I fattori causativi dello squilibrio economico e giuridico del contratto e i principali rimedi
Il principio di tutela dell’equilibrio economico tra le prestazioni trova fondamento nei numerosi richiami normativi al concetto di “equità” e rileva come limite generale all’autonomia privata. Sul piano costituzionale tale principio viene costantemente agganciato all’art. 2 Cost. e comporta che i vantaggi e gli svantaggi debbano essere distribuiti in maniera equilibrata al momento della determinazione del contenuto, in modo da scongiurare possibili abusi. Il sindacato di equità del giudice opera dunque in presenza non di una semplice sproporzione (situazione di fatto irrilevante), ma di una incoerente distribuzione dei rischi anche economici dell’attività. Tale situazione dipende da situazioni fisiologiche o patologiche originarie o sopravvenute.
In presenza di uno squilibrio economico originario i rimedi giuridici attivabili si sostanziano in particolar modo nell’azione di rescissione del contratto in stato di pericolo o di bisogno (artt. 1447- 1448 c.c.) e nel giudizio di meritevolezza ex art. 1322 co.2 c.c. Se infatti assume rilevanza uno squilibrio “grave ed intollerabile”, il contratto stipulato dalle parti dovrà essere considerato “atipico” e inefficace per l’ordinamento giuridico.
A questi rimedi autorevole dottrina (Gazzoni) aggiunge la cosiddetta nullità per iniquità contrattuale. In questa prospettiva il ruolo dell’equità diviene del tutto simile a quello svolto dall’ordine pubblico, con la differenza che il contrasto con i principi di solidarietà economico-sociale riconosciuti dall’art. 2 Cost. richiede in tal caso un giudizio individualizzante e in concreto sulle singole pattuizioni. A differenza dell’ordine pubblico infatti l’equità non è clausola generale anche se il criterio di accertamento della situazione di squilibrio non è alternativo o svincolato da quello di stretto diritto. L’equità sostanziale che qui rileva nulla ha a che vedere con l’equità processuale, in nome della quale, ai sensi dell’art. 114 c.p.c., le parti autorizzano il giudice ad una pronuncia “ispirata” a canoni di giustizia superiore.
Se invece lo squilibrio è sopravvenuto opereranno i rimedi della risoluzione per inadempimento, per impossibilità sopravvenuta e per eccessiva onerosità.
Vi è in questi casi un vizio funzionale nel sinallagma, ma i presupposti sono tra loro profondamente diversi anche se il tratto comune si ravvisa sicuramente nella loro rilevanza nel contesto di un rapporto ad effetti durevoli nel tempo e a prestazioni corrispettive.
Sul piano dei rimedi conservativi assume maggior peso la rinegoziazione che rinviene la sua fonte in un accordo o nella legge.
Quanto alle fonti convenzionali, rileva soprattutto la clausola di rinegoziazione o di hardship. Sul piano del contenuto la clausola stabilisce di solito: l’esatta identificazione del fattore squilibrante il cui avveramento determina l’insorgenza dell’obbligo di rinegoziazione del contratto; gli effetti della sopravvenienza sul rapporto e in particolare se in pendenza della fase di rinegoziazione il contratto resti sospeso o continui ad essere eseguito; l’obbligo della parte colpita da sopravvenienza di comunicarla tempestivamente alla controparte ai fini dell’attivazione della procedura di rinegoziazione; i criteri di svolgimento della procedura che possono essere rigidi o elastici. La rigidità di questi ultimi consentirebbe dunque di agire ex art. 2932 c.c. per chiedere la determinazione giudiziale del contenuto del nuovo contratto quando la rinegoziazione fallisce per causa imputabile all’altra parte.
La rinegoziazione ex lege comprende invece tutti i casi in cui per legge si autorizza in genere la parte contro la quale è domandata la risoluzione per eccessiva onerosità o la rescissione a paralizzarne gli effetti con appositi rimedi. L’offerta è quindi un negozio unilaterale recettizio di tipo processuale o sostanziale. Nel primo caso si configura come eccezione con cui il convenuto può bloccare l’azione dell’attore che agisce ex art. 1467 c.c; nel secondo, l’offerta può assumere le forme di una domanda giudiziale o di un negozio unilaterale stragiudiziale indirizzato alla controparte a cui si richiede la modifica del contratto. A seguito della comunicazione le parti dovranno comunque intraprendere una trattativa che potrà dare o meno i suoi frutti. La reductio costituisce pertanto uno strumento di recupero dell’equilibrio economico e il giudice valuterà unicamente la sua serietà, congruità e idoneità a riportare il contratto in equilibrio soltanto quando il destinatario intenda contestare l’iniziativa della controparte ritenendola inidonea a superare la situazione creatasi.
Più in generale il principio di buona fede ex artt. 1175-1375 c.c. potrebbe obbligare le parti a contrattare in buona fede e a porre così l’equilibrio economico su nuove basi prima di procedere allo scioglimento del vincolo negoziale.
Nel medesimo principio troverebbe fondamento la tutela dell’equilibrio giuridico del contratto. Diversamente dall’equilibrio economico, quello giuridico rinviene il suo oggetto nell’equilibrata attribuzione dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto. Tale situazione viene meno specialmente nelle situazioni di “asimmetria informativa” e di predisposizione unilaterale del contenuto. In tali situazioni gli artt. 1341 – 1342 c.c. tutelano l’aderente specialmente tramite la specifica sottoscrizione delle cd. “clausole vessatorie”. Gli artt. 33-34 d.lgs. 206/2005 prendono poi in considerazione lo squilibrio giuridico specialmente ai fini della nullità di protezione ad esclusivo vantaggio del consumatore nei confronti del professionista.
Sussiste perciò anche in questi termini una situazione di squilibrio giuridico originario e sopravvenuto. Nel primo caso è possibile tutelarsi con un’azione di responsabilità precontrattuale anche per “vizi incompleti” qualora dalla condotta abusiva o elusiva sia derivato uno svantaggio patrimoniale oppure con l’azione di nullità anche parziale per assenza di causa in concreto ex artt. 1418-1419 c.c. se il comportamento abusivo o elusivo incide sulla funzione concretamente perseguita dal contratto. Nel secondo caso invece, in presenza di un sopravvenuto e rilevante squilibrio nei rapporti tra diritti ed obblighi, opereranno i rimedi diretti a sanzionare le clausole vessatorie con attivazione dei poteri giudiziali di conformazione del rapporto oltre al risarcimento del danno e alla risoluzione per inadempimento se quest’ultimo risulta di non scarsa importanza e imputabile all’altra parte. La buona fede costituisce ad ogni modo un limite alle modalità scorrette di esercizio del diritto legittimando allora l’exceptio doli e la dichiarazione d’inammissibilità della pretesa contraria a buona fede. Si riconosce infine la sua rilevanza come “fonte d’integrazione del rapporto” con obbligo delle parti di adeguare costantemente la regola contrattuale alle esigenze concrete specialmente quando l’iniziale presupposto dell’accordo (“presupposizione”) è mancato. In alternativa, le parti potranno recedere per giusta causa o accordarsi nuovamente.
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Alessandro Baker
Laureato presso l'Università di Napoli Federico II con 110/110 e lode, praticante avvocato ed ex-tirocinante di giustizia ex. art. 73 D.L. 69/2013 nonché collaboratore presso la cattedra di Diritto Pubblico dell'Economia dell' Università Federico II.
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