I negozi di destinazione tra autonomia negoziale privata e garanzia patrimoniale generica

I negozi di destinazione tra autonomia negoziale privata e garanzia patrimoniale generica

Con il termine destinazione si designa la facoltà riconosciuta da alcune norme ai privati di funzionalizzare taluni beni ad uno scopo determinato ovvero di creare sugli stessi un vincolo d’indisponibilità senza tuttavia produrre un effetto traslativo.

L’effetto di destinazione, proprio perché dà origine ad un patrimonio separato che può essere aggredito soltanto dai relativi creditori “riservatari” in forza di un selezionato interesse, costituisce un’evidente deroga sia ai principi dell’unitarietà ed universalità della garanzia patrimoniale generica prevista dall’art 2740 C.C.[1], qualificata dalla dottrina come presidio di effettività dei rapporti obbligatori[2] sia al regime di par condicio tra creditori, fatte salve le cause legittime di prelazione, codificato nell’art 2741 C.C. e perciò, secondo la prevalente dottrina[3], avendo rilevanza generale non può essere demandato all’autonomia negoziale delle parti ma deve essere tassativamente previsto e disciplinato dal legislatore.

Per comprendere appieno la fisionomia dell’istituto in esame appare utile evidenziare le sue differenze rispetto a figure analoghe.

In primo luogo il negozio di destinazione si differenzia da quello fiduciario, nelle sue due tipologie cum fiducia e cum creditore, perché in quest’ultimo caso la proprietà viene trasferita ad un altro soggetto, detto fiduciario, con l’obbligo di gestire e di disporre dei beni oggetto della fiducia nell’interesse del fiduciante – disponente[4]. In caso di inadempimento del negozio fiduciario inoltre il fiduciante è meno tutelato rispetto a terzi aventi causa dal fiduciario e rispetto ai creditori dello stesso[5] perché può avere soltanto una tutela obbligatoria e non reale del suo diritto di restituzione del bene.

Ancora, il patrimonio destinato posto in essere con tale negozio si distingue dal pegno e dall’ipoteca per l’oggetto costituito da un complesso di beni e rapporti giuridici e per la contemporanea, duplice deroga ai citati principi contenuti negli artt. 2740 e 2741 C.C.[6]

Altrettanto pregnante appare la distinzione tra i patrimoni destinati o separati e quelli autonomi e segregati. In effetti se il patrimonio destinato o separato che è funzionalizzato ad uno scopo determinato che lo condiziona completamente e dal quale non può essere distratto, rimane nella proprietà dell’originario titolare, quello autonomo fa capo ad un nuovo e distinto soggetto giuridico e di solito si realizza rispetto a più soggetti[7] mentre quello segregato addirittura si caratterizza per la separazione biunivoca della massa separata dal restante patrimonio nei confronti dei rispettivi, reciproci creditori.

Preso atto dell’ammissibilità in via generale, in base al 2 comma dell’art 2740 C.C. di patrimoni destinati nei casi tassativi disciplinati dalla legge, si evidenza che allo stato attuale non è possibile ricostruirne una categoria generale perché si rinvengono nell’ordinamento molteplici fattispecie tipiche di destinazione patrimoniale che presentano tuttavia una struttura e modalità significativamente diverse le une dalle altre.

Tra le figure nominate di separazione patrimoniale si richiamano ad esempio il fondo patrimoniale ex art 167 C.C., i patrimoni destinati ad uno specifico affare di cui all’art 2447 bis C.C. ed il trust disciplinato dalla Convenzione dell’Aja e recepito nel nostro ordinamento con la legge 364/1989. Ad un attento esame queste fattispecie richiamate, pur avendo il denominatore comune della formazione del vincolo sul bene, si differenziano tra loro per quanto attiene l’intensità dello stesso e la tutela accordata ai singoli creditori pregiudicati.

In effetti, con l’atto di costituzione del fondo patrimoniale si crea soltanto un vincolo di destinazione sui beni conferiti dai coniugi e sui frutti prodotti da tali beni ed avverso ad esso i creditori ingiustamente pregiudicati possono esperire l’azione revocatoria.

Nel caso dei patrimoni destinati ad uno specifico affare le esigenze di tutela dei creditori generali sono garantite dai peculiari requisiti formali (contenuto dettagliato della delibera), dalla procedura (delibera adottata a maggioranza assoluta) e dalla tempistica fissata per assicurare il diritto di opzione (decorrenza degli effetti dopo 60 gg dall’iscrizione nel registro delle imprese) ma in difetto di contestazioni si producono addirittura gli effetti di una separazione patrimoniale perfetta.

Infine nel trust, che può essere di scopo o con beneficiari, si rinviene la forma più intensa di destinazione ovvero la segregazione patrimoniale. Con questa operazione negoziale in realtà si realizza contestualmente un effetto traslativo ed uno segretativo perché il disponente (settlor) trasferisce uno o più beni ad un soggetto fiduciario (cd trustee) affinché gestisca i beni nell’interesse di un terzo (cd beneficiary) o per il raggiungimento di uno scopo determinato o ulteriore.

Con la ratifica della Convenzione dell’Aja si è originato in dottrina un vivace contrasto sull’ammissibilità o meno di un trust interno o domestico. Una prima tesi negativa ne ha affermato l’incompatibilità con l’art 2740 C.C. argomentando che una norma di diritto internazionale privato non può avere effetti normativi/innovativi mentre una seconda tesi positiva ha sostenuto che la legge di ratifica della Convenzione dell’Aja concretizza proprio quella condizione di deroga stabilita nel secondo comma dell’art 2740 C.C[8].

Altrettanto critica appare la questione relativa agli atti atipici di destinazione. In proposito analogo, ampio dibattito si è formato in dottrina ed in giurisprudenza sulla possibilità di creare negozi atipici di destinazione dopo l’introduzione nel codice civile dell’art 2645 ter che si occupa della trascrizione degli atti di destinazione di beni immobili o beni mobili registrati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela.

A causa del suo contenuto letterale e della sua collocazione nel libro VI del codice civile, assai controversa appare la qualificazione del citato art 2645 ter C.C.. Un primo orientamento ritiene che si tratti di una norma sugli effetti dell’atto ovvero avente valenza soltanto pubblicitaria, mirata a rendere l’atto opponibile ai terzi. Secondo questo approccio interpretativo con questa norma sarebbe stata introdotta non una nuova tipologia di atti ma un nuovo effetto, quello destinatario, integrativo e mai autosufficiente rispetto a quelli traslativo ed obbligatorio.

Un differente approccio interpretativo, facendo leva sulle prescrizioni sostanziali (durata massima del vincolo, azione a tutela del beneficiario, controllo di meritevolezza del negozio) afferma al contrario che si tratta di una norma sugli atti di destinazione o meglio di una norma di fattispecie che introduce nell’ordinamento una figura generale di negozio atipico con causa di destinazione, prospettando così una nuova e più ampia accezione di potere dispositivo, inteso non più solo in senso attributivo-traslativo.

Anche accogliendo la tesi della natura sostanziale dell’art 2645 ter C.C. permangono tuttavia altri aspetti applicativi critici da vagliare e risolvere.

In primo luogo ci si interroga se l’art 2645 ter si occupi di un negozio ad efficacia reale che attribuisce un diritto reale su di una res o piuttosto di un negozio obbligatorio da cui scaturisce un diritto di credito per il beneficiario nei confronti del disponente.

A favore della prima tesi si invocano l’espresso richiamo al vincolo sul bene, l’intensità dello stesso e l’oggetto specifico della trascrizione rappresentato dai negozi ad efficacia reale.

L’opposta tesi contesta, invece, la natura reale argomentando a contrario che se così fosse, da un lato, l’art 2645 ter C.C. sarebbe inutile poiché lo stesso risultato poteva essere ottenuto con un’interpretazione evolutiva ed elastica del concetto di tassatività degli atti trascrivibili e, dall’altro, che il nuovo negozio ad efficacia reale avrebbe potuto essere inserito nell’art 2643 C.C. e non collocato in modo autonomo dopo la norma che prevede la trascrizione del contratto preliminare ovvero di un negozio ad efficacia obbligatoria.

L’esposto dibattito ha significative ricadute sotto il profilo della tutela del beneficiario perché attribuendo al negozio ex art 2645 ter C.C. natura obbligatoria si legittima soltanto l’esercizio dell’azione di risoluzione unitamente a quella di risarcimento del danno mentre se lo si qualifica ad effetti reali si ammette persino la possibilità di ottenere il recupero del bene in virtù  del diritto di seguito proprio dei diritti reali.

Sul punto si evidenzia che la giurisprudenza in un recente arresto[9] ha confermato la piena adesione alla tesi della natura obbligatoria, già manifestata lo scorso anno[10] affermando che l’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale a favore dei beneficiari ma attribuisce agli stessi soltanto mere facoltà, prive di carattere reale, assoggettate alle valutazioni discrezionali del trustee. Ne consegue che i detti beneficiari non possono essere qualificati come litisconsorti necessari in un’eventuale azione revocatoria avente ad oggetto singoli atti di disposizione fatti dal trustee.

Alcune precisazioni, si rendono necessarie anche per quanto riguarda la forma degli atti di destinazione perché l’art 2645 ter C.C. fa espresso richiamo solo alla forma pubblica omettendo la scrittura privata autenticata nonché quella accertata giudizialmente che pure sono generalmente idonee e sufficienti per la trascrizione. Ad un attento esame della sua ratio, secondo la maggioritaria dottrina[11] la previsione della forma dell’atto pubblico, diversamente dagli altri casi in cui è richiesta, non è ad substantiam ma ad transcriptionem, per ottenere e rendere opponibile l’effetto della separazione dei beni vincolati. Ne consegue che la mancanza della predetta forma pubblica non potrà determinare la nullità dell’atto di destinazione ma la mera inopponibilità dello stesso, con produzione di effetti soltanto obbligatori.

La prescrizione della forma pubblica, indurrebbe inoltre a sostenere che gli atti di destinazione possono avere soltanto natura inter vivos e non anche mortis causa, ma questa opzione interpretativa è superata in dottrina attraverso il confronto con fattispecie analoghe ed un’interpretazione sistematica delle norme che legittimano i negozi testamentari di destinazione, posti in essere addirittura con tutte le diverse forme di testamento (olografo, pubblico e segreto) in base alla loro piena equipollenza.

Un altro aspetto irrisolto attiene alla struttura che può e/o deve assumere il negozio di destinazione previsto nell’art 2645 ter C.C. vista la genericità del dato letterale in proposito (atto di destinazione).

In tema di struttura negoziale si avvicendano tre tesi.

La prima sostiene la necessaria contrattualità dell’atto di destinazione ex art 2645 ter sia in base al generale richiamo all’autonomia contrattuale delle parti ex art 1322 C.C. sia perché l’art 2645 ter C.C. non rispetterebbe in modo puntuale la riserva di legge prevista dall’art 1987 C.C. in materia di promesse obbligatorie[12].

La seconda opzione, basandosi sul dato letterale, ne afferma la natura necessariamente unilaterale evidenziando che “l’atto” si contrappone al contratto.

La terza tesi, infine, condivisa dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie, assume una posizione meno drastica e radicale ed ammette una diversa qualificazione a seconda della concreta volontà delle parti e della sussistenza o meno di un effetto obbligatorio. Pertanto secondo questo approccio è possibile la forma unilaterale ovvero il vincolo di destinazione cd autoimposto o autodichiarato[13] se il negozio ha effetto unicamente destinatorio mentre sarà indispensabile lo schema contrattuale, in ossequio al principio della relatività degli effetti, laddove vi sia un effetto obbligatorio a carico di altri soggetti.

Con riferimento alla tutela accordata ad eventuali creditori pregiudicati dalla destinazione in mancanza di indicazioni espresse nella norma in esame si possono comunque individuare molteplici strumenti facendo riferimento ad istituti e principi  civilistici generali.

In primo luogo, in ragione della natura derogatoria rispetto all’art 2740 CC e del richiamo alla meritevolezza degli interessi, è sicuramente possibile esperire l’azione di nullità ex art 1418 C.C. se il concreto negozio destinatorio è sprovvisto dei suoi necessari elementi costitutivi o non persegue ab origine interessi meritevoli di tutela.

In caso di sopravvenienze, laddove l’interesse sia stato conseguito o non più conseguibile e siano venute meno le ragioni giustificatrici della destinazione e/o il bene vincolato allo scopo, i creditori pregiudicati potrebbero avvalersi anche della richiesta di cancellazione della trascrizione dell’atto di destinazione.

Analogamente sono teoricamente esperibili anche l’azione di simulazione e quella revocatoria sebbene siano più complesse sotto il profilo probatorio, atteso l’onere a carico dei creditori di fornire la prova dei tutti i relativi, specifici requisiti ed in particolare nel primo caso dell’apparenza contrattuale creata dalle parti e dell’accordo simulatorio e, nel secondo, dell’atto di disposizione, dell’eventus damni, del consilium fraudis nonché, nei soli atti a titolo oneroso, anche della partecipazione fraudis del terzo.

Tutto ciò premesso, nonostante la genericità delle indicazioni contenute nell’art 2645 ter C.C. e qualche aspetto critico[14] si può affermare che nell’attuale ordinamento esiste un complesso ed articolato sistema di destinazioni (di negozi destinatori) costituito da figure tipiche volta a volta riconosciute dal legislatore e da una clausola generale prevista nell’art 2645 ter C.C. che facoltizza le fattispecie atipiche con la valvola di sicurezza del controllo della meritevolezza della causa[15].

In realtà mediante un accurato esame ci si avvede che all’interno del predetto sistema l’unico, comune denominatore è proprio rappresentato dall’indispensabile presenza e tutela di un interesse generale o comunque superindividuale che solo può giustificare, come in diritto pubblico, l’alterazione delle regole civilistiche formulate per regolare i rapporti tra soggetti teoricamente uguali e la connessa, apparente violazione dell’art 3 Cost.

In conclusione, cercando di pervenire ad una complessiva lettura del fenomeno destinazione patrimoniale, si può intravvedere una significativa evoluzione nei rapporti tra il titolare del patrimonio ed i suoi creditori a favore dell’autonomia negoziale privata sia pure mediante un incisivo vaglio della meritevolezza degli interessi perseguiti che devono avere valenza generale per legittimare deroghe all’ordinario regime risultante dal combinato disposto degli artt. 2740 e 2741 C.C.*

*Il presente contributo è frutto dell’elaborazione personale dell’autrice e non impegna la Pubblica Amministrazione di appartenenza.


[1]In base a questa norma il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri e non sono ammesse limitazioni di responsabilità se non nei casi stabiliti dalla legge.

[2] A. Plaisant – Dal diritto civile al diritto amministrativo p 57 e ss – Forumlibri 2016

[3] F. Caringella – L. Buffoni Manuale di diritto civile p 1594 Dike Giuridica 2017

[4] C.M. Bianca Istituzioni di diritto privato P 523 e ss. Giuffré 2016

[5] Costagliola – I vincoli di destinazione patrimoniale con particolare riguardo alla fondazione di fatto, al trust interno ed ai negozi fiduciari su www.iurisprudentia.it rivista giuridica con direttore scientifico Maurizio Santise

[6] Cosi C.M. Bianca op. cit.

[7] Costituiscono esempi di patrimonio autonomo il fondo patrimoniale del contratto di rete, nell’opzione del fondo privo di soggettività giuridica, i fondi pensione, i fondi comuni d’investimento mobiliare e secondo alcuni anche i patrimoni affidati in gestione alle SIM.

[8] M. Fratini – Compendio Maior di Diritto Civile p 244 e ss. Neldiritto Editore 2014

[9] Cass. civ. Sez. III n 9637 del 19.04.2018 su www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=15725

[10] Cass. civ. Sez. III n 19376 del 03.08.2017 su www.rivistafamilia.it

[11] B. Franceschini – Atti di destinazione art 2645 ter c.c. e trust p 277 – 293 su Trust volume 2 Giappichelli Torino 2008 e G. Petrelli – La trascrizione degli atti di destinazione p 162 e 163, in Riv. Dir. Civ. 2006, II

[12] Ex multis M. Di Pirro – Gli atti di destinazione (art 2645 ter c.c.) su www.simone.it/facebook/destinazione.pdf

[13] Sempre M. Di Pirro op cit.

[14] Non a caso la dottrina definisce l’art 2645 ter C.C. un frammento di disciplina – così M. Bianca – “Novità e continuità dell’atto negoziale di destinazione” relazione a “La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione – l’art 2645 ter del codice civile”- tavola rotonda tenutasi a Roma il 17 marzo 2006 – Giuffré 2007.

[15] In proposito si evidenzia che parte della dottrina qualifica la circostanza che l’istituto previsto nell’art 2645 ter C. non sia ingabbiato in schematizzate regole procedurali proprie dei singoli istituti un indubbio vantaggio e/o pregio – così M. Bianca in Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata – la categoria dell’atto negoziale di destinazione. Vecchie e nuove prospettive su http://elibrary.fondazionenotariato.it


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Alessandra Gaspari

Funzionario PA, laureata in giurisprudenza e scienze politiche, abilitata alla professione di avvocato. Master in scienze dell'Amministrazione e mediatore conciliatore professionista. E' autrice di contributi pubblicati su riviste giuridiche cartacee e telematiche (Cedam, www.diritto.it, www.altalex.it, lavoro e previdenza oggi, www.lexitalia.it ed ora anche su www.salvisjuribis)

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