corte ha sottolineato come, in relazione all’art. 11 CEDU, sia escluso che “la facoltà riconosciuta agli Stati contraenti di introdurre restrizioni all’esercizio dei diritti sindacali dei militari” possa spingersi “fino a negare in radice il diritto di costituire associazioni a carattere sindacale”. In particolare ancora, per quanto riguarda l’art. 5 della Carta sociale europea, la Corte ha evidenziato come anch’essa si qualifichi “fonte internazionale, ai sensi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione. La sua applicazione negli ordinamenti del singoli Stati non avviene immediatamente ad opera del giudice comune ma richiede l’intervento di questa Corte, cui va prospettata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del citato primo comma dell’art. 117 Cost., della norma nazionale ritenuta in contrasto con la Carta”. La Corte, inoltre, sempre relativamente all’art. 5 della Carta sociale europea ne sottolinea il carattere puntuale e la similarità con l’art. 11 CEDU, convenendo come il divieto di costituire associazioni a carattere sindacale, contenuto nell’art. 1475, comma 2, del Codice dell’ordinamento militare, risulti incompatibile con entrambe le disposizioni.
E’ ovvio che, come ha precisato la Corte, è necessaria una puntuale regolamentazione della materia data la specificità dell’ordinamento militare e la sussistenza di peculiari esigenze di “coesione interna e neutralità” che distinguono le Forze Armate dalle altre strutture statali. In tale settore, sottolinea la Corte, non è concepibile alcun vuoto normativo, “vuoto che sarebbe di impedimento allo stesso riconoscimento del diritto di associazione sindacale”.
Nella sentenza, inoltre, si legge che gli statuti delle associazioni dovranno essere sottoposti al controllo di organi competenti in base a criteri e principi costituzionali. A tale proposito viene, in particolare, richiamato il principio di democraticità dell’ordinamento delle Forze Armate ex art. 52, comma 3, Costituzione (“L’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”) “che non può non coinvolgere anche le associazioni fra militari” e il principio di neutralità previsto dagli artt. 97 e 98 della Costituzione per tutto l’apparato pubblico e “valore vitale per i Corpi deputati alla difesa della Patria”.
Viene, tuttavia, posto come limite all’azione sindacale il divieto di esercizio del diritto di sciopero poiché, in relazione al personale militare, è necessario garantire l’esercizio di altri diritti fondamentali e la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti.
Infine, relativamente ad altri limiti, la Corte afferma la necessità di una specifica disciplina e che, nell’attesa, il vuoto normativo può essere colmato con la disciplina dettata per i diversi organismi della rappresentanza militare e, in particolare, con quelle disposizioni (art. 1478, comma 7, del d. lgs n. 66 del 2010) che escludono dalla loro competenza “le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale”.
In sintesi, con la sentenza n.120 la Corte Costituzionale: – ha riconosciuto la legittimità di associazioni professionali di personale militare a carattere sindacale; – ha rinviato ad un apposito provvedimento legislativo la definizione delle condizioni e dei limiti di tale riconoscimento; – ha confermato il divieto per il personale militare di aderire ad altre associazioni sindacali, “divieto dal quale consegue la necessità che le associazioni in questione siano composte solo da militari e che esse non possano aderire ad associazioni diverse” e, quindi, la legittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 1475.
Resta fermo il divieto per i militari di esercitare il diritto di sciopero ex art. 1475, comma 4 che, peraltro, non era oggetto di impugnazione.
Sono state presentate, di recente, le proposte di legge C. 875 –, 1060 e 1702-A per regolare la costituzione di associazioni professionali a carattere sindacale tra militari in servizio, la cui adesione ad una sola organizzazione sindacale è ritenuta “libera, volontaria ed individuale” che operino nel rispetto dei principi di democraticità, trasparenza e partecipazione nonché di quelli di coesione interna, neutralità, efficienza e prontezza operativa delle Forze armate e dei corpi di polizia.
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Irene Antinozzi
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