I limiti della responsabilità per le interviste diffamatorie rese dai Parlamentari

I limiti della responsabilità per le interviste diffamatorie rese dai Parlamentari

L’attività parlamentare esercitata extra moenia finalizzata all’adempimento degli incarichi istituzionali e dunque coperta dalle immunità di cui all’articolo 68 della Costituzione, ha concreti risvolti applicativi anche con riferimento all’attività di cronaca giornalistica posta in essere dal giornalista, che riceva e pubblichi un’intervista rilasciata da un parlamentare, tutte le volte in cui questa contenga delle dichiarazioni offensive e tali da integrare il reato di diffamazione di cui all’articolo 595 codice penale.

Occorre premettere che il giornalista è tenuto, nell’esercizio della sua attività di informazione, al rispetto dei principi di veridicità, di continenza e di pertinenza, i quali valgono a scriminare ex articolo 51 codice penale, ossia come forma di esercizio del diritto, il fatto eventualmente diffamatorio lesivo dell’onore altrui.

In particolare, la veridicità richiede una corrispondenza tra ciò che si narra e ciò di cui il giornalista sia venuto a conoscenza anche a mezzo di informatori, in quanto non può esservi un interesse della collettività alla conoscenza di fatti non accaduti realmente.  Pertanto, un giornalista deve verificare l’autenticità della notizia e della fonte da cui la stessa proviene. Su tale aspetto la giurisprudenza recente ha assunto una posizione più elastica richiedendo una particolare diligenza del giornalista nell’appurare la verosimiglianza della notizia.

La continenza richiede, invece, una correttezza nell’esposizione e che il fatto narrato non diventi uno strumento ed una occasione di offesa altrui.

La pertinenza, infine, posta anche la tutela del cosiddetto diritto all’oblio, presuppone che i fatti esposti rispondano all’interesse della opinione pubblica, non essendo tali quelli che non trovano più una loro attualità poiché risalenti nel tempo.

Devono escludersi dall’area della pertinenza, altresì, quei fatti che attengono alla sfera privata della persona che risultano coperti dal diritto alla privacy; unica eccezione è data dalla particolare notorietà del personaggio o dalla rilevanza pubblica delle funzioni istituzionali eventualmente esercitate, le quali possono ingenerare un legittimo interesse della collettività, anche con riferimento agli aspetti privati della vita di tali personaggi.

Qualora, dunque, il giornalista  pubblichi un’intervista rilasciata da un parlamentare avente un contenuto diffamatorio, è stato fortemente dibattuto se tale condotta possa ricondursi nell’alveo di un concorso nel medesimo reato, nonché se possa configurarsi altresì una responsabilità del direttore del giornale che ometta un controllo sull’attività dei suoi collaboratori, considerata la posizione di garanzia di cui lo stesso risulta investito per effetto degli articoli 57 e 58 del Codice Penale.

Torna in evidenza, in tal caso, il problema relativo alla natura giuridica dell’immunità parlamentare e ad i suoi aspetti applicativi in quanto laddove si inquadri l’attività parlamentare nell’ambito della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto, ex articolo 51 codice penale, l’effetto scriminante si estenderebbe anche all’operato del giornalista e del direttore per effetto dell’applicazione dell’articolo 119 codice penale. Secondo una diversa impostazione, ad oggi maggioritaria, che riconduce l’immunità parlamentare ad una causa personale di esclusione della pena, gli eventuali concorrenti diversamente, non potrebbero beneficiare della stessa avendo essa natura strettamente soggettiva.

Pertanto, ciò che il giudice di merito è chiamato a valutare, tenendo conto del contesto complessivo dell’intervista, è se il giornalista si sia limitato a riportare in toni e modi neutrali, le dichiarazioni dell’intervistato, restando così un terzo spettatore oppure se abbia arrecato un contributo volontario all’operazione di diffamazione partita dalle dichiarazioni dell’intervistato.

La posizione del direttore del giornale, infine, non si discosta dalle regole generali  di cui agli articoli 57 58 del codice penale; per cui qualora il collaboratore del giornale dovesse essere considerato concorrente nel fatto diffamatorio del parlamentare, si dovrà accertare se sia imputabile al direttore,  a titolo di colpa, l’omessa vigilanza e controllo sul contenuto della pubblicazione, ovvero se egli abbia  persino concorso con dolo nel reato commesso dal giornalista, ai sensi dell’articolo 110 codice penale.


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Pasquale Fornaro

Patrocinatore Legale presso P.A. Specializzato nelle professioni Legali presso L'Università degli Studi di Roma "G. Marconi" Laureato in Giurisprudenza presso L'Università degli Studi di Napoli "Federico II"

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