I presupposti e le modalità della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale a seguito di mutamento dell’organo giudicante
Commento a Cassazione Penale Sezioni Unite n. 41736 del 10 ottobre 2019 (ud.30/05/2019)
Sommario: 1. Brevi cenni introduttivi: l’inquadramento della questione giuridica alla luce delle norme di riferimento – 2. L’iter evolutivo del formante giurisprudenziale – 3. Le Sezioni Unite “Bajrami” (Sentenza n. 41736 del 30.05.2019) – 4. Osservazioni conclusive
1. Brevi cenni introduttivi: l’inquadramento della questione giuridica alla luce delle norme di riferimento
Il tema della rinnovazione del dibattimento a seguito del mutamento dell’organo giudicante, a partire dall’entrata in vigore del codice di procedura penale, ha generato distorsioni interpretative ed applicative che solamente di recente, sono state parzialmente risolte dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità.
La principale questione è dunque quella di stabilire se, a seguito del mutamento dell’organo giudicante, sia sempre e comunque obbligatorio rinnovare il dibattimento che in precedenza era stato condotto/svolto dinnanzi ad un diverso giudice, con quali modalità debba essere rinnovata l’istruttoria dibattimentale e quale sia il regime di utilizzabilità delle prove dichiarative assunte dinnanzi al precedente giudicante.
In via preliminare è opportuno inquadrare il tema dell’elaborato alla luce delle norme costituzionali e delle disposizioni del codice di procedura penale che concorrono a disciplinare il meccanismo attraverso il quale si realizza il c.d. giusto processo nella sua dimensione dinamica – dibattimentale.
L’art. 111, comma 3, Cost. riconosce espressamente una serie di ineliminabili diritti del soggetto sottoposto alle indagini e/o dell’imputato, quali la ragionevole durata del processo, la tutela della privacy e della riservatezza personale, un tempo sufficiente per preparare la strategia difensiva, ottenere l’acquisizione dei mezzi di prova a discarico, comprendere gli atti e le attività processuali nella lingua originaria; garanzie tutte che realizzano la piena espressione del diritto di difesa nell’arco di tutto il procedimento penale. L’impostazione è ulteriormente rafforzata alla luce del secondo comma dell’art. 111, Cost. laddove il legislatore prevede che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale; la legge ne assicura la ragionevole durata” e dell’art. 6 CEDU che prescrivere la ragionevole durata del processo c.d. giusto.
La Carta Costituzionale stabilisce, dunque, che il processo si debba svolgere dinanzi ad un giudice terzo e imparziale e comporta, da un lato, che la dialettica si sviluppi in forma orale e, dall’altro, che il giudice, quale arbitro super partes dell’agone processuale, sia poi lo stesso che sarà chiamato ad assumere una decisione sul merito dell’imputazione.
I dettami costituzionali sono stati recepiti in una dimensione pratico-applicativa dal codice di procedura penale che, all’art. 525 co. 2, stabilisce: “alla deliberazione della sentenza concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento”. Ciò non è altro che l’enunciazione di quel principio di immediatezza, sopra enunciato, in base al quale il giudice chiamato a pronunciare sentenza debba essere lo stesso dinanzi al quale sono state assunte le prove. Tale disciplina impone, pertanto, la regola dell’immutabilità del giudice nella fase dibattimentale; regola che il legislatore ha voluto “blindare” con l’unica nullità speciale espressamente definita come “assoluta” dal codice di procedura penale.
La norma, tuttavia, è opportuno chiarirlo fin dal principio, non disciplina un’immutabilità assoluta del giudicante, non obbligando l’identità fisica tra il soggetto dinanzi al quale viene instaurato il dibattimento per la prima volta ed il giudice-persona fisica dinanzi al quale lo stesso deve chiudersi, in quanto è frequente che nella prassi si verifichino vicende di multiforme natura che impediscano al giudice designato di portare a termine il giudizio. Il legislatore, da una parte, ammette, qualora sussistano cause sopravvenute e manifestamente non prevedibili, l’alterazione nella persona/composizione del giudicante, dall’altra, al fine di evitare di incorrere nella nullità assoluta ex art. 525, comma 2, c.p.p., stabilisce che il dibattimento venga “rinnovato” dinanzi ad un nuovo giudice.
Il codice di procedura penale si limita a definire una regola generale ed astratta, tuttavia, nulla riferisce in merito alle modalità attraverso le quali debba essere disposta la nuova istruttoria dibattimentale a seguito del mutamento dell’organo giudicante. Tale vulnus normativo ha generato incertezze applicative che hanno legittimato, nel corso degli anni, tentativi di elusione nell’applicazione di detta regola, dando adito a dubbi interpretativi in merito ai quali si è pronunciata copiosa e autorevole dottrina e giurisprudenza.
2. L’iter evolutivo del formante giurisprudenziale
I principali quesiti, in merito ai quali peraltro si è recentemente espressa la Cassazione a Sezioni Unite, possono essere sintetizzati nei seguenti termini: – se, in caso di mutamento del giudicante, debba essere rinnovato anche il provvedimento ammissivo delle prove oppure se si debba procedere alla ri-assunzione delle prove che erano già stata ammesse dal giudicante sostituito; – quali debbano essere i presupposti e le condizioni sufficienti e necessarie, in caso di mutamento della composizione dell’organo giudicante, affinché venga disposta la rinnovazione e dell’istruttoria dibattimentale; in altri termini se in caso di mutamente del giudicante la rinnovazione delle prove sia automatica oppure il nuovo giudice debba provvedere solo su richiesta delle parti.
Una risposta esaustiva a dette questioni non può prescindere da una ricostruzione sistematica della più importanti pronunce giurisprudenziali che autorevolmente si sono espresse sul tema.
Nel corso degli anni ’90, in particolare, si contrapponevano due differenti orientamenti giurisprudenziali: da una parte vi era chi sosteneva che a seguito del mutamento dell’organo giudicante la precedente prova dichiarativa assunta potesse essere sostituita dalla lettura dalle dichiarazioni rese dal giudice subentrato; dall’altra vi era chi sosteneva che il giudice subentrato potesse utilizzare le dichiarazioni rese al cospetto del precedente organo giudicante, solamente previa nuova escussione della fonte di prova dichiarativa . Le Sezioni Unite nel 1999, pronunciandosi sul contrasto, hanno ritenuto applicabile l’art. 511 co. 2 c.p.p. solamente previa rinnovazione delle prove dichiarative assunte dal precedente giudicante stabilendo dunque una sorta di inutilizzabilità condizionata alla nuova assunzione delle fonti di prove dichiarative; da ciò se ne ricava che la nuova assunzione della prova dichiarativa debba sempre precedere la lettura delle precedenti dichiarazioni ed è condizione necessaria per evitare di incorrere nella nullità assoluta di cui all’art. 179 co. 2 c.p.p.. I passaggi logico-giuridici delle Sezioni Unite Iannasso del ‘99 possono essere così brevemente sintetizzati: a) il principio dell’immutabilità del giudice ai sensi dell’art. 525 co. 2 c.p.p., a pena di nullità assoluta, impone che, quando muti la persona del giudice monocratico o la composizione del giudice collegiale, il dibattimento sia integralmente rinnovato con la ripetizione della sequenza procedimentale costituita dalla dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492 c.p.p., dalle richieste di ammissione delle prove ex art. 493 c.p.p., dai provvedimenti relativi all’ammissione ex art. 495 c.p.p., dall’assunzione delle prove secondo le regole stabilite negli artt. 496 e seguenti c.p.p.; b) il giudice che è subentrato può legittimamente disporre l’allegazione al fascicolo per il dibattimento dei verbali delle prove acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale dinnanzi al Giudice poi sostituito; c) nel caso in cui, a seguito di mutamento dell’organo giudicante, nessuna delle parti ri-proponga la richiesta di ammissione delle prove assunte dal precedente giudicante ai sensi dell’art. 511 co. 2 c.p.p., è ragionevole ritenere che nessuna parte abbia interesse a rinnovare l’istruttoria dibattimentale, pertanto il giudice subentrato è legittimato ex officio a disporre la lettura delle prove dichiarative precedentemente assunte nel contradditorio fra le parti.
A partire dal nuovo millennio la giurisprudenza si era nuovamente divisa in merito ai presupposti necessari e alle modalità per determinare la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale; in particolare: 1) era necessario stabilire se la mera diversità tra il giudice che aveva disposto l’ammissione delle prove dichiarative e quello subentrato dinnanzi al quale era avvenuta l’effettiva assunzione delle stesse fosse condizione sufficiente e necessaria per integrare una violazione del principio di immutabilità del giudice viziando l’eventuale deliberazione con la nullità assoluta; 2) inoltre si doveva provvedere a disciplinare entro quali limiti e con quali modalità, in caso di mutamento dell’organo giudicante, potesse ritenersi rilevante il consenso alla lettura delle dichiarazioni rese prima del predetto mutamento ed in presenza di quali presupposti detto consenso potesse ritenersi prestato.
In ordine alla prima questione una parte autorevole della giurisprudenza riteneva che il principio dell’immutabilità dell’organo giudicante non fosse violato (e dunque la sentenza non fosse affetta da nullità) nel caso in cui il giudice che avesse disposto l’acquisizione della prova fosse composto diversamente rispetto a quello che aveva proceduto all’assunzione della prova e alla deliberazione finale ; pertanto il principio di immutabilità, funzionale ai principi di oralità e immediatezza, si applicava soltanto al dibattimento in senso stretto esigendo dunque che il giudicante fosse quello dinnanzi al quale si fosse svolta l’istruttoria dibattimentale. A quanto appena enunciato si opponeva un differente orientamento giurisprudenziale che, a seguito di una lettura restrittiva e rigorosa dell’art. 525 co. 2 c.p.p., sosteneva come il giudice che avesse ammesso o rigettato le prove dovesse essere lo stesso che avrebbe deliberato la sentenza.
Per quanto concerne la seconda questione, invece, l’orientamento prevalente riteneva che il mero silenzio delle parti che non si erano espresse, manifestando implicitamente la volontà di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e che non si erano opposte alla lettura ex art. 511 c.p.p. dei verbali di dichiarazioni rese dinnanzi al precedente giudice, potesse essere interpretato come una sorta di “consenso implicito” alla rinnovazione del dibattimento per sopravvenuto mutamento della composizione del giudice escludendo il gravoso onere di ripetere l’attività istruttoria in precedenza espletata .
La Corte di Cassazione, dopo che il dibattito nell’ultimo decennio si era ulteriormente intensificato, ha in via preliminare escluso qualsivoglia forma di automatismo tra il mutamento dell’organo giudicante e la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e si era pronunciata nel merito delle questioni, colmando la lacuna normativa, stabilendo i presupposti e prescrivendo le modalità attraverso le quali il giudicante subentrato avrebbe potuto rinnovare l’istruttoria dibattimentale al fine di evitare di pronunciare una sentenza affetta da nullità assoluta.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno disciplinato l’ipotesi in cui, a seguito di sopravvenuto subentro di un nuovo giudicante, le parti processuali siano state totalmente silenti, oppure abbiano espresso il consenso all’utilizzabilità degli atti, ma anche in tal caso nulla avessero espressamente dichiarato per quanto concerne il rinnovamento dell’istruttoria dibattimentale. La Cass. Pen. Sez. V con la Sentenza n. 36813 del 23.05.2016, Renzulli, RV-267911 ha stabilito che, per escludere la nullità della sentenza, “la condotta delle parti assume rilievo non in vista di una sanatoria dell’invalidità conseguente alla violazione del principio ex art. 525 co. 2 c.p.p., ma riguardo alle modalità procedimentali attraverso le quali si procede a quella rinnovazione del dibattimento che tale nullità impedisce” e che “la rinnovazione del dibattimento non è necessaria tutte le volte che le parti vi consentano”. In altri termini la Suprema Corte ha nuovamente stabilito che, ai fini della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, non fosse necessario la manifestazione espressa del consenso, ma che questo potesse essere desunto anche implicitamente, purché in modo inequivocabile.
La Cass. Pen. Sez. II con la Sent. nr. 41932 del 3.04.2017, Troia, RV-271075 invece, ha deliberato che, fermo restando l’obbligo del giudicante subentrato di rinnovare l’assunzione delle prove, esso debba procedervi indipendentemente da un consenso espresso e manifesto delle parti, essendo condizione necessaria e sufficiente la modifica dell’organo giudicante.
La Suprema Corte, se nella prima pronuncia, aveva contemplato la necessità di un consenso anche implicito ma inequivocabilmente espresso dalle parti, in quest’ultima sentenza, invece, viene “superata” anche detta condizione, in quanto, anche nel silenzio assoluto delle parti, il nuovo organo giudicante ha l’onere di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria e delle prove precedentemente assunte sicché, in assenza di tale attività, l’eventuale deliberazione sarebbe viziata da nullità assoluta.
Da ultimo è intervenuta la Cass. Pen. Sez. VI con la Sentenza n. 17982 del 21.11.2017, Mancini, che, affrontando l’ennesimo caso di silenzio generale delle parti a seguito di mutamento del giudicante, pur rinnovando il consolidato principio secondo il quale, in caso di omessa rinnovazione del dibattimento, la deliberazione sarebbe certamente affetta da causa di nullità assoluta, ha rovesciato il significato di “silenzio delle parti” attribuito dall’ultima Cassazione sopra citata e ha stabilito che “ad un comportamento silente possa essere attribuito esclusivamente il significato di non volere provvedere alla materiale rinnovazione dell’attività dibattimentale già compiuta dal precedente organo giudicante”, e ha evidenziato che “al silenzio delle parti debba essere attribuito un significato neutro e dunque esso non può in alcun modo essere interpretato come acquiescenza ovvero come consenso implicito o tacito alla mancata materiale rinnovazione”.
La risposta certamente più recente ed autorevole ai quesiti iniziali è stata fornita dalle S.U. Corte di Cassazione con la Sentenza n. 41736 del 30.05.2019 (motivazione depositata il 10.10.2019) che hanno uniformato l’interpretazione dell’art. 525 co. 2 c.p.p. stabilendo i seguenti principi di diritto: 1] «il principio d’immutabilità del giudice, previsto dall’art. 525, comma 2, prima parte, cod. proc. pen., impone che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso giudice davanti al quale la prova è assunta, ma anche quello che ha disposto l’ammissione della prova, fermo restando che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto devono intendersi confermati, se non espressamente modificati o revocati»; 2] «l’avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 cod. proc. pen., sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest’ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli artt. 190 e 495 cod. proc. pen., anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa»; 3] «il consenso delle parti alla lettura ex art. 511, comma 2, cod. proc. pen. degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiesta, non ammessa o non più possibile».
3. Le Sezioni Unite “Bajrami” (Sentenza n. 41736 del 30.05.2019)
Il Tribunale di Chieti in data 18.04.2018 aveva dichiarato l’imputato Bajrami Klevis colpevole dei reati, unificati per il vincolo della continuazione, di detenzione – cessione di sostanza stupefacente e di estorsione, tuttavia, la Corte d’Appello di L’Aquila dichiarava la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 525 co. 2 c.p.p. e disponeva il rinvio al Tribunale competente in quanto le prove richieste dalla parti erano state assunte da un giudice differente rispetto a quello che aveva pronunciato sentenza e, trattandosi di nullità assoluta, dunque insuscettibile di sanatoria, risultava indifferente il tacito comportamento delle parti. Contro la predetta decisione proponeva ricorso in Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di L’Aquila deducendo l’erronea interpretazione/applicazione dell’art. 525 co. 2 c.p.p. in quanto le parti non avevano manifestato alcuna volontà, al cospetto del nuovo giudicante, di voler provvedere al rinnovamento dell’istruttoria dibattimentale, prestando dunque implicitamente il consenso all’utilizzazione delle prove precedentemente assunte.
Il ricorso veniva assegnato alla Sez. VI della Cass. Pen. che, a sua volta, ne disponeva la rimessione alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di contrasti interpretativi: 1) quanto all’applicabilità del principio soltanto all’assunzione delle prove dichiarative oppure anche alla formulazione delle richieste delle prove e/o all’adozione della relativa ordinanza di ammissione; 2) quanto alle modalità con le quali deve essere prestato il consenso alla lettura dei verbali delle prove dichiarative assunte dal giudicante in diversa composizione, in particolare, se limitandosi ad accertare che le parti non si siano opposte alla lettura delle dichiarazioni raccolte nel precedente dibattimento, oppure verificando la presenza di ulteriori circostanze processuali che rendano univoco il comportamento omissivo degli interessati.
In ordine alla prima questione le S.U., riprendendo l’art. 111 Cost., dunque i principi di immediatezza e di tendenziale immutabilità del giudice, ovvero la fisiologica identità fra il giudice che assume le prove e il giudice che decide, stabiliscono la regola generale in base alla quale, in caso di sopravvenuto mutamento dell’organo giudicante, il processo debba retrocedere alla fase di dichiarazione di apertura del dibattimento. A detta regola generale e astratta la Suprema Corte affianca una serie di corollari specifici: a) l’ordinanza ammissiva resa dal giudice precedente conserva la propria efficacia se non espressamente revocata dal giudice subentrato, fermo il diritto delle parti di presentare nuove richieste di prova; b) il nuovo organo giudicante ha il potere di rivalutare ex novo le questioni preliminari tempestivamente dedotte dalle parti dinnanzi al giudice precedente sulle quali quest’ultimo si era già pronunciato; c) i provvedimenti adottati dal precedente giudicante prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, quali atti urgenti previsti all’art. 467 c.p.p., l’autorizzazione alla citazione dei testi ex art. 468 c.p.p., la verifica della regola costituzione delle parti ex art. 484 co. 2 bis, 420 bis, 420 quater e 420 quinquies c.p.p. e la decisioni in ordine alle questioni preliminari ex art. 491 c.p.p., conservano efficacia, mentre debbono essere necessariamente e integralmente rinnovati la dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492 c.p.p., la richiesta di ammissione delle prove ex art. 493 c.p.p., i provvedimenti che concernono l’ammissione delle prove ex art. 190 e 495 c.p.p. e la loro assunzione ex art. 496 e s.s. c.p.p.
In ordine alla seconda questione, le S.U. affermano che la ripetizione dell’esame è ammessa soltanto quando vengano rispettate le seguenti circostanze: a) la parte abbia già provveduto ad indicare il soggetto da riesaminare nella lista ritualmente depositata ex art. 468 c.p.p. dinnanzi al precedente organo giudicante; b) la parte abbia indicato le circostanze decisive in relazione alle quali l’esame dovrebbe essere rinnovato, ovvero abbia allegato elementi dai quali desumere l’inattendibilità del dichiarante a pena di dichiarazione del giudicante subentrato di manifesta superfluità e irrilevanza.
Le Sezioni Unite attuano una rilettura integrale dell’art. 525 co. 2 c.p.p. e costituzionalmente orientata al rispetto dei principi di conservazione degli atti giuridici e della ragionevole durata dei processi, evitando dunque di svolgere attività superflue e negando l’operatività della sanzione della nullità assoluta nell’ipotesi in cui il giudice subentrato non provveda alla rinnovazione integrale delle attività istruttorie . Le parti conservano il diritto di presentare nuove richieste di prova già assunte dal precedente giudicante ai sensi degli artt. 468 e 493 c.p.p., con la precisazione che la facoltà di chiedere la rinnovazione delle prove dichiarative può essere esercitata soltanto da chi aveva indicato il soggetto da riesaminare nella lista testimoniale ritualmente depositata ex art. 468 c.p.p. . Il nuovo organo giudicante ha il dovere di valutare tali richieste ai sensi degli artt. 190 e 495 c.p.p., ovvero le prove non debbono essere vietate dalla legge, manifestamente superflue e irrilevanti. All’esito della valutazione e della conseguente ammissione delle prove, il giudice subentrato ha l’onere di assumere tutte le prove ammesse secondo le ordinarie modalità, con possibilità di disporre la lettura dei verbali delle precedenti dichiarazioni solo dopo lo svolgimento del nuovo esame, evitando dunque che quest’ultimo sia una mera ripetizione di quanto già in precedenza dichiarato e scongiurando quindi una irragionevole dilatazione dei tempi del processo.
Ai fini della decisione, precisano le S.U., resta ferma la possibilità in capo al nuovo organo giudicante di utilizzare anche le dichiarazioni già assunte dinanzi al precedente giudice, previa lettura ex art. 511 c.p.p. e senza il necessario ed espresso consenso/dissenso delle parti, in quanto sono il risultato di un’attività istruttoria già compiutamente esperita ed elementi di prova già presenti all’interno del fascicolo del dibattimento.
Il comma 2 dell’art. 511 c.p.p., tuttavia, consente la lettura dei verbali di dichiarazioni rese al precedente giudicante solamente nel caso in cui l’esame non abbia luogo; pertanto ne consegue che detti verbali possono essere utilizzati dal nuovo giudice ai fini della deliberazione solamente distinguendo due differenti circostanze: – ipotesi n. 1) se il nuovo esame è stato espressamente richiesto e se è ancora rilevante e possibile, la lettura di detti verbali deve per forza seguire l’esame delle persona che ha reso quelle dichiarazioni; – ipotesi n. 2) se, invece, non è più possibile procedere all’esame oppure la parte non l’ha espressamente richiesto, in questo caso il giudice potrà disporre la lettura del verbale anche d’ufficio.
4. Osservazioni conclusive
L’obbligo di rinnovazione dibattimentale in caso di mutamento della persona fisica del giudice, specie nel caso in cui le parti tacciano o non esprimano manifestamente il consenso all’utilizzabilità mediante letture delle prove dichiarative in precedenza assunte, è considerato, a partire dalle S.U. Iannasso nel 1999, un meccanismo di conformità del processo penale ai dettami costituzionali e ad un modello, quella accusatorio, orientato alla realizzazione concreta e dinamica dei diritti della difesa all’interno della dimensione dialettica del contradditorio che coincide con l’istruttoria dibattimentale.
Tale meccanismo però, come si è avuto modo di analizzare nel corso dell’elaborato, ha dato adito a distorsioni interpretative ed applicative intorno alle quali si è generato un profondo contrasto all’interno della giurisprudenza che, solamente recentemente, sembra essere stato risolto con una soluzione peraltro condivisa trasversalmente dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria.
Nel dibattito, infatti, era intervenuta anche la Corte EDU fornendo un’interpretazione convenzionalmente orientata del meccanismo della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale a seguito di mutamento sopravvenuto dell’organo giudicante, alla luce delle garanzie di cui agli artt. 6 par. 1 e par. 3 lett. b) e lett. d) della Convenzione CEDU.
La Corte EDU aveva fin da subito escluso qualsivoglia forma di automatismo per cui a seguito di ogni mutamento del giudicante, indipendente dalle ragioni, il nuovo organo fosse obbligato a rinnovare integralmente l’istruttoria dibattimentale.
Sul punto si menzionano, per mera completezza, le seguenti decisioni della Corte EDU: nel caso P.K. c. Finlandia del 9.07.2002, la Corte aveva stabilito che il giudice subentrato avesse l’onere di provvedere solamente all’audizione del c.d. teste decisivo (non un qualsiasi testimone) e dunque che il diritto alla nuova audizione dei testi non è assoluto, ma può ben essere limitato in presenza di circostanze particolari tali da giustificare un’eccezione al principio dell’oralità del dibattimento e all’immutabilità del giudice del dibattimento; nel caso Milan c. Italia del 4.12.2003 aveva deliberato che non era suscettibile di violazione dell’art. 6 CEDU il fatto che il presidente del collegio inizialmente insediato fosse stato successivamente sostituito da un supplente che comunque aveva assistito alle precedenti fasi del dibattimento; mentre nel caso Graviano c. Italia del 10.02.2015 che non vi fosse violazione dell’art. 6 CEDU qualora l’imputato non avesse indicato i decisivi elementi fattuali in ordine ai quali si sarebbe dovuta tenere la nuova audizione del teste dinanzi al nuovo giudice; infine nei casi Cutean c. Romania del 2.12.2014 e Skaro c. Croazia del 6.12.2016 che non sussistevano violazioni della CEDU nel caso in cui, soltanto uno dei giudici, fosse stato sostituito e che comunque il nuovo componente del collegio avesse avuto modo di leggere le dichiarazioni rese dal teste decisivo oggetto di contradditorio nell’istruzione dibattimentale.
Anche la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito al tema della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale a seguito di mutamento dell’organo giudicante che precedentemente aveva assunto le prove dichiarative; in particolare si cita la Sentenza n. 132 del 2019. La Consulta si è pronunciata a seguito della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Siracusa con Ordinanza del 12.03.2018. Invero il Tribunale di Siracusa era stato adito al fine di celebrare un processo che aveva ad oggetto l’accertamento di numerosi reati tra i quali art. 416, 340, 629 c.p., tuttavia negli anni si erano succeduti nella composizione dello stesso tribunale diversi giudici. Di fronte a detti mutamenti, i difensori non avevano mai prestato il consenso alla rinnovazione dell’istruttoria con la conseguenza che i testi erano continuamente risentiti ogniqualvolta vi fosse un mutamento di un componete del collegio. Il collegio, pertanto, constatato che con questo approccio la maggior parte dei reati contestati erano già prescritti e alcuni erano prossimi alla prescrizione, sollevava questione di legittimità costituzionale adducendo che né l’art. 525 co. 2 c.p.p. né l’art.526 co. 2 c.p.p. pongono, in caso di mutamento dell’organo giudicante, un obbligo di ascoltare nuovamente i testi già escussi nello stesso processo e che vi fosse un irragionevole conflitto tra il principio dell’immediatezza e quello della ragionevole durata del processo .
La Corte Costituzionale nel maggio del 2019 ha concluso, da una parte, per l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale siracusano per questioni strettamente processuali, tuttavia, dall’altra, ha condiviso l’impianto sostanziale delle ragioni che hanno indotto il Tribunale di Siracusa a sollevare la questione di legittimità costituzionale.
La Corte Costituzionale, infatti, non si è limitata a dichiarare tout court inammissibile la questione ma, con una c.d. pronuncia monito, ha invitato il legislatore a predisporre gli opportuni rimedi strutturali “in grado di ovviare agli inconvenienti, assicurando al contempo piena tutela al diritto di difesa dell’imputato” e ha esortato anche gli altri operatori del diritto a ripensare la regola della rinnovazione dibattimentale che è stata definita dalla stessa Corte “incongrua”. La Corte ha inoltre precisato che: “l’’esperienza maturata in trent’anni di vita del vigente codice di procedura penale restituisce, peraltro, una realtà assai lontana dal modello ideale immaginato dal legislatore. I dibattimenti che si concludono nell’arco di un’unica udienza sono l’eccezione; mentre la regola è rappresentata da dibattimenti che si dipanano attraverso più udienze, spesso intervallate da rinvii di mesi o di anni, come emblematicamente illustra l’odierno giudizio a quo. In una simile situazione, il principio di immediatezza rischia di divenire un mero simulacro: anche se il giudice che decide resta il medesimo, il suo convincimento al momento della decisione finirà – in pratica – per fondarsi prevalentemente sulla lettura delle trascrizioni delle dichiarazioni rese in udienza, delle quali egli conserverà al più un pallido ricordo”.
La Consulta ha ritenuto doveroso sollecitare il legislatore ad adottare rimedi strutturali in grado di ovviare agli inconvenienti evidenziati, assicurando al contempo piena tutela al diritto di difesa dell’imputato; ciò potrebbe avvenire attraverso la previsione legislativa di ragionevoli deroghe alla regola dell’identità tra giudice avanti al quale si forma la prova e giudice che decide. Il diritto della parte processuale alla nuova audizione dei testimoni in caso di sopravvenuto subentro di un nuovo giudice o al mutamento della composizione del collegio, conclude la Corte Costituzionale, «non è assoluto, ma “modulabile” (entro limiti di ragionevolezza) dal legislatore», restando ferma la possibilità per il legislatore di introdurre «presidi normativi volti a prevenire il possibile uso strumentale e dilatorio» del diritto in questione .
La conclusione dell’elaborato non può che evidenziare un approccio unitario e trasversale della giurisprudenza nazionale e comunitaria, frutto di continui adattamenti ed interpretazioni “ortopediche” che hanno permesso di mediare i conflitti e levigare i contrasti al fine di favorire un’uniformazione che solo recentemente ha permesso di individuare linee guida certe, finalizzate a preservare e tutelare le garanzie difensive delle parti processuali.
La palla ora passa inevitabilmente al legislatore che è chiamato, possibilmente in tempi brevi, a recepire tali linee guida con un intervento normativo mirato e finalizzato a rimodulare la regola della rinnovazione dibattimentale ai sensi dell’art. 525 co. 2 c.p.p. nell’ottica dei principi costituzionali e convenzionali assicurando, da una parte, le garanzie processuali difensive e, dall’altra, la concentrazione temporale dei dibattimenti e dunque la ragionevole durata dei processi penali.
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Luca Bertoldi
Appassionato di politica e di diritti, nel 2018 mi sono laureato presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Trento; a partire da gennaio 2019 ho svolto la pratica forense presso un noto studio legale di Verona e, attualmente, con grande passione e impegno, sono un tirocinante ex art. 73 Dl 69/2013 presso la Sez. penale-dibattimento del Tribunale di Verona.
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