I profili oggettivi e soggettivi del concorso criminoso: problematiche attinenti alla configurabilità del concorso colposo nel delitto doloso
Il fenomeno della compartecipazione criminosa è preso in considerazione dell’ordinamento giuridico penale sotto un duplice piano: da una parte esso, palesando una maggiore carica offensiva ed una più elevata pericolosità sociale comporta per alcune tipologie di reati, un aggravamento sanzionatorio, fino a determinare in alcuni casi l’insorgenza di un’autonoma fattispecie di reato (ad es. violenza sessuale di gruppo). Dall’altra, tale istituto presenta spiccate peculiarità tali da comportare la necessità di una regolamentazione separata.
Ebbene, il tema del concorso di persona si inserisce nel più ampio tenue delle forme di manifestazione del reato, che, per quanto è qui di interesse, può essere realizzato monosoggettivamente o da una pluralità di soggetti. In tale ultima ipotesi (oggetto di analisi) si suole parlare di fattispecie plurisoggettiva eventuale per distinguerla da quella necessaria in cui, a differenza della prima, la presenza di più soggetti è indispensabile per la configurazione del reato.
L’esigenza di dedicare una disciplina specifica al concorso di persone nasce dalla lettura delle norme di parte speciale attraverso il principio di legalità. In altri termini, poiché le norme incriminatrici sono modellate sulla fattispecie monosoggettiva non risulterebbe incriminabile la condotta di chi realizza, in concorso con altri, solo una frazione del fatto tipico.
La necessità di punire il soggetto che abbia preso parte alla realizzazione di una fattispecie di reato è soddisfatta nel nostro ordinamento dall’art. 110 c.p. Tale norma rappresenta, dunque, una clausola generale che, al pari di altre (quali ad esempio l’art. 56 c.p. e l’art. 40, co.2, c.p.) svolge una fondamentale funzione di incriminazione di comportamenti altrimenti irrilevanti. La ratio dell’istituto si riflette sul piano strutturale.
In tal senso, accanto alla pluralità di partecipi ed alla commissione di una fattispecie di reato, particolare importanza assume il nesso di causalità. Il reato concorsuale, infatti, è un reato di evento in cui, tuttavia, il secondo polo della causalità è costituito dalla condotta dell’altro partecipe. In altre parole, è necessario che la condotta del compartecipe abbia apportato un contributo causale rispetto all’altra, in termini di determinazione, rafforzamento o agevolazione.
Uno degli aspetti maggiormente problematici che l’interprete è stato chiamato ad affrontare è stato proprio il fondamento della punibilità dei contributi c.d. atipici. Un primo modello, accolto in altri ordinamenti europei, fa ricorso alla c.d. teoria dell’accessorietà. Questa tesi richiede necessariamente che uno dei compartecipi realizzi la condotta tipica, alla quale accede ala condotta del correo. Tali sistemi, poi, fanno ricorso alla figura dell’autore mediato per punire quei soggetti che pur non realizzando la condotta materiale sfruttano altro soggetto non imputabile o non punibile, determinandolo a commettere il reato. Di difficile soluzione, invece, sarebbe l’ipotesi della c.d. condotta frazionata in cui ciascun concorrente pone in essere solo parte della condotta tipizzata.
Per tale motivo si preferisce aderire ala teoria della c.d. fattispecie plurisoggettiva eventuale. Secondo siddetta posizione l’incontro fra l’art. 110 c.p. e la fattispecie di parte speciale determinerebbe la creazione di un’autonoma tipologia di reato rispetto alla quale andrebbe, poi, verificata la tipicità della condotta. L’accertamento del nesso di derivazione causale, anche in ambito concorsuale va compiuto adottando una prospettiva ex post, verificando l’apporto rispetto all’evento hic et nunc considerato.
In tal modo si dovrebbe risultare non punibili a titolo di concorso i c.d. contributi maldestri o inutili, quelli cioè che non hanno avuto alcuna efficienza causale per il verificarsi del reato. Tali ultime condotte vengono tuttavia recuperate alla sfera della punibilità penale secondo ricorso al concorso di tipo morale. Queste dunque comporterebbero responsabilità in ogni caso in cui abbiano comportato un effettivo rafforzamento dell’intento criminoso.
Il ricorso può essere, dunque, sia materiale che psicologico come si evince, fra l’altro, dall’art. 112, co. 4, c.p. laddove fa riferimento alla determinazione. Sempre sotto il profilo oggettivo, inoltre, la condotta del correo può essere sia attiva che omissiva. Con la precisazione che il concorso omissivo nel reato commissiono risulta ammissibile solamente nell’ipotesi in cui si tratti di omissione impropria e cioè il concorrente rivesta una posizione di garanzia rispetto al bene giuridico leso. In tale evenienza la funzione incriminatrice verrà assolta, a monte, dall’art. 40, co.2, c.p. confinando l’art. 110 c.p. a mera finalità di disciplina.
Il codice Rocco, dunque, adottando una prospettiva repressiva, sceglie l’unitarietà del regime di imputazione del reato concorsuale, in questo modo eliminando la rilevanza delle diverse condotte, prese in considerazione dal precedente codice Zanardelli. Tale distinzione non appare del tutto obliterata, venendo ad essere recuperata in sede di valutazione delle circostanze aggravanti ed attenuanti. Ciò posto, il riferimento generico al medesimo reato ha consentito che sorgessero posizioni contrastanti circa l’ammissibilità di un regime misto di imputazione. In altri termini ci si è chiesti se sia necessario che tutti i partecipi rispondano allo stesso titolo oppure se siano ammesse forme di responsabilità soggettiva diverse nell’ambito del medesimo reato concorsuale.
In particolare, una questione altamente dibattuta ha riguardato l’ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso. In via preliminare, va evidenziato che l’art. 110 c.p. non fornisse alcuna indicazione del tutto dirimente in merito. Sicuramente esso di attaglia alle ipotesi di concorso doloso: questo richiede la consapevolezza anche unilaterale di concorrere con altri accompagnata dal dolo, in capo ad entrambi i concorrenti nella realizzazione del reato. D’altronde anche la disciplina concorsuale non si può emancipare totalmente dalle regole generali del diritto penale: fra queste emerge che il criterio normale di imputazione soggettiva del reato è il dolo.
Ciò posto, la scissione dei titoli di responsabilità viene negata facendo leva sul principio di legalità, subspecie di frammentarietà. Si sostiene che il legislatore disciplinando unicamente le ipotesi di concorso doloso e cooperazione colposa abbia negato l’ammissibilità dell’istituto in questione.
La posizione ampiamente prevalente, di contro, manifesta maggiori aperture. Si sostiene che, valorizzando una logica inclusiva in cui il più contiene il meno, se si ammette il concorso colposo nel delitto colposo ex art. 113 c.p. non potrebbe non ammettersi quello colposo nel delitto doloso. Tale argomento, tuttavia, non convince appieno. Esso, infatti, parte dal presupposto che colpa e dolo non abbiano una diversa natura, ma costituiscano livelli crescenti di colpevolezza, tale che il dolo contiene al suo interno un comportamento colposo costituito dalla stessa violazione della disposizione penale incriminatrice.
Tale argomento risulta tuttavia superato dalla giurisprudenza prevalente, in seguito alla pronuncia della Cassazione sul caso THYSSENKRUPP del 2014, la quale ha evidenziato l’appartenenza di dolo e colpa a mondi diversi. L’ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso potrebbe allora essere argomentata a partire dall’art. 116 c.p. Tale, che disciplina la commissione di un reato diverso da quello voluto da taluno degli agenti, è stata oggetto di una rilettura in chiave costituzionalmente orientata. Non essendo ammissibili ipotesi di responsabilità oggettiva, il correo in omaggio al principio di colpevolezza (art. 27) potrà essere chiamato a rispondere di un reato da lui non voluto unicamente nell’ipotesi in cui gli sia addebitabile almeno a titolo di colpa. Di talchè l’art. 116 c.p. conterrebbe un caso di concorso colposo nel delitto doloso.
Si sostiene, inoltre, che laddove l’art. 110 c.p. riporta la locuzione ‘medesimo reato’ farebbe riferimento all’identità del reato sotto il profilo oggettivo ma non anche soggettivo. La tesi positiva subordina l’ammissibilità della figura alla circostanza che il reato realizzato in concorso sia punito anche a titolo di colpa, essendo tale criterio di imputazione non generale ma limitato alle solo ipotesi previste dalla legge. Quest’ultimo aspetto consentirebbe di rispettare le esigenze connesse alla legalità penale ed alla prevedibilità della pena.
Un’ultima riflessione può riguardare i caratteri dell’accertamento colposo. Questo richiede che la norma cautelare violata sia destinata a scongiurare specificamente la categoria di eventi cui appartiene quello che si è realizzato. Tale aspetto, inserito nel reato concorsuale, sembrerebbe condurre a ritenere ammissibile il concorso colposo omissivo nel delitto doloso unicamente nelle ipotesi in cui sul soggetto gravi una posizione di garanzia.
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Federico Sergio
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