I più recenti approdi giurisprudenziali in tema di clausole claims made

I più recenti approdi giurisprudenziali in tema di clausole claims made

1. Contratti aleatori

I contratti aleatori o di sorte, nei quali è a carico di una delle parti il rischio di un evento causale che incide sul contenuto del suo diritto o della sua prestazione contrattuale, si contrappongono ai contratti commutativi, in cui i reciproci sacrifici delle parti sono certi, in quanto l’entità delle relative prestazioni non dipende da fattori casuali ed imponderabili.

Essi rientrano nel genus dei contratti corrispettivi, giacché l’alea comporta la totale o parziale incertezza di una delle prestazioni, ma, come è stato correttamente osservato, il diritto ad una prestazione incerta è comunque un termine di scambio verso la controprestazione[1].

Distinto è il concetto della c.d. alea normale, ossia il rischio ragionevolmente prevedibile in ogni affare da parte di qualsiasi persona di normale diligenza, poiché qualunque contratto porta con sé un ineliminabile margine di rischio economico[2].

Ai sensi dell’art. 1469 c.c. i contratti possono essere aleatori per loro natura, se così strutturati dalla legge, ovvero per volontà delle parti, qualora i privati, in forza della loro autonomia negoziale, introducano in un contratto tipico, di per sé commutativo, il rischio giuridico (c.d. alea convenzionale). In tale ultima ipotesi sussiste il dubbio sulla tipicità o atipicità del negozio, questione risolvibile solo con un’analisi caso per caso: il contratto rimane tipico se l’elemento aleatorio non assume notevole intensità, mentre diviene atipico se sia più intenso, ossia se la relatio all’evento sia affidata al caso e prescinda dalla volontà delle parti, caso in cui il negozio dovrà essere sottoposto al vaglio di meritevolezza di cui all’art. 1322 comma 2 c.c[3].

In ragione dell’elemento del rischio (in latino, appunto, alea), ad essi non si applicano i rimedi della rescissione per lesione e della risoluzione per eccessiva onerosità.

2. Contratto di assicurazione

Tra i contratti aleatori rientra, tra gli altri, il contratto di assicurazione, la cui causa è, appunto, il trasferimento di un rischio economico, in quanto l’assicurato non sa, al momento della stipulazione del contratto, se l’evento si verificherà o quando si verificherà e se, a fronte dei premi corrisposti all’assicuratore, riceverà un indennizzo[4].

In particolare, con il contratto di assicurazione una parte (assicuratore) si obbliga, verso pagamento di una somma (premio), a rivalere l’assicurato, entro i limiti pattuiti, del danno ad esso prodotto da un sinistro (c.d. assicurazione contro i danni), a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (c.d. assicurazione contro la vita) ovvero a risarcire a terzi il danno che dovrebbe essere risarcito dall’assicurato (c.d. assicurazione contro la responsabilità civile).

Come detto, il rischio costituisce elemento essenziale, la cui inesistenza è causa di nullità del negozio (art. 1895 c.c.), la cui cessazione dà luogo allo scioglimento del vincolo (art. 1896 c.c.) e la cui inesatta conoscenza da parte dell’assicuratore è causa di annullamento (art. 1892 c.c.) o di risoluzione o rettifica (art. 1893 c.c.).

La disciplina assicurativa è contenuta nel d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private) ed il settore è sottoposto al controllo di un’apposita autorità di vigilanza, l’IVASS, ossia l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni.

Di norma è un contratto di adesione, predisposto su moduli uniformi dall’impresa assicuratrice, cui si applicano gli artt. 1341 e 1342 c.c. e, qualora l’assicurato sia un consumatore, gli artt. 33 ss d.lgs. 206/2005 (Codice del consumo). Trattasi di un contratto consensuale, che si perfeziona con il consenso delle parti legittimamente manifestato, per cui è richiesta la forma scritta ad probationem (art. 1888 c.c.), prova che sarà costituita dalla polizza di assicurazione[5].

3. Le clausole claims made

Le c.d. clausole claims made (a richiesta fatta), inserite nei contratti di assicurazione per la responsabilità civile, rendono operativa la copertura assicurativa soltanto se la domanda risarcitoria sia pervenuta nel periodo di vigenza della polizza, in deroga alla regola generale dell’insorgenza del danno (c.d. loss occurrence) di cui all’art. 1917 c.c., per cui l’assicurazione opera rispetto ai danni verificatisi durante il periodo di durata del contratto. Lo scopo, evidentemente, è quello di consentire alla società di conoscere precisamente fino a quando dovrà manlevare il garantito e di appostare in bilancio le somme necessarie.

La loro validità è stata di recente oggetto di scrutinio da parte delle Sezioni Unite del 6 maggio 2016, n. 9140, le quali hanno innanzitutto individuato due categorie generali:

  1. le clausole c.d. miste o impure, in forza delle quali la copertura assicurativa opera solo se il fatto illecito e la domanda risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con eventuale retrodatazione della garanzia a condotte precedenti, in genere di due o tre anni, rispetto alla stipula del contratto;

  2. le clausole c.d. pure, per cui sono coperte tutte le richieste risarcitorie inoltrate nel periodo di efficacia della polizza, a prescindere da quanto il fatto illecito si sia verificato.

La prima questione affrontata riguardava il difetto di trasparenza, in relazione al quale si paventava un profilo di nullità per violazione dell’art. 166 cod. ass., ritenuta dai ricorrenti norma imperativa, non essendo la clausola stata sufficientemente evidenziata. In conformità con l’orientamento tradizionale che distingue tra regole di comportamento e di validità, si è ritenuto che, in ogni caso, il rimedio sarebbe il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.

Ulteriore profilo di nullità veniva fatto derivare dalla violazione dell’art. 1895 c.c., che sancisce la nullità del contratto in caso di rischio inesistente o di rischio putativo. Invero, si è osservato, il rischio deve essere futuro ed incerto, dovendosi pertanto considerare invalida l’assicurazione del rischio pregresso, cioè del danno verificatosi prima della conclusione del contratto ma ignorato dall’assicurato. Favorevole si è invece dimostrata la giurisprudenza recente[6], che ha affermato che “la clausola claims made (…) è valida ed efficace e non può ritenersi che sia nulla per inesistenza del rischio, in quanto l’alea riguarda i comportamenti passati non nella loro materialità, ma nella consapevolezza, da parte dell’assicurato, che si ha solo al momento della richiesta risarcitoria”[7]. In altre parole, l’alea permarrebbe nonostante il fatto illecito si sia già verificato, purché la parte ne ignorasse l’esistenza al momento della stipula del negozio, altrimenti si potrà profilare una responsabilità ai sensi degli artt. 1892 e 1893 c.c. Peraltro, stante la norma generale di cui all’art. 514 cod. nav., sarebbe altresì rilevante il rischio putativo.

Le Sezioni Unite hanno aderito a questa seconda lettura, configurando il rischio come fattispecie a formazione progressiva, costituita tanto dalla condotta materiale dannosa quanto dalla manifestazione dell’intenzione di agire in sede risarcitoria. Dunque, l’alea dei contratti assicurativi con clausola claims made non riguarderebbe la condotta illecita, che ben potrebbe già essersi realizzata ancorché dalle parti ignorata, bensì la manifestazione del danno e la domanda risarcitoria. Invero, il rischio che l’assicurato mira a scongiurare è il depauperamento che subirebbe qualora fosse poi chiamato a risarcire il danno, profilo su cui permane l’alea giacché, al momento della stipula, v’è incertezza assoluta sul suo effettivo impoverimento.

Di tali clausole si sosteneva anche la contrarietà con la struttura del contratto di assicurazione, modellato, come detto, secondo lo schema c.d. loss occurrence, che copre tutti e soli i sinistri occorsi sotto il tempo della sua vigenza. In particolare, la nullità sarebbe derivata dalla vanificazione della causa del contratto di assicurazione, la quale mira a trasferire il rischio scaturente dall’esercizio dell’attività dall’agente all’assicuratore. Ad avviso della Corte tale impostazione si scontra con la littera legis, giacché l’art. 1932 c.c. non cita, tra le norme inderogabili, il comma 1 dell’art. 1917 c.c., ragione per cui le parti possono disporre diversamente, salvo il vaglio di meritevolezza ai sensi dell’art. 1322 comma 2 c.c.

Si è pertanto rivelato necessario valutare se la modifica del contratto nominato fosse fondata su una giustificazione sufficiente. In generale, le perplessità non concernono tanto le clausole pure che, non prevedendo limitazioni temporali alla loro retroattività, rendono irrilevante il momento della commissione del fatto, quanto le clausole miste o impure, che limitano i rischi risarcibili e sono idonee a determinare periodi non coperti dalla garanzia, squilibrando il contratto a discapito del contraente debole. Peraltro, qualora sia applicabile il codice del consumo, l’indagine dovrà mirare all’individuazione dello squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto presidiato dalla nullità di protezione ex art. 36 d.lgs. 206/2005. In ogni caso, anche qualora l’assicurato sia un professionista e si esuli quindi dall’ambito applicativo della predetta normativa, non si può non considerare come le posizioni dei paciscenti risultino squilibrate. Il giudizio di meritevolezza si risolverà in un controllo dell’equilibrio contrattuale, in cui il giudice è legittimato ad integrare e modificare l’accordo, se “ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto”, in quanto l’art. 1419 comma 2 c.c. permette che le singole clausole nulle siano sostituite da norme imperative di legge e l’art. 2 Cost. entra nel contratto insieme alla clausola della buona fede, rendendola norma precettiva. Dunque, alla luce del combinato disposto degli artt. 1322 comma 2 c.c. e 2 Cost., è immeritevole di tutela la clausola che, pur derogando ad una norma dispositiva, dia vita ad un rapporto squilibrato ai danni dell’assicurato. L’autonomia negoziale risulta limitata laddove comporti iniquità per il contraente debole, il quale potrà trovare tutela nell’applicazione giudiziale dei canoni generali della buona fede e della correttezza.

Quanto alla questione della vessatorietà, la Corte ha ritenuto necessario capire se la clausola de qua limiti la responsabilità, riducendo le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o escludendo il rischio garantito (art. 1341 comma 2 c.c.), ovvero l’oggetto del contratto, riferendosi al contenuto ed ai limiti della garanzia assicurativa e specificando il rischio garantito. Invero, mentre la delimitazione dell’oggetto è ammessa, se chiara e trasparente, poiché riguarda l’entità della prestazione, quella della responsabilità, oltre ad incontrare il limite di cui all’art. 1229 c.c. che sancisce la nullità delle clausole che escludono la responsabilità per dolo e colpa grave, fa operare una presunzione di vessatorietà. La predetta disamina ha indotto a concludere nel senso della sua non vessatorietà, in quanto limitativa del rischio dell’assicurato sotto il profilo temporale, dunque dell’oggetto del contratto[8].

Infine le Sezioni Unite si sono interrogate sulla compatibilità della clausola claims made con l’obbligo posto a carico del professionista, in determinati settori, di assicurare la responsabilità civile derivante dalla propria attività professionale. In questo ambito, il giudizio di meritevolezza di una simile clausola sarebbe negativo, essendo ingiustificato esporre l’assicurato a periodi privi di copertura in ambito professionale. Invero, in questa sede, oltre ad i rapporti tra società e privato, rilevano altresì quelli tra professionista e terzo.

In conclusione, sono stati enunciati i seguenti principi di diritto: “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola clams made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al d.lgs. 206/2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata”.

Si segnala una recente conferma da parte delle Sezioni Unite del 2 dicembre 2016, n. 24645, le quali, stante l’identità degli elementi costitutivi delle fattispecie concrete ossia un contratto di assicurazione con clausola claims made impura, hanno espressamente richiamato il predetto principio. Premesso che tali clausole non sono vessatorie, esse venivano sottoposte ad un vaglio di meritevolezza con esito positivo. La sentenza in parola, nonostante non si connoti per alcun profilo innovativo, assume rilievo nella parte in cui avalla l’orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto. Si segnala, poi, un’ulteriore pronuncia in tal senso, questa volta da parte della Cassazione a Sezioni Semplici[9].

La Suprema Corte[10] è tornata ad occuparsi di clausole claims made con riferimento ad un contratto che escludeva la garanzia per i fatti illeciti commessi durante la vigenza del contratto, se la richiesta di risarcimento da parte del terzo fosse pervenuta dopo la scadenza del periodo di assicurazione indicato nella polizza (c.d. richieste postume). Riprendendo ancora una volta il principio enunciato dalle Sezioni Unite n. 9140/2016 di cui sopra, il Collegio si è concentrato sul vaglio di meritevolezza ex art. 1322 c.c., sottolineando come esso implichi non solo la liceità del contratto, ma anche e soprattutto del suo risultato. Come affermato dalla Relazione al Codice civile, questo deve risultare conforme “alla coscienza civile, all’economia, al buon costume e all’ordine pubblico”, alla luce dei fondamentali principi di solidarietà, parità e non prevaricazione.

Richiamati una serie di precedenti in cui era stato operato un giudizio di immeritevolezza, ossia i contratti che, ancorché formalmente rispettosi della legge, avevano per scopo o per effetto di attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra[11], o di porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra[12] ovvero ancora di costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti[13], gli interessi perseguiti dal contratto in questione venivano ritenuti non meritevoli di tutela per una serie di ragioni.

In primis, tale clausola attribuisce all’assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita, in quanto riduce il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale saranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati in prossimità della scadenza del contratto. “Ciò determina uno iato tra il tempo per il quale è stipulata l’assicurazione (e verosimilmente pagato il premio) e il tempo nel quale può avverarsi il rischio”, iato incompatibile con l’assicurazione della responsabilità civile sanitaria, essendo ben possibile che l’assicurato (medico) causi danni a terzi (pazienti) che si manifestano a distanza di molto tempo rispetto alla commissione del fatto.

In secondo luogo, pone l’assicurato in una posizione di indeterminata soggezione, giacché fa dipendere la prestazione dell’assicuratore, oltre che da un evento futuro ed incerto derivante dalla colpa dell’assicurato, anche da un ulteriore evento futuro ed incerto dipendente dalla volontà del terzo danneggiato, ovvero la richiesta di risarcimento, condizione il cui avveramento prescinde però dalla sfera di dominio dell’assicurato. Quindi, paradossalmente, l’assicurato avrà interesse a ricevere prontamente la richiesta di risarcimento, in contrasto col principio per cui il rischio assicurato deve essere un evento futuro, incerto e non voluto, e, inoltre, conscio di avere causato un danno, se tace e aspetta che sia il danneggiato a chiedergli il risarcimento, perde la copertura, mentre se sollecita il danneggiato a chiedergli il risarcimento, viola l’obbligo di salvataggio ex art. 1915 c.c.

Infine, può costringere l’assicurato a tenere condotte contrastanti con i doveri costituzionali di solidarietà. Se l’assicurato adempia spontaneamente la propria obbligazione risarcitoria prima che il terzo glielo richieda, l’assicuratore può rifiutare l’indennizzo perché il terzo non ha presentato alcuna richiesta risarcitoria all’assicurato. In definitiva, quanto più l’assicurato è preciso, tanto meno sarà garantito dall’assicuratore.

Tanto premesso, la Cassazione enuncia il seguente principio di diritto: “la clausola claims made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un’azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall’assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell’assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 comma 2 c.c., in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione”.

 


[1] C. M. Bianca, Il contratto, Milano, 2015, 491.

[2] A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 2015, 521.

[3] G. Di Giandomenico – D. Riccio, I contratti speciali, I contratti aleatori, Torino, 2005, 77 ss.

[4] F. Galgano, Diritto privato, Padova, 2010, 620 s.

[5] A. Torrente – P. Schlesinger, Op. cit., 824 ss.

[6] Cass. civ., 22 marzo 2013, n. 7273.

[7] Cass. civ., 17 febbraio 2014, n. 3622.

[8] A. Romeo, Vessatorietà, atipicità e dubbia meritevolezza delle clausole claims made, in Civile penale contemporaneo, 2016, 6 ss.

[9] Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2017, n. 417.

[10] Cass. civ., sez. III, 28 aprile 2017, n. 10506.

[11] Cass. civ., sez. I, 10 novembre 2015, n. 22950 e Cass. civ., sez. VI, 30 settembre 2015, n. 19559.

[12] Ex multis Cass. civ., Sez. Un., 17 febbraio 2017 e Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 2013, n. 3080.

[13] Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2009, n. 14343.


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