I patti successori tra civil law e common law
Sommario: Premessa – 1. La posizione degli ordinamenti giuridici comunitari in materia di patti successori – 2. Le diversità nella common law – 3. L’attualità dei patti successori: prospettive di riforma
Premessa
Particolarmente nota, nel contesto giuridico nazionale ed internazionale, è l’attualità del tema dei patti successori, che accende dibattiti tra chi difende la ratio del divieto vigente nell’ordinamento italiano (ed in pochi altri ordinamenti continentali) e chi sostiene un adeguamento alla normativa giudica di molti stati che, invece, ammettono accordi che regolano la futura situazione successoria.
Con il termine “patti successori” si intendono tutti quegli atti, mortis causa o inter vivos, mediante i quali un soggetto dispone della propria successione (in tal caso si parlerà di patti costitutivi o istitutivi), di un’eredità non ancora aperta (c.d. patti dispositivi o pacta corvina) o mediante i quali il soggetto rinuncia alla medesima (tali atti prendono il nome di patti abdicativi o rinunciativi).
Il codice civile italiano, all’articolo 458 c.c.[1], sancisce il generale divieto di patti successori esteso a tutte le citate categorie, ponendosi in continuità con l’articolo precedente nel quale si stabilisce la stretta tipicità della vicenda successoria esclusivamente legata alle fonti del testamento e della legge.
Dal combinato disposto di tali disposizioni risulta chiara la volontà del legislatore italiano di circoscrivere le fonti della delazione ereditaria a quella testamentaria e quella legittima, escludendo invece quella convenzionale.
La ratio del citato divieto, in particolare riguardo i patti istitutivi, è di preservare l’assoluta revocabilità del testamento “usque ad vitae supremum exitum”[2], mentre con riguardo ai patti successori dispositivi e abdicativi, la ragione sottostante il divieto è quella di evitare che i contraenti, facendo affidamento su un patrimonio di cui non sono ancora titolari, sperperino ciò che presumono di ricevere alla morte del de cuius e che concludano accordi contrari alla morale pubblica.
Appare necessario, quale premessa all’analisi comparatistica che seguirà, un inquadramento storico del fenomeno.
A dispetto dell’opinione, ampiamente diffusa, per cui il divieto di patti successori risalga al diritto romano, tale proibizione risulterebbe essere, in vero, una creazione moderna[3]. Si è osservato, infatti, che il divieto di taluni tipi di patti successori è apparso sulla scena giuridica solo sul finire dell’epoca classica con l’avvento degli imperatori e la connessa giurisprudenza. In ossequio al principio della libertà di testare, si tutelava la possibilità per l’individuo di modificare le disposizioni di ultima volontà fino al momento della propria morte[4].
Nella nullità prevista per i patti successori, in particolare per quelli dispositivi, risiedeva (e risiede tutt’oggi) l’intenzione di soffocare il c.d. votum captandae mortis (anche definito in dottrina votum corvinum), ossia il desiderio della morte altrui per ottenere l’eredità del de cuius, contrario alla morale pubblica[5].
Dall’analisi storica si evince, dunque, l’assenza di un principio o di una norma generale che definisse tale divieto.
Al contempo, è, tuttavia, da segnalare che, nonostante il giudizio negativo sui citati patti, il diritto romano riteneva ammissibili fattispecie, coeve al testamento, che oggi senza dubbio ricadrebbero nel divieto di patti successori.
Merita di essere ricordata la “mortis causa donatio” in quanto costituisce esempio lampante di un istituto pacificamente ammesso nella dottrina romana[6], ma la cui liceità è respinta nell’attuale ordinamento giuridico italiano. È vietata, infatti, una donazione in cui la morte del donante costituisce la causa dell’attribuzione patrimoniale, essendo in contrasto con il principio fondamentale della revocabilità delle disposizioni mortis causa[7].
Il rimarcare costantemente la proibizione dei citati patti ha corroborato un’altra idea che illustre dottrina del tempo ha novellato più volte, ossia l’assolutezza del testamento, antagonista logico dei patti successori. Quest’ultimo ha, infatti, acquistato un senso di esclusività che imporrebbe l’assunto che in quel periodo storico l’unica forma di delazione ereditaria fosse quella testamentaria.
A seguito di tale premessa storica, occorre rilevare come la rigida posizione dell’ordinamento italiano in materia di patti successori, solo di recente ammorbiditasi con l’introduzione del patto di famiglia[8], costituisca quasi un unicum nello scenario europeo ed internazionale, dunque di civil law e common law.
Sulla scia della maggior parte degli ordinamenti giuridici comunitari, anche l’Italia ha cercato di ridurre la sfera applicativa e la portata dell’art 458 cod. civ., evitandone l’estensione a rapporti che non integrino la fattispecie in tutti i suoi elementi. Pertanto, l’ordinamento italiano sanziona con la nullità i negozi giuridici – diversi dal testamento – la cui causa risiede nella morte di una delle parti, mentre ritiene ammissibili quelli, conclusi inter vivos, nei quali l’evento morte risulta essere semplice elemento accidentale del negozio.
Ciò pone, dunque, la questione della distinzione tra contratti mortis causa e contratti inter vivos con effetti post mortem, in quanto non tutti i contratti i cui effetti siano in qualche modo legati alla morte di uno dei contraenti sono necessariamente nulli. Esemplare in questo senso è il mandato post mortem, caratterizzato dalla previsione di un obbligo a carico del mandatario di compiere una certa attività dopo la morte del mandante.
La nullità o meno di tale istituto è stata oggetto di svariate pronunce da parte della Suprema Corte di Cassazione[9], la quale ha distinto l’unitaria fattispecie iniziale in tre diverse figure: il mandato post mortem exequendum, il mandato mortis causa e il mandato post mortem in senso stretto.
La Cassazione ha chiarito la validità della prima tipologia negoziale, la quale, realizzandosi quando le parti concludono un contratto di mandato subordinandone l’esecuzione dopo la morte del mandante, deroga la regola mandatum mortem finitur di cui all’art. 1722, comma 4, cod. civ.[10]
Diversamente, la seconda fattispecie, configurandosi laddove il contratto, concluso in vita dal mandante, ha lo scopo di porre in essere un’attribuzione patrimoniale mortis causa non per testamento, costituisce un’ipotesi di patto successorio vietato dalla legge.
Particolare è, infine, l’ultima delle tre figure sopracitate – il mandato post mortem in senso stretto – in quanto è definito impropriamente “mandato”, essendo, invece, un atto un atto unilaterale posto in essere dal de cuius con cui quest’ultimo incarica un soggetto di svolgere un’attività giuridica dopo la sua morte. Per tale motivo la validità di tale istituto dipende semplicemente dal rispetto dei requisiti di forma previsti dal testamento.
Appare, pertanto, chiaro che il criterio distintivo assunto dalla giurisprudenza italiana in ordine all’ammissibilità dei citati atti bilaterali è il momento in cui tali contratti vengono perfezionati, essendo questi ultimi validi soltanto se il trasferimento del diritto dal mandante al mandatario si sia perfezionato in un momento antecedente alla morte del de cuius.
1. La posizione degli ordinamenti giuridici comunitari in materia di patti successori
Da un’analisi di diritto comparato in materia di patti successori è emersa la coesistenza, nel panorama giuridico europeo, di due “modelli polarizzati”[11]: quello tedesco – nel quale i patti sulle successioni future sono ampiamente accolti – e quello francese che, come l’ordinamento italiano, li osteggia. Con talune eccezioni seguono anche Austria e Spagna.
Quanto alla Germania, i patti successori (Erbverträge) sono disciplinati ai paragrafi 1941 e 2274 del BGB, i quali stabiliscono che il disponente (Erblasser) può ricorrere al contratto ereditario (Erbvertrag) sia per istituire gli eredi (Erbeinsetzung), sia per disporre legati (Vermächtnisse) nonché per imporre oneri (Auflgen). Pertanto, il diritto tedesco riconosce, quale strumento dispositivo dei beni del defunto dopo la sua morte, accanto al testamento, anche l’Erbvertrag. Entrambi gli istituti rientrano, dunque, nella categoria dei negozi mortis causa[12], con la fondamentale differenza che il negozio contrattuale tedesco si sostanzia – rispetto al testamento che è un atto unilaterale – in un accordo bilaterale[13]. In aggiunta, essendo il patto successorio un vero e proprio contratto, per la sua conclusione è necessaria, oltre alla piena capacità testamentaria, anche una piena capacità negoziale[14].
La duplice natura di contratto e, al tempo stesso, di negozio mortis causa[15] rende complesso l’approccio allo studio della disciplina dell’istituto tedesco: esso, infatti, presenta il medesimo contenuto del testamento – e come questo è un atto personalissimo il cui perfezionamento richiede necessariamente l’assistenza di un notaio (§ 2276 BGB) – ma, al contempo, la sua natura contrattuale limita fortemente la possibilità di una sua revoca unilaterale[16].
Sotto il profilo degli effetti prodotti dal citato negozio mortis causa, si rileva che il disponente (Erblasser) – come avviene nel testamento – non dispone del proprio patrimonio in via immediata, né assume una vera e propria obbligazione, pertanto il momento in cui si producono gli effetti del contratto è saldamente individuato nella morte dell’Erblasser. Tuttavia, ciò non deve indurre a pensare che in questo modo viene limitata l’autonomia privata del disponente, il quale, anche a seguito della stipulazione del patto successorio, conserva comunque la facoltà di disporre del proprio patrimonio attraverso atti inter vivos. Pertanto, l’erede, il legatario o il beneficiario non acquisiscono alcun diritto successorio prima della morte del de cuius, ma, con la stipula dell’accordo successorio, diventano titolari di una mera aspettativa[17].
Quanto al contenuto del contratto, la dottrina tedesca segnala una summa divisio tra disposizioni di natura contrattuale e disposizioni unilaterali: le prime (§2278) realizzano l’istituzione di eredi o di legatari ovvero l’attribuzione di oneri, le seconde fanno riferimento alle clausole inseribili nel testamento quale, esemplificativamente, la nomina di un esecutore testamentario.
Appare opportuno ricordare, in questa sede, che la Germania ha accolto, da tempo, accanto al testamento semplice, anche quello congiuntivo (o comune), definito “gemeinschaftliches Testament” (§ 2265 ss. BGB), che costituisce una forma “privilegiata” di testamento consentita esclusivamente ai coniugi e ai conviventi registrati[18]. Il privilegio consiste nella possibilità per questi ultimi di redigere l’atto di ultima volontà in un unico documento e con un’unica dichiarazione, anche ricorrendo a forme semplificate inclusa quella olografa. Esso è valido anche se redatto in forma olografica da uno solo dei coniugi purché l’altro lo abbia controfirmato.
Analogamente, l’Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch (il codice civile) austriaco disciplina il contratto successorio con due importanti limitazioni: in primo luogo la possibilità di stipulare tale contratto è riservata esclusivamente ai coniugi, in secondo luogo il potere di disporre è limitato quantitativamente, essendo un quarto del patrimonio comunque nella libera disponibilità del de cuius[19].
Su una posizione nettamente distinta si colloca l’ordinamento francese, il quale, in plurime norme, vieta la possibilità di patti successori.
Il divieto trae origine dal costituente assunto, sviluppatosi con la Rivoluzione francese, successivamente confermato nel Code Civil e attualmente vigente, che l’illimitata libertà di disporre – indipendentemente dal mezzo utilizzato – potesse consolidare ricchezze e privilegi, e che i beni, attraverso la c.d. “partage égal”, dovessero essere divisi tra gli eredi in parti uguali.
Il secondo comma dell’art. 1130 Code Civil, nella sua versione precedente alla modifica del 2007[20], sanciva, infatti, che non si può rinunciare ad una successione non ancora aperta, né fare alcuna stipulazione sopra la medesima, neppure con il consenso di quello della cui successione si tratta. Il testo modificato nel 2007 introduce alcune eccezioni al citato divieto. Fra queste, appare opportuno ricordare, oltra la già menzionata donation-partage[21], la c.d. “institution contractuelle”, anche nota come donation de biens à venir, che permette ai coniugi di disporre, mediante contratto matrimoniale, in tutto o in parte dei beni che lasciano, al momento della morte, tanto a beneficio del predetto coniuge, quanto a beneficio dei figli non ancora nati dal matrimonio, nel caso in cui il donatore sopravviva al coniuge donatario[22].
Ulteriore deroga alla regola generale sui patti successori è rappresentata dall’istituto francese del “mandat a effet posthume” (art. 812 del Code), che altro non è se non il mandato post mortem, il quale attribuisce la possibilità a chiunque di conferire, ad una o più persone (fisiche o giuridiche), un mandato ad amministrare o gestire tutto o parte del proprio patrimonio, laddove vi sia un interesse serio e legittimo[23]. Pur essendo innegabilmente ispirato alla figura giuridica del trust, tale mandat ad effet posthume “non attribuisce al mandatario la proprietà fiduciaria dei beni oggetto del mandato, con la conseguenza che il mandatario non può compiere atti dispositivi aventi ad oggetto i predetti beni né può sostituirsi all’erede nell’esercizio delle opzioni successorie”[24].,
È ulteriormente interessante notare come, in Francia, pur in costanza del divieto di patti rinunciativi dell’eredità, è ammessa la rinunzia preventiva all’azione di riduzione nonché all’azione di restituzione nei confronti di terzi acquirenti. Nell’ordinamento francese, pertanto, il legittimario, prestando il proprio consenso alla donazione, “si preclude la possibilità di agire nei confronti del terzo acquirente dal donatario”[25].
Passando in rassegna gli altri ordinamenti, assume rilievo in materia di patti successori la disciplina spagnola. È noto che la Spagna è uno Stato costituito da autonomie locali, il cui riconoscimento comporta che le Comunità autonome possono legiferare in materia civile. Ciò accade in particolare con i patti successori, la cui disciplina generale è contenuta nel Codigo Civil – agli articoli 635, 658 e seguenti – ma con talune eccezioni previste dal diritto locale dei fueros, ossia compilazioni di leggi e consuetudini territoriali risalenti al XI secolo – e tuttora vigenti in diverse parti del territorio spagnolo (Catalogna, Galizia, Aragona, Paesi Baschi, Isole Baleari, Navarra) – che prevalgono sul codice civile nazionale, in quanto il potere legislativo in materia successoria è rimesso al Derecho Foral.
Dal combinato disposto degli articoli 658 e 1271 del Codigo Civil risulta che il codice civile spagnolo non ammette una successione contrattuale, sancendo che la successione è regolata dalla volontà dell’uomo espressa nel testamento, o in mancanza di quest’ultimo è regolata dalla legge, e che sulla futura eredità non sarà possibile stipulare contratti diversi da quelli finalizzati all’esercizio inter vivos della divisione di un patrimonio[26].
Tra le deroghe alla disciplina generale, si ricorda quella vigente in Catalogna[27], il cui regime in materia di patti successori costituisce senza dubbio l’innovazione più importante apportata al quarto libro (delle successioni) del codice civile catalano rispetto alla normativa previgente.
La legge catalana accoglie i patti successori, concependo questi ultimi come una forma di donazione universale, le cui caratteristiche fondamentali riguardano, da un lato, il contenuto del titolo successorio in quanto i patti non si limitano (più) all’istituzione dell’erede ma ammettono anche l’esecuzione di particolari attribuzioni, dall’altro, i patti sulle future successioni risultano ormai separati dal contesto matrimoniale, nel senso che, mentre in passato la loro stipulazione poteva avvenire solo negli accordi matrimoniali, oggi questo non è più un requisito essenziale.
L’idea di un’armonizzazione della normativa in materia di patti successori da parte dei vari Stati è stata manifestata anche a livello europeo. Con la Raccomandazione n. 94/1069 del 1994 e la Comunicazione n. 98/C 93/02 del 1998, le Istituzioni comunitarie hanno espresso, infatti, l’auspicio che gli Stati membri, nei quali permane il divieto in oggetto, possano rimuovere tale limitazione dell’autonomia privata, considerata “un’inutile e obsoleta complicazione, contrastante con l’esigenza di una sana gestione degli assetti patrimoniali”[28].
2.Le diversità nella common law
A differenza dei sistemi di civil law, i quali conoscono la figura dei patti successori ma sono i singoli Stati che stabiliscono se accoglierli o meno, agli ordinamenti di common law è completamente estraneo il contratto ereditario. In questi ultimi, testamento e contratto sono due strumenti del tutto distinti dell’autonomia privata e non conoscono intersezioni sul piano della fattispecie[29].
È possibile, invece, stipulare delle convezioni in base alle quali il disponente assume l’obbligo di redigere il testamento secondo un determinato contenuto ovvero di non revocare un testamento già redatto; nel primo caso si stipula un “contract to make a will”, nel secondo un “contract not to revoke a will”. Sul punto, in ottica comparatistica, è opportuno evidenziare che tale possibilità non esiste, invece, nell’ordinamento tedesco, anzi il §2302 BGB, salvaguardando la libertà di testare del de cuius, dichiara nulla una tale obbligazione[30].
In common law, la conclusione dei citati contratti comporta che se il testatore, nel redigere (o revocare) il proprio testamento, viene meno a tale obbligo, il testamento così redatto non è invalido o nullo, ma il promissario potrà agire in giudizio, proponendo un’azione per inadempimento contrattuale che sarà diretta al personal representative[31].
Pur non essendo propriamente definiti patti successori, entrambi i predetti “contracts” presentano notevoli affinità con questi ultimi. In particolare, sia gli uni che gli altri, in quanto contratti, richiedono che le parti contraenti siano in possesso della capacità negoziale[32]; che esse reciprocamente accettino il contratto affinché quest’ultimo sia vincolante; e, ancora, che l’accordo sia supportato da una valida motivazione[33].
Appare opportuno osservare anche la disciplina anglo-americana dei “joint and mutual wills” – ossia dei testamenti congiuntivi e quelli reciproci – nei quali si è in presenza di una pluralità di volontà autonome.
Un “joint will” è un testamento eseguito da due o più testatori (di solito coniugi) il cui contenuto può essere modificato, quando i testatori sono ancora in vita, solo con il consenso di entrambi, mentre alla morte di uno dei due, il coniuge superstite può modificarlo (o revocarlo) senza alcuna formalità, vanificando così l’intento testamentario del defunto. Un “mutual will” ha generalmente lo stesso obiettivo di un testamento congiuntivo ma, a differenza di quest’ultimo, ogni testatore deve eseguire la propria volontà[34].
Nonostante la contestualità dell’atto, in entrambi i tipi di testamento ciò non impedisce a ciascuna delle parti di revocare autonomamente il “proprio” testamento. La legge anglo-americana distingue la disciplina della revocabilità di tali testamenti a seconda che ciò avvenga prima della morte di entrambi i testatori ovvero dopo il decesso di uno di questi.
Nel primo caso la legge sembra essere ben chiara nell’affermare che, durante la vita di entrambe le parti di un testamento reciproco o congiuntivo – eseguito o meno in virtù di un contratto – ciascuna delle parti può revocare detto testamento nella misura in cui pretende di disporre della sua proprietà, previa comunicazione all’altra parte dell’intenzione di revoca[35]. Nel caso di morte di uno dei testatori, invece, la normativa distingue a sua volta se sia stato stipulato o meno un previo contratto tra le parti. In assenza di contratto e in caso di accettazione da parte del superstite dei benefici del testamento dell’altro, si ritiene generalmente che il testatore sopravvissuto possa revocare il testamento ed eseguirne invece uno individuale, separato e contenente disposizioni diverse dal precedente, a condizione che dette volontà reciproche fossero “the result of the union of life and purpose, and not of a negotiation”[36].
Laddove, invece, le parti abbiano siglato un previo accordo per redigere un mutual will, l’una in considerazione dell’altra o dietro altro corrispettivo, la questione della revocabilità si intreccia con le regole dell’equity che disciplina i trusts. In tal caso la citata regola – annoverata tra i principi fondamentali della common law – può dichiarare la revoca inefficace con la conseguenza pratica che i risultati inizialmente programmati vengono realizzati mediante un trust istituito a favore del beneficiario nominato dal testamento congiunto[37].
3. L’attualità dei patti successori: prospettive di riforma
Il quadro che si è così delineato nel corso della trattazione, consente alcune osservazioni di carattere generale. In particolare, avendo speculato sulla disciplina dei patti successori nei sistemi di common law e civil law, appare opportuno, conclusivamente, consigliare percorsi di riflessione sul potenziale superamento del divieto in esame.
In tale prospettiva, al principio dell’analisi che ci si accinge a compiere, si ritiene necessario individuare quei fattori che si oppongono ad una tale riforma e che sostengono la conservazione dell’attuale istituto.
In primo luogo, viene qui in considerazione l’atteggiamento conservativo della prassi notarile, la quale, seguendo il tenore letterario dell’art. 458 c.c., tende ad applicare il citato divieto con particolare rigore, soprattutto alla luce dell’art. 28 della L. 16 febbraio 1913, il quale sancisce il divieto per i notai di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico[38] e la cui violazione comporterebbe pesanti ammende, fino ad arrivare alla destituzione.
Ciò spiegherebbe anche la scarsa applicazione del regolamento europeo n. 650 del 2012, che avrebbe potuto significativamente ridimensionare tale divieto. Infatti, ai sensi della legge italiana di attuazione del regolamento comunitario – L. n. 161 del 2014 – proprio il notaio sarebbe stata la figura designata quale autorità abilitata al rilascio del certificato europeo[39].
Appare chiaro, pertanto, che l’unica modalità attraverso la quale appare concepibile il superamento del divieto di patti successori nel nostro ordinamento sarebbe un’esplicita riforma legislativa. Ed è proprio qui che si annida un’ulteriore problematica. È noto che l’ostacolo più arduo all’eliminazione del divieto è da rinvenirsi nella tutela dei legittimari. Dunque, tale eliminazione comporterebbe, quale conseguenza logica, l’annessa riforma della successione necessaria, attualmente fortemente imperniata sulla tutela dei legittimari[40].
[1] Art. 458 Cod. civ.: “Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”.
[2] C. CERSOSIMO, Il divieto di patti successori e la liceità dei negozi post mortem, in Riv. Familia, 2017. L’autore aggiunge alle motivazioni che sostengono il divieto di patti successori anche il preteso principio di esclusività del testamento, considerando quest’ultima quale unica forma utilizzabile per disporre dei propri beni post mortem; L. COVIELLO, Diritto successorio, Bari, 1962, p. 247 ss., dove si evidenzia che lo stesso principio viene utilizzato anche per giustificare il divieto di testamento congiuntivo.
[3] M.V. DE GIORGI, I patti sulle successioni future, Napoli, 1976, p. 20 e ss.; R. LENZI, Il problema dei patti successori tra diritto vigente e prospettive di riforma, in Riv. Not, 1989, p. 1215, nota 19, “è opinione diffusa che il divieto dei patti successori nel nostro ordinamento risalga al diritto romano. Ma ad una più attenta riflessione, anche tale argomento s’appalesa anfibolico”; F.P. TRAISCI, Il divieto di patti successori nella prospettiva di un diritto europeo delle successioni, ESI, 2014, p. 33, afferma che “(…) se `e vero che “una folla di leggi” proibiva specificatamente una parte relativamente importante di figure negoziali che potevano indurre ad un cd. votum captandae mortis, (detto anche votum corvinum, ossia l’augurio di morte), ritenendole contrarie tanto al buon costume, quanto all’ordine pubblico, `e altrettanto vero che solo in linea di forte approssimazione può sostenersi che un simile generale divieto trovasse radici nel diritto romano classico, venendo successivamente ripreso anche in quello bizantino ed in quello medievale, proprio perché in nessuno di tali periodi sarebbe riscontrabile la presenza di una proibizione generalizzata nei confronti di tutti i patti successori”.
[4] Tale principio era espresso nel brocardo latino “ambulatoria est enim voluntas defuncti usque ad vitae supremum exitum”, Dig, XXXIV, 4, 4, Ulpiano, libro trigesimo tertio ad Sabinum; F. GERBO, Patti successori, in Enc. giur. Treccani, XXII, Roma, 2009 p. 2; A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di Diritto Privato, Milano, 2015, p. 1327, “I patti istitutivi, vincolando il de cuius, gli toglierebbero quella libertà di disporre che la legge riconosce ad ogni persona fino al momento della morte”.
[5] G. VISMARA, I patti successori nella dottrina di Bartolo, Studi in onore di Emilio Betti, vol. IV, Milano, 1962, p. 483; riguardo, invece, i patti rinunciativi, si sostiene che il divieto di questi ultimi scaturisca dalla volontà di non derogare l’ordine legale della successione, così G. VISMARA, Storia dei patti successori, Milano, 1986, p. 77; O. BENELLI, I patti successori e le disposizioni del codice civile italiano, Tempio, 1936, p. 12; V. BARBA, I patti successori e il divieto di disposizione della delazione. Tra storia e funzioni, Diritto delle successioni e della famiglia, Quaderni, 2, ESI, 2015, p. 11.
[6] B. WINDSCHEID, Diritto delle pandette (a cura di C. Fadda e P.E. Bensa), III, Torino, 1930, p. 104 e ss. Anche F. GERBO, Patti successori, in Enc. giur. Treccani, XXII, Roma, 2009, p. 2, sostiene la liceità dell’istituto in quanto afferma che esso non attribuisce la qualità di erede ma solo beni.
[7] È valida, invece, una donazione che presenta una condizione di premorienza del donante (“se il donante morirà prima del donatario”), come afferma A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di Diritto Privato, Milano, 2015, p. 1327, “perché, retroagendo la condizione al momento della conclusione della donazione, l’attribuzione patrimoniale dipende da un atto inter vivos e non mortis causa”.
[8] L. 14 febbraio 2006, n. 55. Si rinvia al § 4, cap. III.
[9] Cass., 3.3.2009, n. 5119, in www.dejure.it
Cass., 1.10.2003, n. 14590, in www.dejure.it
[10] C. CERSOSIMO, Il divieto di patti successori e la liceità dei negozi post mortem, in Riv. Familia, 2017; V. PUTORTI’, Mandato post mortem e divieto di patti successori, in Obbligazioni e Contratti, 2012, p. 737; ID., Morte del disponente e autonomia negoziale, Milano, 2001, p. 202 ss.; L. VIZZONI, Mandato post mortem ed eredità digitale, in Riv. Familia, 2019.
[11] Così A. FUSARO, Uno sguardo comparatistico sui patti successori e sulla distribuzione negoziata della ricchezza d’impresa, in Riv. dir. priv., 2013, p. 354.
[12] Verfügungen von Todes wegen; B. Eccher, Antizipierte Erbfolge, Berlin, 1980; D. Olzen, Die Vorwegge- nommene Erbfolge, Berlin, 1984; H. Kollhosser, Aktuelle Fragen der Vorwegge- nommenen Erbfolge, in Archiv fur civ. praxis, 194 (1994), pp. 231 ss.
[13] In tal senso A. ZOPPINI, Le successioni in diritto comparato, in Trattato di diritto comparato (diretto da R. SACCO), Torino, 2002, p. 167; Per un approfondimento sul tema si veda anche M. V. DE GIOGI, I patti sulle successioni future, Napoli, 1976, p. 201 ss.; Y.H. LELEU, Les pactes successoraux en droit comparé, 1995, p. 572 ss; aggiunge S. ACETO DI CAPRIGLIA, in I “divieti” di patti successori nel sistema di civil law, in Quaderni de “Il Foro napoletano”, 2019, p. 75, che “attraverso il negozio in questione, è possibile designare come erede, legatario o beneficiario sia la controparte che un terzo”.
[14] Costituisce eccezione a quanto appena detto l’ipotesi in cui il contratto sia stato siglato da coniugi o nubendi, con l’approvazione del rappresentante legale o del giudice.
[15] (Doppelnatur des Verfügung von Todes Wegen und Vertrag). A. FUSARO, Uno sguardo comparatistico sui patti successori e sulla distribuzione negoziata della ricchezza d’impresa, in Riv. dir. priv., 2013, p. 354, nota 5, “Tale ambivalenza si riflette sugli effetti, giuridici di negozio mortis causa. Infatti, come avviene nel testamento, il disponente (Erblasser) non dispone del proprio patrimonio nell’immediato e non assume un’obbligazione in senso tecnico (er verpflichtet sich nicht schuldrechtlich): trattandosi di negozio a causa di morte, gli effetti si produrranno solo al momento del decesso. Pertanto, la conclusione dell’Erbvertrag non può incatenare la libertà negoziale del disponente, il quale conserva la piena capacità di destinare il suo patrimonio con negozi giuridici inter vivos. Conferma proviene dal par. 2286 BGB, secondo cui l’Erbvertrag non limita il diritto di disporre del proprio patrimonio. Allo stesso tempo l’erede o legatario designato nel contratto, prima della morte del de cuius, non acquista alcun diritto né alcuna aspettativa di diritto, ma soltanto un’aspettativa di fatto. Non sono quindi riconducibili alla figura dell’Erbvertrag figure, quali il contratto di compravendita (Kaufvertrag), i cui effetti siano posticipati al momento della morte, oppure la vendita dell’eredità (Erbschaftskaufvertrag), la donazione mortis causa (Schenkung von Todes wegen: par. 2301)”.
[16] § 2289 BGB, comma 1: “Durch den Erbvertrag wird eine frühere letztwillige Verfügung des Erblassers aufgehoben, soweit sie das Recht des vertragsmäßig Bedachten beeinträchtigen würde. In dem gleichen Umfang ist eine spätere Verfügung von Todes wegen unwirksam, unbeschadet der Vorschrift des § 2297.” (Il contratto di successione annulla una precedente disposizione testamentaria del testatore nella misura in cui lederebbe i diritti del beneficiario contrattualmente. Nella stessa misura è inefficace una successiva disposizione mortis causa, nonostante la disposizione della Sezione 2297). Sul punto v. D. NOLTING, Der Änderungsvorbehalt beim Erbvertag, Berlino, 1994.
[17] S. ACETO DI CAPRIGLIA, I “divieti” di patti successori nel sistema di Civil law, in Quaderni de “il Foro napoletano”, 36, 2019, p. 76.
[18] Ai sensi del Lebenspartnerschaftsgesetz.
[19] Rispettivamente § 1249: “Zwischen Ehegatten kann auch ein Erbvertrag, wodurch die künftige Erbschaft oder ein Teil derselben versprochen und das Versprechen angenommen wird, geschlossen werden (§ 602). Ein solcher Vertrag muss als Notariatsakt und mit allen Erfordernissen eines schriftlichen Testamentes errichtet werden”. 1253: “DurchdenErbvertragkanneinVertragspartneraufdasRecht zu testieren nicht gänzlich verzichten. Ein reines Viertel, das weder durch Pflichtteile noch durch andere Forderungen belastet sein darf, muss zur freien letztwilligen Verfügung stehen. Hat der Verstorbene darüber nicht verfügt, so fällt dieses Viertel nicht dem Vertragserben, auch wenn ihm im Erbvertrag die ganze Verlassenschaft versprochen wurde, sondern den gesetzlichen Erben zu”.
[20] Modifica intervenuta con la Loi n. 2006-728 del 26 giugno 2006, art. 29.
Art. 1130, comma 2: “On ne peut cependant renoncer à une succession non ouverte, ni faire aucune stipulation sur une pareille succession, même avec le consentement de celui de la succession duquel il s’agit.”
[21] Si rinvia al § 4, capitolo III, per la trattazione sulla donation – partage.
[22] Art. 1093 Code Civil: “Les père et mère, les autres ascendants, les parents collatéraux des époux, et même les étrangers, pourront, par contrat de mariage, disposer de tout ou partie des biens qu’ils laisseront au jour de leur décès, tant au profit desdits époux, qu’au profit des enfants à naître de leur mariage, dans le cas où le donateur survivrait à l’époux donataire”. Parte della dottrina francese ritiene che tale eccezione si giustifichi con l’idea che essa tuteli e incoraggi la formazione della famiglia, in tal senso C. LESSONA, La revocabilità del testamento nella sua evoluzione storica, Torino, 1866, p. 62.
[23] Sul punto si veda A. FUSARO, Uno sguardo comparatistico sui patti successori e sulla distribuzione negoziata della ricchezza d’impresa, in Riv. dir. priv., 2013, p. 364.
[24] Così S. ACETO DI CAPRIGLIA, I “divieti” di patti successori nel sistema di Civil law, in Quaderni de “Il Foro napoletano”, 2019, cit. p. 94.
[25] In questi termini si esprime G. PETRELLI, Sulla sicurezza degli acquisti da eredi e donatari, in Notariato n. 2/2005, p. 213, il quale afferma che analoga disciplina è vigente anche in Lussemburgo.
[26] Art. 658 Codigo Civil, comma 1: “La sucesión se defiere por la voluntad del hombre manifestada en testamento y, a falta de éste, por disposición de la ley.”
Art. 1271 Codigo Civil, comma 2: “Sobre la herencia futura no se podrá, sin embargo, celebrar otros contratos que aquéllos cuyo objeto sea practicar entre vivos la división de un caudal y otras disposiciones particionales, conforme a lo dispuesto en el artículo 1056.”
[27] Per gli altri territori si veda M. J. REYES LÓPEZ, Patti successori, al seguente link https://eventi.nservizi.it/upload/247/altro/m.j.%20reyes%20it.pdf
[28] In tali termini si esprime S. ACETO DI CAPRIGLIA, I divieti di patti successori nel sistema di civil law, in Quaderni de “Il Foro napoletano”, 36, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019, p.11.
[29] Così A. ZOPPINI, Le successioni in diritto comparato, in Trattato di Diritto Comparato (diretto da R. SACCO), Torino 2002, p. 168; T.F.T. PLUCKNETT, A concise History of Common Law, Londra, 1956; G. DI GIANDOMENICO, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato.
[30] R. BATTES, Der erbrechtliche Verpflichtungsvertrag im System des Deutschen Zivilredits: – Ziele, Dogmatik und praktische Auswirkungen des § 2302 BGB, in Arch. Civ. Pr. 178, 1978, p. 337 ss.; per una comparazione con l’ordinamento italiano v. B. TOTI, La nullità del testamento esecutivo del patto successorio, in Vita not., 1985, p. 9 ss.
[31] Si ricorda sul punto un importante leading case: Estate of Rolls del 1924, in 193 Calif. p. 594 e in 226 Pac. p. 608; per un’analisi più approfondita sul punto si veda B.M. SPARKS, Contracts to Make Wills, in N. Y. U. L. Rev. 1955, p. 1224 ss. e la relativa critica di M. RHEINSTEIN, Critique: Contracts to Make a Will, in N. Y. U. L. Rev., 1955.
[32] Tale principio è stato discusso in Howe v. Watson et al., 179 Mass., 30. In questo caso la persona che aveva accettato di fare testamento, lasciando la sua proprietà all’attore, al momento della stipula dell’accordo aveva ottantacinque anni e non sana di mente. Per tale motivo la corte ha ritenuto l’accordo invalido in quanto il testatore, in quel momento, non era capace di contrarre l’accordo in oggetto.
[33] Evans v. Moore, 247, I11, 60. Per ulteriore giurisprudenza v. W. M. JAMES, Contracts to Make Wills, in Chicago-Kent Law Rev., 1931, p.66.
[34] Nel caso Frazier v. Patterson, 243 I11, 1909, viene data una definizione di entrambi i testamenti: il joint will è “one where the same instrument is made the will of two or more persons and is jointly signed by them”, mentre il mutual will è “the separate wills of two persons which are reciprocal in their provisions”.
[35] In tal senso R. J. PARTRIDGE, The Revocability of Mutual or Reciprocal Wills, in University of Pennsylvania Law Rev., 1929, p. 359 ss.
[36] Wilson v. Gordon, 73 S. C. 155, 163, 53 S. E. 79, 82, del 190; Cawley’s Estate, 136 Pa. 628, 20 Atl. 567, del 1890; Edison v. Parson, 155 N.Y. 555, 50 N. E. 265, del 1898.
[37] A.H.R. BRIERLEY, Mutual Wills – Blackpool Illuminations, in Modern Law Rev. 58, 1995, p. 95 ss.; T. RAUSCHER, An Englishman still remains at liberty at his death… Mutual Wills, implied trusts und family provisions im englischen Recht, in ZEuP, 1998, p. 140 ss.
[38] Art. 28: “Il notaro non può ricevere (o autenticare) atti: 1. se essi sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico; 2. se v’intervengano come parti la sua moglie, i suoi parenti od affini in linea retta, in qualunque grado, ed in linea collaterale fino al terzo grado inclusivamente, ancorché v’intervengano come procuratori, tutori od amministratori; 3. se contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie sua, o alcuno de’ suoi parenti od affini nei gradi anzidetti, o persone delle quali egli sia procuratore per l’atto da stipularsi, salvo che la disposizione si trovi in testamento segreto non scritto dal notaro, o da persona in questo numero menzionata, ed a lui consegnato sigillato dal testatore. Le disposizioni contenute nei numeri 2 e 3 non sono applicabili ai casi d’incanto per asta pubblica. Il notaro può ricusare il suo ministero se le parti non depositino presso di lui l’importo delle tasse, degli onorari e delle spese dell’atto, salvo che si tratti di persone ammesse al beneficio del gratuito patrocinio, oppure di testamenti.”
[39] In merito alla scelta del notaio quale autorità competente in materia si veda MAIDA, Certificato successorio europeo: ai notai la competenza al rilascio, in Eur. dir. priv., I, 2015, p. 201 ss.
[40] Per un’analisi delle prospettive di riforma della successione necessaria si rimanda all’ultimo paragrafo del capitolo III.
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