I punitive damages: un esempio nel codice della proprietà industriale

I punitive damages: un esempio nel codice della proprietà industriale

Negli ultimi anni nel panorama dottrinario e giurisprudenziale italiano è sorta una aspra querelle relativa alla natura giuridica da attribuire al risarcimento del danno. Solo in un primo momento difatti si riteneva che l’art. 2043 c.c. potesse avere natura punitiva, ma poi tale prospettiva fu ampiamente superata.

Fino a poco tempo addietro dunque risultava pacifico come il risarcimento del danno, sia contrattuale ex art. 1218 c.c. (patrimoniale e non patrimoniale, giacché le notorie S.U. del 2008 hanno riconosciuto la possibilità di poter chiedere ed ottenere il risarcimento di quest’ultimo tipo di danno anche laddove derivi da un illecito contrattuale, mediante la sola azione ex contractu), che extracontrattuale (artt. 2043 e 2059 c.c.), avesse natura e funzione meramente compensativa o ristorativa; obiettivo del risarcimento dunque non poteva essere altro che quello di ristorare un soggetto per la perdita patrimoniale e non patrimoniale (in via equitativa in tale ultima ipotesi) subita.

L’art. 1218 c.c., in particolare, è latore del principio c.d. “dell’indifferenza”, secondo cui il risarcimento del danno comprende sia il danno emergente (le perdite conseguenza immediata e diretta dell’illecito), che il lucro cessante (ovvero mancati guadagni che un soggetto avrebbe potuto percepire in assenza del danno medesimo).

Tale postulato è ribadito a livello codicistico anche nell’alveo del contratto di assicurazione, e precisamente dall’art. 1917 c.c. (principio indennitario), secondo cui “nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto”.

Corollario di tali principi è quello dellacompensatio lucri cum damno” (che meriterà un autonomo futuro approfondimento), secondo cui nessun soggetto dell’ordinamento giuridico può trarre vantaggio dal risarcimento dovuto per un danno subito; in altre parole, il risarcimento non può mai essere fonte di arricchimento nel nostro ordinamento, dovendo limitarsi a ristorare al danneggiato tutto quello e proprio quello che ha perduto a causa dell’illecito.

La compensatio lucri cum damno, dopo annoso dibattito, ha trovato il proprio addentellato normativo direttamente nell’art. 2 Cost., laddove prevede l’inderogabile adempimento da parte di tutti i cittadini degli indefettibili obblighi di solidarietà sociale (ivi incluso quello di adottare condotte socialmente e moralmente corrette e non riprovevoli, tra le quali rientra anche quella di non lucrare su un danno subito).

Ciò posto, la dottrina più attenta tuttavia ha iniziato ad avvedersi come nel nostro sistema siano presenti ipotesi di risarcimento che presentano natura latu sensu “punitiva”, più che essere improntate primariamente a ristorare il danneggiato: si pensi all’art. 185 c.p., o ancora, alle c.d. “astreintes” (presenti sia nel diritto amministrativo che in quello civile, quali misure compulsorie indirette che “inducono” il soggetto all’adempimento di un provvedimento giudiziale).

Si pensi ancora all’art. 96 c.p.c., comma 3, che secondo la giurisprudenza più recente prevede una “sanzione di ordine pubblico”, non volta a risarcire la controparte processuale per la condotta dilatoria e scorretta operata da un soggetto in un giudizio civile, e quindi posta a tutela di un bene ultraindividuale.

Parte della dottrina e giurisprudenza ha quindi iniziato a parlare dell’esistenza di danni c.d. “punitivi”, che accanto alla funzione compensativa presentano anche natura afflittiva, mutuandoli dai punitive damages esistenti nel sistema di Common Law.

Tra i punitive damages rientrerebbe anche l’ipotesi prevista dall’art. 125 del Codice della Proprietà Industriale, che asserisce al comma 1 che “Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione”. Il comma 3 invece prevede che “In ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento”.

Difatti la norma prevede expressis verbis la possibilità per il danneggiato di poter percepire anche gli eventuali vantaggi derivanti dallo sfruttamento del bene plagiato, non potendo in tal caso negarsi che abbia anche una funzione di tipo afflittivo nei confronti dell’autore della violazione.

Il riconoscimento dei puntive damages, che appare ineluttabile data la casistica appena esaminata, sarà suscettibile di generare una rivoluzione copernicana nel nostro sistema giuridico, costringendo ad un ripensamento e forse, ad una modifica, dei principi cardine dell’ordinamento, determinando anche potenzialmente un progressivo avvicinamento del sistema civilistico a quello penalistico, quanto alle teoriche ispiratorie di fondo.


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