I fattori distorsivi nel processo: suggestionabilità, informazione fuorviante, falsi ricordi

I fattori distorsivi nel processo: suggestionabilità, informazione fuorviante, falsi ricordi

1. Introduzione: gli stadi del ricordo

“L’importanza delle fasi propedeutiche alla formazione del contributo probatorio è sottovalutata dal legislatore, che affranca il giudice da qualsiasi compito d’indagine in relazione a tali aspetti: infatti, le regole codificate danno un’idea piatta della testimonianza, senza sfondo psichico, con i relativi effetti deformanti.”[1]

Solo considerando l’elevato numero di fattori (inganni e trappole della memoria) che incidono sul livello di accuratezza di una dichiarazione, è facilmente intuibile quanto sia improbabile, in concreto, ottenere una testimonianza totalmente esatta.

Sebbene la testimonianza sia da intendersi come un processo unitario che comincia dalla sensazione per concludersi con la narrazione, essa è suddivisa dagli studiosi in minimo sei fasi: la sensazione, la percezione, la rielaborazione, la memoria, la rievocazione, l’espressione.

“Lo scopo è quello di una migliore valutazione dei fenomeni che incidono sulla mente umana”.[2]

È evidente che, nel frangente temporale che intercorre dal primo all’ultimo momento di questo processo, intervengono una serie di fattori di disturbo, interni ed esterni, tali da riuscire a manipolare la riproduzione verbale dell’evento cui il teste ha assistito.

A fortiori se si considera l’eccessiva durata dei tempi processuali in Italia, non può trascurarsi l’assioma per il quale la perdita o la contaminazione della memoria sono direttamente proporzionali al trascorrere del tempo.

È scientificamente provato che, col procedere del tempo “i normali processi metabolici del cervello provocano un decadimento della memoria: le tracce di quanto si è appreso si disintegrano gradualmente sino a scomparire del tutto”. Sicché la traccia mnestica va cancellandosi, e “Il decadimento è la perdita fisiologica di materiale che è stato archiviato in memoria e dovuto alla evanescenza della traccia mnestica”.[3]

Il primo momento fondamentale è la sensazione.

Essa è “la risposta dei recettori sensoriali situati nei nostri organi di senso agli stimoli ambientali”.[4] È pertanto indispensabile che il soggetto sia fisiologicamente in grado di avere sensazioni! Diversamente, una persona affetta da deficit fisico ha meno possibilità rispetto ad un individuo normo-dotato, di cogliere informazioni attraverso quello specifico organo sensoriale.

Segue la percezione.

Essa si concretizza allorquando i segnali trasmessi dai recettori sensoriali, sotto forma di impulso nervoso, arrivano al cervello e vengono elaborati coscientemente implicandone il riconoscimento e l’interpretazione.

L’oggetto viene individuato nelle sue peculiarità, comparato alle tracce depositate in memoria “tracce mnesiche”, infine identificato come oggetto ignoto o appartenente ad una categoria già nota.

È opportuno sottolineare che, anche ammettendo che due persone diverse possano cogliere dall’ambiente circostante le medesime informazioni, non è certo che siano percepite alla stessa stregua. Le sensazioni in arrivo sono immediatamente confrontate con quelle precedentemente acquisite e finiscono con l’assumere una connotazione personalizzata e variabile da individuo a individuo.

La risultante di questa fase è sempre “un compromesso fra realtà oggettiva esterna e realtà soggettiva dell’osservatore”.[5]

A causa delle limitate capacità l’essere umano:

– Può raccogliere contemporaneamente solo un numero determinato di stimoli (per esempio: se vi sono più sensazioni reciprocamente contrastanti, il cervello tende ad escludere quella che soggettivamente ritiene contraddittoria).

– Possiede una percezione d’insieme e non di singoli particolari.

– Possiede emozioni, pregiudizi, aspettative (ad esempio: se pervengono sensazioni incomplete, il cervello tende a colmare le lacune, gli eventi più graditi gli appaiono di breve durata, più durevoli, invece quelli spiacevoli, tende a percepire quello che desidera o teme, il che determina illusioni).

Il sistema giudiziario è impossibilitato a prevenire l’insorgere di errori percettivi, può ciononostante cercare di identificarli affidandosi alla ricerca.

Il terzo stadio è costituito dalla rielaborazione a livello inconscio di ogni percezione.

A manipolare l’evento originale possono intervenire:

– Meccanismi di rimozione di eventi dolorosi, come mezzo di difesa della salute psichica del soggetto. Infatti in condizione di tensione psico-fisica estrema o traumatica, il cervello produce ormoni dello stress come il cortisolo, i quali finiscono con l’interferire con il consolidamento dell’informazione nella neo-corteccia, formando, conseguentemente e frequentemente memorie frammentate.[6] Possono derivarne amnesie proattive (relative ad eventi successivi all’evento) o retroattive (relative ad aventi precedenti allo stesso).

– Meccanismi di integrazione con elementi non originali al fine di eliminare le contraddizioni e colmare le lacune.

Poi vi è il quarto stadio: la memoria.

L’analisi delle tipologie di memoria, ed in particolare, il riferimento ai concetti di memoria episodica e memoria semantica, sono indefettibili per comprendere “i processi psicologici che sottendono i possibili errori commessi da un testimone in buona fede”.[7]

Come largamente esposto, la memoria episodica è deputata ad immagazzinare un evento con precise coordinate spazio-temporali, quella semantica consente di leggere un evento secondo schemi generali di conoscenza risultando completamente priva di coordinate spaziali e temporali. In particolare, fra questi schemi di conoscenza generale, sono presenti i c.d. copioni o scripts. Si tratta di modelli mentali cui si riconduce la conoscenza di certi eventi che si ripetono sempre uguali. Affinché si crei uno script non è necessario che il soggetto faccia esperienza diretta degli eventi in questione, è sufficiente che le informazioni siano provenienti da altri o riconducibili a pellicole cinematografiche. Per esempio, andare al ristorante implica sedersi, consultare il menù, ordinare, consumare, pagare, uscire.

Queste scorciatoie mentali, utili nella vita quotidiana, possono produrre effetti collaterali nella testimonianza oculare.

Infatti, ciascuno possiede lo script di una rapina pur non avendovi mai assistito. La sovrapposizione tra memoria semantica ed episodica possono indurre il testimone a fare delle deduzioni o integrare particolari ed azioni non realmente concretizzatesi, caricando un evento di stereotipi culturali e personali.[8]

Il penultimo stadio consiste nella rievocazione.

Essa si concretizza nel “richiamo consapevole del materiale immagazzinato in memoria. È quel lavorìo mentale di ‘ripasso’, che il testimone compie con particolare intensità quando sa di essere citato per deporre.”.[9]

La forza della traccia mnestica, e quindi del suo recupero, dipende dalla intensità della codifica (più è profondo il livello di elaborazione dello stimolo, più è probabile che la traccia sia duratura). Gli studiosi che si occupano dell’indagine relativa ai processi di recupero dei ricordi, segnalano che sia più facile rievocare i contenuti del materiale depositato in memoria, piuttosto che risalire alla fonte di provenienza degli stessi.[10] Per esempio, chiunque è in grado di affermare che il gatto sia un animale mammifero, ma pochi sono capaci di risalire con precisione al luogo, alla circostanza, al momento in cui l’informazione è stata appresa. Similmente, i contenuti acquisiti da un teste in un momento successivo al verificarsi del fatto a cui ha assistito (tramite mass-media, scambio di opinioni con altri testi…) possono essere erroneamente attribuiti all’evento originario ed assimilati al ricordo personale dello stesso.

È opportuno sottolineare anche il fenomeno, secondo il quale, un soggetto tende a modificare i propri contenuti mnestici, allineandoli alle convinzioni espresse dalla maggioranza o da persone ritenute competenti.

2. I fenomeni che incidono sulla mente

Si evoca il concetto di suggestionabilità (tema da sempre caro agli studi di psicologia della testimonianza) per indicare la condizione e la misura con cui gli individui incorporano informazioni post-evento all’interno dei loro ricordi. Essa consiste in un meccanismo inconsapevole ed intrinseco ai processi di memoria dipendente dall’interazione di fattori cognitivi e sociali.

Già negli anni Settanta, la psicologa E. Loftus[11] dimostra, con il seguente esperimento, quanto i ricordi di testimoni oculari siano facilmente modificabili ed influenzabili dall’esposizione, in seguito all’evento, ad informazioni scorrette. Ai partecipanti viene mostrato un filmato inerente un incidente stradale, avvenuto nei pressi del segnale di stop. Successivamente sono poste delle domande circa l’evento, una delle quali fa erroneamente riferimento ad un segnale di precedenza anziché a quello di stop. Quando viene chiesto ai partecipanti se abbiano visto un segnale di stop o precedenza, quelli che hanno ricevuto l’informazione sbagliata tendono a rispondere in maniera scorretta.

Nella vita quotidiana, la principale fonte di misinformation (informazione scorretta) è costituita dalle conversazioni durante le quali i co-testimoni influenzano reciprocamente i propri ricordi con l’intento di conformarli (c.d. contagio del ricordo).[12]

Essi finiscono con l’eliminare inconsapevolmente eventuali differenze tra deposizioni. L’interazione involontaria prende anche il nome di innocent contamination, sul piano gnoseologico e psicologico, il teste è in buona fede, è credibile, ma la sua testimonianza è inattendibile. “Perché sia integrata la fattispecie, occorre che la deposizione risulti difforme da come sarebbe stata senza il verificarsi della vicenda deviante.”[13]

Ulteriore elemento capace di determinare una suggestione nel teste è la modalità di proposizione delle domande durante l’interrogatorio. Infatti, “modalità di proposizione della domanda” e “contenuto della risposta” non sono due concetti indipendenti, bensì il primo può interferire sull’altro, determinando narrazioni su fatti storici a volte alterate, altre volte condizionate, in via definitiva.

Alla suggestione ha dato rilievo anche il legislatore, predisponendo al terzo comma dell’art. 499 c.p.p. il divieto per colui che ha citato il teste e per la parte che ha un interesse in comune a “porre domande che tendono a suggerire le risposte”. La disposizione è finalizzata ad evitare che le parti processuali manipolino (suggerendogli la risposta) il proprio teste nell’esame diretto e nel riesame. Contrariamente, è riconosciuta l’utilità di tali domande suggestive-suggerimento[14] nel corso di un controesame per portare alla luce la fallacia della percezione di allora o della memoria di oggi o smascherarlo, se mendace.[15]

È della dottrina il compito di individuare tale tipologia di domande. Queste ultime incidono direttamente sul contenuto della dichiarazione del teste poiché contengono già in se stesse la risposta. Il fenomeno è in gran parte riconducibile alla naturale tendenza ad accettare, come valide, le informazioni presupposte dall’interlocutore.

A manipolare il ricordo sono sia il contenuto, sia la forma del quesito, ergo, sia la sua composizione semantica (l’uso di specifici aggettivi) sia la sua struttura sintattica, ad esempio, se l’inquirente chiede al teste (domanda implicativa per presupposizione) “Lei ha visto l’arma sulla valigia?” il teste dà per scontato la presenza di una valigia.

Inoltre in caso di domande chiuse con due alternative di risposta “Ha o non ha la valigia?” o “Ha una valigia o un marsupio?” (domanda disgiuntiva parziale) la suggestione e suggerimento si presentano più frequentemente. Questo accade perché il testimone è spinto ad effettuare una scelta solo apparente, causata dall’esclusione di tutte le altre possibilità di risposta.[16] Senza dimenticare che, in questo caso, generalmente, il teste tende a dare una risposta positiva.

È quindi pacifico che siano suggestive: le domande implicative per presupposizione, domande disgiuntive parziali, domande condizionali affermative (per esempio: “non era forse rossa l’automobile dell’imputato?”) e domande indirette di tipo dubitativo (per esempio: “mi chiedo se lei rammenti che l’auto sia stata acquistata dalla concessionaria X o Y”).

Soprassedendo alle molteplici configurazioni di domande suggestive, è opportuno sottolineare a fortiori che si sia registrata una tendenziale accondiscendenza e soggezione alla figura di pubblica autorità. Di conseguenza, le risposte dell’interrogante tendono ad omologarsi alle parole (o al punto di vista, se traspare) utilizzate dall’interrogante.[17] È imprescindibile un tono benevolo e non minaccioso di costui.

La carica suggestiva di una domanda dipende da molti fattori come il contesto, il fine cui mira, la sua collocazione all’interno della sequenza interrogativa, il tono di voce, le pause, il linguaggio del corpo…

Secondo alcuni autori[18] vi è una suggestività “fisiologica” ovvero inevitabile (per qualsiasi genere di domanda) e compatibile con lo schema legislativo, da distinguere da una suggestività forte, altamente influente e vietata.

Ripetute informazioni fuorvianti e suggestive possono creare false memorie per eventi completi, ed una volta impiantato il falso ricordo il danno alla ricerca della verità è irreversibile. Successivamente alla proposizione di domande suggestive, il soggetto fa proprio il suggerimento ricevuto e rielabora il materiale aggiungendone particolari “per dare maggiore credibilità alla propria versione, anche a causa dell’erronea convinzione, radicata nell’immaginario collettivo, che la sua attendibilità sarà direttamente proporzionale alla quantità di dettagli riportati nella deposizione”.[19]

L’informazione fuorviante si incorpora inconsapevolmente nel resoconto del teste, rendendo difficile poi la distinzione tra veri e “falsi ricordi”. Questo fenomeno è spiegato dalla ricerca bio-neurologica che ha dimostrato come l’immaginazione generi la medesima attività cerebrale della concreta percezione di elementi del mondo esterno. Ne consegue che: “azione, percezione ed immaginazione” sono estremamente similari.

È opportuno dar rilievo alla probabile presenza del “vuoto di memoria” in buona fede, causato dai limiti “biologici” della deposizione testimoniale, ossia è impossibile che il teste sia in grado di ricordare informazioni confinate nella memoria a breve termine o informazioni che, pur custodite nella memoria a lungo termine siano erose a causa del trascorrere del tempo. È preferibile che il teste non abbia risposte alle domande poste, piuttosto che “soluzioni inventate”.

L’ultima fase, del lungo processo che costituisce la testimonianza, è rappresentata dall’espressione. Trattasi del racconto orale in dibattimento.

In questo stadio, conditio sine qua per il conseguimento di una dichiarazione più veridica possibile è l’uso di vocaboli vicini alle competenze linguistiche del testimone. Inoltre, non tutti i testi son in grado di tradurre correttamente in esposizione orale i ricordi. Quindi anche un uso poco preciso del linguaggio può determinare un’interpolazione nella ricostruzione del fatto storico originario.

Dal momento che il testimone suole generalizzare e semplificare, risulta fondamentale la narrazione guidata. Questa è condotta con domande puntuali e risulta più completa ma con più errori. Come già esposto, le domande suggestive sono vietate in sede di esame principale, perché la parte che cita un testimone deve dimostrare che è attendibile, al contrario, sono ammesse nel controesame per valutar la credibilità del teste.

Dalle domande suggestive in senso stretto (manipolatrici della memoria e incidenti sul contenuto della risposta) devono distinguersi le domande guidanti. Queste ultime hanno l’obiettivo di ricostruire dettagliatamente un evento, tenendo sotto controllo il teste, il quale può rispondere solo con “sì” o “no” (contrariamente con quanto accade per mezzo di domande suggestive in senso stretto).

Per una corretta ricostruzione dell’istituto è opportuno sottolineare che la ricognizione personale[20] non costituisce una species della testimonianza, sebbene entrambe presentino delle affinità determinate dalla rievocazione di una precedente percezione. Le divergenze ontologiche sono evidenti anche da un punto di vista psichico, la ricognizione consiste in un esame critico-comparativo, la testimonianza in un’esposizione narrativa di fatti storici.[21] Anche il tipo di memoria richiamata è differente: è “evocativa” quella impiegata per descrivere verbalmente il fatto, mentre è “di riconoscimento” l’altra. Quest’ultima si presenta come più stabile, sebbene fuorviata anch’essa da fattori di disturbo; infatti, anche in questa sede il teste è animato da sentimenti contrastanti, che vanno dal timore, al desiderio di collaborare con l’autorità giudiziaria. Egli è esposto all’opinione pubblica e “sente di dover rispondere ad un impegno sociale carico di aspettative”.

È diffusa l’idea per la quale “essere un buon testimone equivalga ad effettuare il riconoscimento”[22], ciò determina il cosiddetto “effetto yes” o “giudizio relativo[23]” ovvero identificare comunque una persona anche quando non è presente.[24]

 

 

 

 

 


[1]R. Casiraghi, La prova dichiarativa: testimonianza ed esame delle parti eventuali, in Trattato di procedura penale, diretto da Giulio Ubertis e Giovanni Paolo Voena, Giuffrè, 2011, cit., p. 65.
[2] P. Tonini, Manuale di procedura penale, ventesima edizione, Giuffrè, 2019, cit. p. 1139.
[3] G.L. Fanuli, Il “vuoto di memoria” nella prova dichiarativa (scenari psicologici e rimedi giuridici), in Arch. Nuova proc. Pen. 2007, fasc. 3, cit. p. 285.
[4] P. Tonini, Manuale di procedura penale, ventesima edizione, Giuffrè, 2019, cit. p. 1139.
[5] S. Priori, Interferenze percettive e mnestiche nel processo di formazione della testimonianza oculare, in Diritto penale e processo, 2009, fasc.2, cit. p. 247.
[6]A. D’Ambrosio, La memoria del testimone. La tecnica dell’intervista cognitiva con l’adulto e il minore. Aspetti giuridici, teorici e pratici., contributi di A. D’Avino, E. Volpe, M. Luna, FrancoAngeli, Milano, 2010, p.119.
[7] S. Priori, Interferenze percettive e mnestiche nel processo di formazione della testimonianza oculare, in Diritto penale e processo, 2009, fasc.2, cit. p. 248.
[8] S. Priori, Interferenze percettive e mnestiche nel processo di formazione della testimonianza oculare, in Diritto penale e processo, 2009, fasc.2, p. 249.
[9] P. Tonini, Manuale di procedura penale, ventesima edizione, Giuffrè, 2019, cit. p. 1142.
[10] M. Vannucci, Quando la memoria ci inganna, Carrocci Editore, Roma, 2008, p. 61-62.
[11]Elizabeth F. Loftus (1944) è una psicologa statunitense, si dedica a ricerche relative alla memoria umana, in particolare all’ “effetto dell’informazione sbagliata” (misinformation effect) ed alla natura dei falsi ricordi (confabulations).Ha partecipato a più di 200 processi nella difesa di individui accusati di reati sulla base di memorie che spesso erano false. Tra i suoi libri è molto interessante quello intitolato I testimoni Oculari, in cui vi sono vari esperimenti sulle false memorie.
[12] G. Gulotta e A. Curci, Mente, Società e diritto, Giuffrè, Milano, 2010, p. 137.
[13]E. Marzaduri, Associazione tra gli studiosi del processo penale, Verso uno statuto del testimone nel processo penale: atti del Convegno Pisa-Lucca 28-30 Novembre 2003, Milano, Giuffrè, 2005, cit. p.251.
[14] Da distinguere dalle domande nocive. Per domanda nociva si intende qualsiasi domanda che sia da ritenersi suscettibile di nuocere alla sincerità della risposta: si tratta della domande capziose, insidiose e comunque idonee a confondere il teste sulla risposta da fornire.
[15] O. Campisi, La “contaminazione” della prova dichiarativa, in Diritto penale e processo, 2013, fasc. 5, p. 609.
[16] L. Fadalti, La testimonianza nel giudizio penale, (Teoria e pratica del diritto. Sez. III, Diritto e procedura penale, 165) Milano, Giuffrè, 2008, p.296.
[17] Tale manipolazione è ben documentata nel parere (circa il processo sulla strage di Erba con la manipolazione della memoria del testimone chiave Mario Frigerio) fornito da Piergiorgio Strata (1935) neuroscienziato italiano. È professore emerito di Neurofisiologia presso l’Università degli Studi di Torino.
[18] P. Paulesu, Giudice e parti nella «dialettica» della prova testimoniale, Giappichelli, 2002, p. 209.
[19] O. Campisi, La “contaminazione” della prova dichiarativa, in Diritto penale e processo, 2013, fasc. 5, cit. p. 611.
[20]Quando occorre procedere a ricognizione personale (361), il giudice invita chi deve eseguirla a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull’attendibilità del riconoscimento.
[21] N. Pascucci, Un nodo ancora da sciogliere nel processo penale: il riconoscimento informale di persona in udienza, in Rivista di diritto processuale, 2018, fasc. 3, p. 722-723.
[22] S. Priori, La ricognizione di persone: dal modello teorico alla prassi applicativa, in Diritto penale e processo, 2006, fasc. 3, cit. p. 366.
[23] Effettuare la migliore scelta relativa possibile (“chi assomiglia più degli altri?”)
[24] S. Priori, La ricognizione di persona: cosa suggerisce la ricerca psicologica, in Diritto penale e processo, 2003, fasc. 10, p. 1285.

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Alessia Aversa

Scopre presto la sua passione per la scrittura, così la coltiva iscrivendosi al Liceo Classico. Durante gli studi liceali, viene selezionata per effettuare due brevi programmi operativi nel Regno Unito, tra cui stage lavorativo presso un ufficio di consulenza d'affari. Consegue la maturità classica con il massimo dei voti, elaborando la Tesi: "La parola come strumento di accesso relativistico alla realtà" e dimostrando già un’attenzione particolare per le potenzialità performative delle parole. Frequenta la Facoltà di Legge dell'Università degli Studi di Bari "Aldo Moro" e sostiene esami extra-curriculari in psicologia sociale e filosofia morale. Consegue la Laurea in Giurisprudenza Magistrale cum laude e menzione alla carriera accademica, discutendo la Tesi in Diritto Processuale Penale: "La manipolazione della memoria del testimone". In quest'ultima confluiscono non solo studi giuridici relativi all'istituto della testimonianza ed alla cross-examination, ma anche studi -da autodidatta- di psicologia della testimonianza, scienza della memoria e neuroscienze. Anche in materia testimoniale, sottolinea la rilevanza delle potenzialità delle parole, in quanto tese alla ricostruzione della verità processuale. Iscritta al Registro Praticanti Avvocati dell'Ordine di Bari, svolge la pratica forense presso uno Studio Legale che opera in ambito civile e penale, fornendo anche consulenza a società.E' selezionata come tirocinante per l'ufficio legale e contenzioso di ARPA Puglia, dove attualmente svolge un'attività intensa e proficua.

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