I finanziamenti dei soci ex art. 2467 c.c.: natura e aspetti fondamentali
Sommario: 1. Introduzione: l’art. 2467 c.c. – 2. Finanziamento soci fruttifero ed infruttifero – 3. Concessione del finanziamento – 4. Rimborso del finanziamento – 5. Distinzione tra finanziamento soci e versamento in conto capitale – 6. Regime dei finanziamenti dei soci erogati nel periodo emergenziale del COVID-19
In talune situazioni, come ad esempio una temporanea carenza di liquidità ovvero un progetto di crescita aziendale, per le ragioni che verranno esaminate più avanti, anziché formulare una richiesta ai soci di aumento del capitale sociale, gli amministratori, se lo statuto lo consente, potranno procurarsi le risorse finanziarie necessarie mediante il ricorso al finanziamento da parte dei soci.
Nella presente trattazione, pertanto, verranno trattati gli aspetti salienti di questa particolare forma di apporto di capitale, avendo cura di distinguerla dalla speculare figura dei versamenti in conto capitale.
1. Introduzione: l’art. 2467 c.c.
La norma di riferimento è l’art. 2467 c.c., che, prima ancora di spiegare cosa si intenda con “finanziamenti dei soci”, si preoccupa di precisare che gli stessi sono postergati rispetto alla soddisfazione degli altri creditori sociali.
Al secondo comma viene, invece, specificato che s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli che, in qualsiasi forma effettuati, vengano concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulti un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.
Occorre, anzitutto, precisare che, benché la norma sia topograficamente collocata all’interno del Capo VII, Titolo V, dedicato alle società a responsabilità limitata, essa è ritenuta dalla giurisprudenza pacificamente applicabile altresì alle S.p.a. (es: Cass. Civ., sez. I., 20/06/2018, n. 16291).
Con tale disposizione il legislatore ha inteso scongiurare il rischio di un uso distorto dei finanziamenti provenienti dagli stessi soci, che potrebbero, in questo modo, eludere il rischio d’impresa connesso agli apporti non rimborsabili, quali sono i conferimenti.
La regola della postergazione, di fatti, implica l’inesigibilità del credito del socio sino all’avvenuta soddisfazione di tutti gli altri creditori, nonché l’inefficacia dell’eventuale rimborso disposto dalla società, che potrà essere oggetto di revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.
Affinché operi la postergazione, è necessario che l’eccessivo squilibrio dell’indebitamento o la situazione in cui sarebbe ragionevole un conferimento sussistano non solo al momento della concessione del finanziamento, bensì anche al momento della richiesta di rimborso (es: Trib.,Torino, sent. 818/2021).
2. Finanziamento soci fruttifero ed infruttifero
Quando è previsto che il finanziamento venga rimborsato con l’applicazione di un tasso di interesse, questo viene detto fruttifero. Va però precisato che, a differenza di un ordinario finanziamento bancario, detto tasso, nella prassi, è sensibilmente più basso.
Quando, invece, il finanziamento è infruttifero, esso assume la forma di un prestito senza interessi. Tale forma di finanziamento è quella più diffusa.
Dal punto di vista contabile, i finanziamenti dei soci sono iscritti tra i debiti dello stato patrimoniale, alla voce “debiti verso soci per finanziamenti” (voce D3, art. 2424 c.c.).
3. Concessione del finanziamento
A ben vedere, l’art. 2467 c.c. nulla prevede, almeno espressamente, in merito ad eventuali requisiti di forma per la validità dei finanziamenti dei soci in favore della società. Invero, questi sono concordabili liberamente, senza la necessità di una delibera assembleare e in misura indipendente alla quota di partecipazione sociale.
Tuttavia, la S.C. di Cassazione ha più volte precisato che, affinché detti finanziamenti possano ritenersi opponibili al fisco e non vengano qualificati come utili occulti reimmessi in azienda, è necessaria la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili, in tempi coerenti con l’andamento finanziario del periodo. Ciò al fine di rendere più agevole l’individuazione di elementi (anche indiziari) volti a dimostrare la ragionevolezza del finanziamento soci e la convenienza rispetto al ricorso al finanziamento bancario (ex multis: Cass. Civ., sez.V, 26/09/2023, n. 27336; Cass. Civ., sez. trib., 17/06/2021, n. 17322).
Sussistono, inoltre, dei requisiti soggettivi che il socio deve possedere affinché il finanziamento da questi concesso non venga qualificato come attività di raccolta del risparmio. Detti requisiti sono previsti dall’art. 11 del Testo Unico Bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) e dalla deliberazione per il comitato internazionale del credito ed il risparmio del 3 marzo 1994 (CICR) e sono i seguenti:
iscrizione al libro dei soci per un per un arco temporale non inferiore a 3 mesi;
titolarità di una quota sociale pari ad almeno il 2% del capitale sociale deliberato con l’ultimo bilancio;
previsione di tale facoltà all’interno dello statuto sociale o dell’atto costitutivo.
Il finanziamento può essere concesso su richiesta della società (formulata con delibera dell’assemblea dei soci o mediante scambio informale di corrispondenza) ovvero su iniziativa dello stesso socio finanziatore.
È opportuno soffermarsi sulla prima ipotesi, in quanto essa ha generato dei dubbi interpretativi in ordine alla possibilità per il socio di rifiutare la concessione del finanziamento quando questo gli venga richiesto dalla società. La fattispecie più problematica è, in particolare, quella in cui detta richiesta venga formulata mediante apposita delibera assembleare. Ebbene, quest’ultima, come ha chiarito a più riprese la giurisprudenza, non è di per sé idonea a vincolare i soci all’erogazione del finanziamento richiesto. La sola delibera dell’assemblea di una società di capitali, avente ad oggetto la richiesta ai soci di un finanziamento, non è sufficiente a far sorgere un diritto credito della società verso il singolo socio, occorrendo invece, a tal fine, una ulteriore manifestazione di volontà negoziale da parte di quest’ultimo quanto all’assunzione dell’impegno al finanziamento.
In altre parole, la sola delibera assembleare non può far sorgere in capo al socio alcun impegno vincolante in merito all’erogazione del richiesto finanziamento, né può costituire per il medesimo socio un obbligo a stipulare un accordo in tal senso.
La delibera si atteggia, infatti, come una mera proposta contrattuale formulata dalla società che, per tradursi in un vero e proprio contratto, deve necessariamente ottenere l’adesione del socio. Di conseguenza, in assenza di un successivo e specifico accordo con la società, il socio può opporre legittimamente il proprio rifiuto di ottemperare alla richiesta di finanziamento deliberata dall’Assemblea, senza subire per ciò delle conseguenze negative.
Ma vi è di più, di fatti, quand’anche il socio al quale sia richiesto il finanziamento abbia presenziato all’Assemblea e si sia limitato a esprimere il proprio voto favorevole, se dal verbale assembleare non emerge, in maniera chiara ed univoca, la volontà dello stesso di assumersi l’impegno ad eseguire il finanziamento, il suo voto favorevole non è ritenuto di per sé idoneo a far sorgere l’obbligo di versare nelle casse sociali la somma deliberata, occorrendo anche in tal caso la conclusione di un ulteriore e distinto accordo tra socio e società. (cfr. ex mutis Tribunale di Milano, 19.06.2017 – Tribunale di Roma 08.01.2016).
4. Rimborso del finanziamento
Altro momento cruciale nella fattispecie del finanziamento dei soci è quello della restituzione delle somme versate a tale titolo da parte della società.
Ferma restando la regola della postergazione, la restituzione del finanziamento deve avvenire nei modi e nei tempi previsti dall’accordo concluso tra il socio e la società ovvero dal contratto di mutuo da questi stipulato.
Pertanto, in caso di inadempimento della società, il socio potrà azionare i rimedi tradizionali previsti per il recupero del credito, con la dovuta precisazione che la competenza per il ricorso monitorio attivato per ottenere il rimborso del finanziamento appartiene al Tribunale delle imprese, in quanto trattasi di rapporti tra soci e società, sussumibili nel concetto di “rapporti societari” di cui all’art.3, comma 2, lett. a) del d.lgs. n.168 del 2003 (Cass. civ, sez. IV, 07/07/2016, n.13956).
Tuttavia, nella prassi, non è infrequente che il socio rinunci alla restituzione di quanto versato in favore della società a titolo di finanziamento. Tale ipotesi, dal punto di vista giuridico, rientra nella fattispecie delle remissione del debito ex art. 1236 c.c., ai sensi del quale, giova ricordarlo, la dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l’obbligazione quando è comunicata al debitore. Non sarebbe, pertanto, richiesta una forma specifica per la rimessione. Tuttavia, la formalizzazione per iscritto della rinuncia è quanto mai opportuna in virtù delle regole contabili e fiscali.
Di fatti, la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei crediti derivanti da finanziamento verso la società rileva come incremento del capitale proprio della stessa.
Ai sensi del principio Oic (Organismo italiano di contabilità) n. 28, se la rinuncia del credito da parte del socio è finalizzata ad un rafforzamento patrimoniale della società (come generalmente avviene), il debito oggetto di rinuncia deve essere contabilmente trasformato in una posta patrimoniale e, nello specifico, di patrimonio netto.
Il paragrafo 36 del principio in parola dispone che la volontà del socio deve essere desumibile da “evidenze disponibili”. Tale formulazione lascia intendere che occorra una comunicazione scritta che renda esplicita la rinuncia da parte del socio al credito nei confronti della società, enunciando, altresì, le ragioni sottese a tale decisione.
Pertanto, l’osservanza di minimi requisiti formali appare essenziale per la corretta interpretazione delle intenzioni del socio e, di conseguenza, per l’esatta qualificazione giuridica e contabile dell’atto da questi compiuto.
5. Distinzione tra finanziamento soci e versamento in conto capitale
Benché costituiscano entrambi meccanismi attraverso i quali i soci attribuiscono risorse finanziarie alla società al di fuori di ogni procedura prevista per i conferimenti e, per questo, siano spesso considerate come fattispecie tra esse speculari, il finanziamento soci ed il versamento in conto capitale vanno tenuti ben distinti.
I finanziamenti dei soci sono dei veri e propri contratti di mutuo tra la società ed il socio ed il relativo importo, come si è detto, viene iscritto a bilancio al passivo dello stato patrimoniale, con la conseguenza, già ampiamente analizzata, che il denaro versato deve essere restituito al socio che ha effettuato il finanziamento.
I versamenti in conto capitale, ex adverso, non comportano il diritto del socio al rimborso, vengono iscritti a bilancio nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve che l’assemblea può, a propria discrezione, utilizzare per ripianare le perdite ovvero per aumentare gratuitamente il capitale dociale. Il socio, pertanto, non può vantare alcun diritto soggettivo alla restituzione di tali versamenti. Essa, infatti, è meramente eventuale e dipende dalla condizione in cui verrà a trovarsi il patrimonio sociale al momento della liquidazione della società e dalla possibilità che esso sia sufficiente dopo l’integrale soddisfacimento dei creditori sociali (Cass. civ., sez. I, 17/11/2022, n. 33957; Cass. civ., sez. III, 29/10/2018, n. 20978; Cass. civ., sez. I, 29/07/2015, n. 16049).
Tuttavia, nonostante le differenze appena illustrate, non è sempre agile comprendere quale tipo di apporto abbiano inteso effettuare i soci, poiché, come già accennato, le due figure presentano delle similitudini. A tal fine occorre indagare quale sia la reale volontà dei soci.
La modalità di contabilizzazione del finanziamento può certamente rappresentare un indice, ma non è di per sé prova della natura del finanziamento.
Se, ad esempio, un finanziamento è registrato in “in conto aumento di capitale”, esso è da imputare senz’altro a capitale laddove un aumento di capitale sia stato deliberato e di questo rappresenti, dunque, un’anticipazione. Se nessun aumento di capitale è mai stato deliberato o sia decorso il termine entro il quale doveva avvenire, tale fatto rende presumibile che il versamento sia in realtà stato fatto a titolo di mutuo, con conseguente obbligo di restituzione a carico della società (Trib. Firenze, 09/05/2023, n. 1388).
La qualificazione come finanziamento o come versamento destinato a confluire in apposita riserva “in conto capitale” (o altre simili qualificazioni), dipende dall’esame della reale volontà negoziale delle parti, dovendosi trarre la relativa prova non tanto dalla denominazione contenuta nelle scritture contabili quanto piuttosto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso è diretto e dagli interessi che vi sono sottesi (Cass. civ., sez. I, 20/04/2020, n. 7919).
6. Regime dei finanziamenti dei soci erogati nel periodo emergenziale del COVID-19
Il decreto legge n. 23 dell’8 aprile 2020 (c.d. Decreto liquidità), normativa emergenziale adottata per far fronte alla crisi derivante dalla pandemia da Covid 19, ha previsto, all’art. 8, che ai finanziamenti erogati in favore della società dall’entrata in vigore dello stesso, ossia dal 9 aprile 2020, e fino al 31 dicembre 2020 non sono applicabili gli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.(relativo ai finanziamenti nell’attività di direzione e coordinamento), con la conseguenza che non sono sottoposti alla regola della postergazione i crediti da finanziamento erogati entro il 31 dicembre 2020 in situazioni di eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto ovvero in cui sarebbe stato ragionevole effettuare un finanziamento.
La regola della postergazione viene, dunque, congelata per il periodo suindicato e i finanziamenti “liberalizzati” al precipuo scopo di incentivare i soci ad assumere dei comportamenti virtuosi nell’ottica di soddisfare il superiore interesse della società.
Ai fini dell’applicabilità di tale previsione a carattere speciale in relazione allo specifico finanziamento, si deve fare riferimento alla data in cui il debito è sorto.
Di conseguenza, rimangono sottoposti al vincolo della postergazione le eventuali restituzioni di finanziamenti effettuati dopo il 9 aprile 2020 ma concessi precedentemente a tale data.
Arrivati a questo punto sorge spontanea una domanda: quando sarà possibile restituire ai soci le somme versate per finanziare le società durante il periodo emergenziale?
La risposta non può essere immediata e dovrà essere valutata caso per caso. È essenziale evitare comportamenti opportunistici da parte dei soci finanziatori (rischio che la regola della postergazione intende prevenire), ma anche da parte delle società che potrebbero percepire una maggiore libertà di poterli restituire prioritariamente rispetto ai debiti contratti con fornitori ed altri creditori chirografari.
Al fine di scongiurare tali rischi, gli amministratori dovranno avere quale stella polare la continuità aziendale, da perseguire mediante il giusto assetto organizzativo, amministrativo e soprattutto, in questo caso, contabile, che dovrà permanere adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa, così come previsto dall’art. 2086 c.c.
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Salvatore Daina
Avvocato specializzato in diritto commerciale e civile.
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