I rapporti tra dolo eventuale e tentativo prima, durante e dopo le Sezioni Unite “Thyssenkrupp”
Sommario: 1. Premessa – 1.1 Dolo e dolo eventuale – 2. I rapporti tra tentativo e dolo eventuale – 2.1 Il dolo eventuale “ante” 2014 e i rapporti con il tentativo – 2.2 Le Sezioni Unite “Thyssenkrupp” del 2014 – 2.3 La giurisprudenza in tema di dolo eventuale e tentativo “post” 2014 – 3. Rapporti tra delitto tentato ed altre fattispecie giuridiche – 4. Considerazioni conclusive
1. Premessa
Anche se a seguito dell’importante arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite “Thyssenkrupp” n.38343 del 2014 il dolo eventuale ha acquisito una connotazione più pregnante rispetto al precedente orientamento basato sull’astratta prevedibilità dell’evento e sull’accettazione del rischio, in quanto oggi anche la volizione dell’evento collaterale; tale considerazione ha comunque risolto, da parte della giurisprudenza e dottrina maggioritaria, in senso negativo il quesito sulla compatibilità del dolo indiretto con il tentativo in virtù dell’adesione ad una nozione soggettiva della fattispecie di cui all’art. 56 c.p.
1.1 Dolo e dolo eventuale
Prima di analizzare compiutamente le conseguenze giuridiche della sentenza in esame ed al fine di una migliore comprensione della tematica suesposta, occorre effettuare le dovute premesse contenutistiche in tema di dolo, nonché specificare la valenza sistematica e sinteticamente ripercorrere il “cammino” giuridico del dolo indiretto ante 2014.
Il dolo eventuale non è esplicitamente disciplinato nel nostro codice penale, esso è frutto di una creazione giurisprudenziale finalizzata a non lasciare impunite condotte meritevoli di essere sanzionate penalmente. Pertanto la figura giuridica di riferimento per tale categoria “adespota” è la norma generale sul dolo di cui al comma prima dell’art. 43 c.p., secondo cui il delitto è doloso o secondo l’intenzione quando l’evento dannoso o pericoloso risultante dalla condotta dell’agente è non solo astrattamente preveduto da quest’ultimo ma voluto come conseguenza della sua azione od omissione. E’ proprio quest’ultimo requisito che infatti differenzia il dolo dalla colpa di cui al secondo comma dell’art. 43 c.p., in quanto la prevedibilità è presente in entrambe le fattispecie. E’ dunque possibile constatare che la volizione è considerata da parte del legislatore il centro di riferimento delle fattispecie dolose, e che tale requisito è suscettibile di graduazione a seconda dalla minore o maggiore intensità della stessa da parte dell’agente.
La corretta qualificazione di una fattispecie come dolosa e il relativo livello di intensità, non hanno un’importanza meramente formale ma assumono una spiccata valenza pratica, in quanto dalle stesse dipendono non solo i coefficienti di graduazione del reato ex art. 133 c.p. ma anche la punibilità o meno di determinate condotte come nel caso dei reati ascrivibili solo alle fattispecie delittuose, nonché quei comportamenti considerati penalmente rilevanti solo se raggiungono una determinata soglia di intensità, come nel caso all’abuso di ufficio ex art.323 c.p. punibile infatti solo a titolo di dolo intenzionale. Inoltre ai fini delle problematiche strettamente inerenti alla tematica oggetto d’esame, la qualificazione dolosa incide sulla compatibilità o meno con altri istituti ad esso collegati primi fra tutti con il tentativo.
Pertanto la giurisprudenza in virtù delle considerazioni suesposte ha classificato il dolo secondo diversi gradi basati una maggiore o minore intensità dello stesso: il livello più forte, o di primo grado, è quello intenzionale, in quanto l’agente realizza esattamente la fattispecie lesiva da lui preveduta e voluta come conseguenza della sua condotta; segue il dolo di secondo grado, ovvero il dolo diretto, in cui il soggetto realizza volontariamente e consapevolmente una fattispecie lesiva diversa ma necessaria al raggiungimento dell’obiettivo da lui voluto e preveduto; infine la terza fattispecie del dolo eventuale o indiretto, ha un livello di intensità minore rispetto ai primi due, in quanto l’evento causato dalla condotta è collaterale rispetto all’obiettivo primario da lui perseguito, nonché suscettibile di verificazione come conseguenza probabile ma non certa della sua condotta.
2. I rapporti tra tentativo e dolo eventuale
2.1 Il dolo eventuale “ante” 2014 e i rapporti con il tentativo
Effettuate le dovute premesse contenutistiche è adesso possibile ripercorrere brevemente l‘ “excursus” storico-giurisprudenziale del dolo eventuale prima della nota sentenza “Thyssenkrupp” per poi passare in rassegna le problematiche relative alla sua compatibilità con la fattispecie tentata dopo il 2014.
Le teorie che si sono susseguite prima delle Sezioni Unite summenzionate in merito al dolo indiretto sono principalmente tre: la teoria oggettiva, la teoria soggettiva e la teoria mista.
Secondo la prima teoria oggettiva, il dolo eventuale sarebbe caratterizzato dalla possibilità da parte dell’agente di prevenire l’evento e dunque di poterlo evitare, tale teoria minoritaria ha la pecca di non considerare il momento volitivo dell’agente, nonché di sovrapporre il dolo indiretto alla colpa intesa appunto quale omissione delle regole di cautelari.
Anche la seconda teoria soggettiva, non ha riscosso molto successo in quanto ciò che in questo caso rileva ai fini del dolo in questione è la rappresentazione dell’evento da parte del reo come accadimento possibile o anche solo probabile, ma non viene presa in considerazione l’elemento volitivo dell’agente. Sempre sulla scorta di questa seconda teoria, parte della dottrina ha considerato invece rilevanti ai fini del dolo eventuale gli stati emotivi dell’agente, ma a tale orientamento è stato censurato in quanto si è affermato che la presa in esame dei soli atteggiamenti di disprezzo e di indifferenza del reo, sarebbe di difficile concretizzazione e quindi di incerta applicazione.
Per le suesposte ragioni dottrina e giurisprudenza maggioritarie hanno seguito una terza teoria, c.d. mista che prende in considerazione, sia l’elemento oggettivo dell’astratta prevedibilità dell’evento, che quello soggettivo inteso come elemento volitivo consistente nell’accettazione del rischio da parte dell’agente. Tale orientamento seguito dalla Sezioni Unite “Nocera” n.12433 del 2009 e fino alla sentenza delle Sezioni Unite di legittimità “Thyssenkrupp”, pur avendo il pregio di distinguere il dolo eventuale dalla colpa cosciente, quest’ultima connotata dalla astratta prevedibilità dell’evento ed esclusione da parte dell’agente della verificazione dell’evento, d’altro canto comporta difficoltà di un concreto accertamento in sede probatoria. La c.d. teoria volontaristica dell’accettazione del rischio detta anche formula di Frank, elaborata già sul finire del ‘900, in base alla quale ai fini del dolo eventuale occorre dimostrare che il soggetto avrebbe agito allo stesso modo anche se avesse avuto la certezza che l’evento si sarebbe realizzato, risulta infatti una formula meramente ipotetica, quasi “vuota” e di difficile concretizzazione, nonché pone problemi di distinzione con le fattispecie colpose.
Per tali motivi si è avvertita da parte della giurisprudenza e dottrina più illuminata una inversione di tendenza, al fine di conferire maggiore concretezza alla fattispecie in esame. Già la Corte di Legittimità del 2011 con la sentenza n. 10411, prima della definitiva statuizione delle Sezioni Unite del 2014 in esame, si è orientata nel senso di un dolo eventuale basato non più sul criterio dell’accettazione del rischio, ma su un giudizio di subordinazione del bene violato al fine perseguito da parte dall’agente.
2.2 Le Sezioni Unite “Thyssenkrupp” del 2014
Nel 2014 dunque le Sezioni Unite aderiscono al c.d. criterio economico in base al quale ciò che rileva ai fini della configurabilità o meno del dolo indiretto, è il bilanciamento di interessi operato dal reo, inteso appunto non solo come astratta prevedibilità dell’evento ma come sacrificio del bene violato per raggiungere il risultato voluto dell’agente. Una considerazione basata sull’elemento volitivo inteso in termini di valutazione dei “costi/benefici” che l’agente avrebbe operato consapevolmente pur di conseguire i propri interessi. Nello specifico, tale orientamento si basa sulla valorizzazione di 11 criteri, fra i quali anche la formula di “Frank”, che seppur valorizzata dalle Sezioni Unite in esame, non può essere da sola considerata come criterio autonomo ed autosufficiente al fine di una concreta rilevazione del dolo eventuale. Nello specifico, tali criteri sono: la condotta dell’illecito; la lontananza dalla regola cautelare; la personalità dell’agente; la storia e le precedenti esperienze del reo; la durata e la ripetizione della condotta; la condotta successiva all’evento; il fine della condotta; la probabilità di verificazione dell’evento; le conseguenze lesive e negative anche per l’agente a seguito della verificazione dell’evento; il contesto lecito o illecito di base e infine dunque la formula di “Frank”.
La sentenza “Thyssenkrupp” inoltre precisa che laddove pur in presenza di tali indici la punibilità rimanga incerta, allora il soggetto per il generale principio dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio” dovrà essere assolto.
Le Sezioni Unite del 2014 segnano dunque il passaggio da una nozione di dolo indiretto “debole” basata sull’accettazione del rischio da parte dell’agente, ad una concezione più intesa di dolo eventuale ascrivibile al criterio economico suesposto.
Anche questa teoria ad oggi ancora seguita, da ultimo dalla più recente Corte di Cassazione n. 14776 del 2018 caso Brega Massone, non è stata esente da critiche dalla dottrina e dalla giurisprudenza seguente. Si censura infatti che così verrebbe punito a titolo di dolo indiretto solo l’agente che abbia agito in modo razionale e logico e non anche chi invece è stato mosso da impeto e da impulsività. Inoltre, tale teoria risulterebbe fallace tutte le volte in cui il reo non conseguirebbe il risultato sperato pur avendo sacrificato il bene concretamente violato. Si lamenta altresì che una nozione così pregnante di dolo eventuale tenderebbe da un lato a confondersi con le fattispecie di dolo diretto ed intenzionale e dall’altra a sovrapporsi alla colpa cosciente ora basata sull’accettazione del rischio. Infine anche in tal caso rimangono incertezze sul piano probatorio, avuto riguardo soprattutto agli indici più soggettivi come ad esempio quelli attinente alla personalità del reo, che risulterebbero al pari della formula di Frank di difficile verificazione.
Chiarito il quadro normativo ed evolutivo giurisprudenziale del dolo eventuale prima e dopo l’orientamento “Thyssenkrupp” è possibile adesso analizzare la fattispecie tentata con specifico riguardo con i rapporti con l’elemento soggettivo in esame dopo il 2014.
2.3 La giurisprudenza in tema di dolo eventuale e tentativo “post” 2014
Innanzitutto occorre considerare che la fattispecie tentata, valida solo per i delitti e quindi punibile solo a titolo di dolo, trova esplicito riconoscimento all’art. 56 c.p. Il tentativo è considerato quale clausola generale frutto del combinato disposto con le norme di parte speciale. Tale fattispecie mira a punire tutti quegli atti che, in modo diretto e inequivocabile, sono finalizzati a commettere un delitto e che per ragioni non inerenti al soggetto non hanno portato alla consumazione della fattispecie.
E’ opportuno da subito evidenziare che il delitto tentato non ha posto e non pone problemi di compatibilità con le forme di dolo più intense quali quelle di primo e di secondo grado, rispettivamente di dolo intenzionale e di dolo diretto, ma ha invece creato dubbi in ordine al dolo indiretto in quanto fattispecie più “debole” di dolo.
Anche su tale categoria giuridica di cui all’art. 56 c.p. infatti, con specifico riguardo all’univocità degli atti, sono state avanzate diverse teorie, in particolare due, l’una di carattere oggettivo e l’altra soggettivo.
Appare utile evidenziare che l’adesione all’una o all’altra tesi non è di poco conto ai fini della tematica in esame, in quanto comporta la compatibilità o meno del dolo eventuale con il delitto tentato.
Secondo il primo orientamento infatti il requisito dell’univocità è qualificato da una connotazione meramente materiale, dalla quale viene esclusa qualsiasi tipo di elemento volontaristico. Ciò comporta che la fattispecie tentata non è autonoma rispetto a quella consumata, in quanto viene ad esistenza per sottrazione, quindi come elemento negativo, cioè in tutti quei casi in cui la fattispecie non sia stata consumata. A seguito di tale teoria il tentativo sarebbe compatibile con qualsiasi fattispecie dolosa, sia essa intenzionale, diretta od eventuale, dal momento che si prescinde da ogni elemento soggettivo dell’agente e si valorizzano solo gli atti concretamente finalizzati a raggiungere l’obiettivo.
E’ possibile già da subito anticipare che tale teoria è minoritaria in quanto si critica che non può essere completamente escluso l’elemento volitivo dall’univocità degli atti, considerato decisivo ai fini della tematica in esame.
A tale indirizzo pertanto ne è seguito un secondo, di carattere soggettivo che tiene conto anche della volontà del soggetto agente e non solo del carattere materiale degli atti. Da tale considerazione discende che la fattispecie tentata è autonoma da quella consumata e dunque risulta compatibile solo con il dolo diretto ed intenzionale, dal momento che l’elemento volitivo è in queste ultime fattispecie certo e direttamente finalizzato al compimento del delitto. Tali caratteristiche non sarebbero invece presenti nel dolo eventuale, in quanto l’evento collaterale è dall’agente preveduto e voluto secondo le Sezioni Unite del 2014 summenzionate solo se la fattispecie è consumata e non nel caso di cui all’art. 56 c.p.
L’adesione a quest’ultimo orientamento ancora ad oggi maggiormente seguito, è stata ribadita nel 2007 con la sentenza n. 16666 e da ultimo anche dalle più recenti Sezioni Unite n. 14554 del 2015. L’occasione che ha sollevato la problematica oggetto di disamina ha riguardato il lancio di sassi da parte di alcuni soggetti dal cavalcavia. Mentre infatti non si sono posti particolari problemi riguardo all’imputazione agli agenti nel caso di verificazione dell’evento, pur mancando nei confronti degli autori un preciso intento di uccidere o ledere gravemente, del delitto consumato a titolo di dolo eventuale; ci si è chiesti invece in virtù della mancanza di una volontà univoca di commettere il delitto di omicidio o di lesione, quale sarebbe stata la soluzione nel caso in cui tali atti fossero stati commesso titolo di tentativo.
A tal riguardo la giurisprudenza ha chiarito l’incompatibilità della fattispecie tentata con il dolo indiretto, in quanto come evidenziato, l’univocità degli atti non risulta compatibile con le forme più “deboli” dolo, ma rileva solo nei confronti di forme di dolo più intense quali quelle di primo e di secondo grado. E’ a quest’ultime che si riferirebbe la formula di cui all’art. 56 c.p. che ha ad oggetto l’idoneità “degli atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto”, e dunque al profilo dell’univocità summenzionato.
3. Rapporti tra delitto tentato ed altre fattispecie giuridiche
Per una maggiore completezza della tematica suesposta è utile specificare che le Sezioni Unite in merito, già nel 2005 con la sentenza n.5436 ed anche nelle seguenti pronunce citate, hanno qualificato tali comportamenti come imputabili a titolo di dolo alternativo, quale “sub specie” di dolo diretto. Asserita infatti l’inconciliabilità tra il dolo indiretto e l’art. 56 c.p. per le ragioni suesposte, la Corte di legittimità ha diversamente considerato compatibile la fattispecie in esame con il dolo alternativo, in quanto si afferma che gli agenti, attraverso il compimento di tali atti avrebbero voluto con la medesima intensità alternativamente l’una o l’alto evento, ovvero l’evento morte o le lesioni dei passanti. Viene infatti ribadita la categoria del dolo alternativo quale ipotesi specifica di dolo diretto in quanto in quest’ultimo, a differenza del dolo eventuale dove l’elemento volitivo del reo nei confronti della condotta collaterale è meno intenso rispetto al risultato considerato primario dall’agente, l’elemento soggettivo della volontarietà ha la medesima intensità in entrambe le ipotesi. Per l’agente pertanto nel caso del dolo alternativo, è indifferente il raggiungimento dell’uno o dell’altro risultato, sono da lui entrambi voluti con la stessa intensità.
Infine l’incompatibilità del tentativo viene a maggior ragione ribadita altresì nei casi di delitto colposo escluso ex art. 56 nonché per il delitto preterintenzionale, fattispecie dove l’elemento volitivo in relazione all’univocità degli atti manca completamente.
4. Considerazioni conclusive
Tali considerazioni permettono quindi di concludere che, anche se a seguito delle Sezioni Unite “Thyssenkrupp” del 2014 il dolo indiretto ha acquisito una connotazione più pregnante rispetto al precedente indirizzo delle Sezioni Unite “Nocera” n.12433 del 2009 basato sul criterio dell’accettazione del rischio; secondo la dottrina e la giurisprudenza maggiormente acclarate la compatibilità di tale fattispecie giuridica in adesione ad una nozione di delitto tentato in senso soggettivo è esclusa, in quanto considerata ascrivibile solo nei confronti di fattispecie non consumate ma dotate di un certo livello di intensità.
Tali conclusioni, potrebbero però essere messe in discussione dalle critiche suesposte in ordine al c.d. “criterio economico” a cui hanno aderito le Sezioni Unite oggetto della traccia.
Se infatti tale orientamento ha portato ad una qualificazione più pregnante del dolo eventuale tale da poterlo secondo alcuni difficilmente differenziare dalle fattispecie dolose più incisive, questa considerazione mal si concilierebbe con l’asserita incompatibilità del dolo indiretto con l’ipotesi di cui all’art. 56 c.p.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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