I rapporti tra il comma 2 ed il comma 4 dell’art. 2 c.p.
L’art. 2 c.p. nel disciplinare il principio di retroattività favorevole lo declina in maniera diversa a seconda che la norma sopravvenuta al fatto:
sia una norma abolitiva (comma 2);
sia un norma più favorevole (comma 4) perché modificativa in melius del regime giuridico esistente al momento del fatto ma tuttavia non abolitiva della fattispecie astratta contemplata dalla norma vigente al momento della commissione.
La retroattività favorevole di queste due distinte norme sopravvenute (l’abolitiva, comma 2, e la modificativa più favorevole ma non abolitiva, comma 4) ha intensità differente:
la prima ipotesi (comma 2, art. 2 c.p.) ha una retroattività favorevole di carattere assoluto, che non si infrange nel limite del giudicato, posto che il giudicato viene revocato dal giudice ai sensi dell’art. 673 c.p.p., quando sopravvenga non soltanto al fatto ma anche al giudicato una norma abolitiva ;
la seconda ipotesi (comma 4, art.2 c.p.) ha una retroattività favorevole di carattere più debole, in quanto la norma sopravvenuta modificativa più favorevole può si retroagire ma a condizione che sulla norma vigente al momento del fatto non sia già intervenuto il giudicato.
Sicchè da sempre si discute in merito ai criteri da applicare nel delineare i rispettivi ambiti applicativi della regola successoria dettata dall’art. 2 comma 2 c.p. e di quella dettata dall’art. 2 comma 4 c.p.
Quando cioè la vicenda successoria è riconducibile ad un ipotesi di autentica abolitio, con conseguente applicazione della regola detta dall’art. 2 comma 2 c.p., (ipotesi di abolitio) e quando invece la vicenda successoria è da ricondurre ad un ipotesi di mera modificazione del regime giuridico di un fatto che era e continua ad essere reato con conseguente applicazione dell’art. 2 comma 4 c.p. (ipotesi di continuità dell’illecito penale anorchè questo sia assoggettato a differente disciplina)?
A questa domanda è agevole rispondere in alcune ipotesi, in particolare nell’ ipotesi in cui la norma sopravvenuta, per esempio, qualora incida soltanto sul trattamento penale, senza in alcun modo intervenire sulla descrizione del fatto di reato, della fattispecie di reato, è indubbio che in ipotesi siffatte si sia al cospetto non di una ipotesi di abolitio ma di continuità di illecito con diversità di regime e quindi non vi è dubbio che la regola successoria da applicare debba essere quella dell’art. 2 comma 4 c.p. Il chè significa riconoscimento della responsabilità penale, non proscioglimento e non retroattività della norma sopravvenuta se più favorevole allorchè sulla base della precedente si sia già formato il giudicato penale di condanna.
Tuttavia ci sono alcune ipotesi che da sempre sono al vaglio della dottrina e della giurisprudenza in cui valutare se la vicenda successoria sia da ricondurre nell’art. 2 comma 2 o comma 4 c.p. è più complicato. Le ipotesi ricorrenti sono essenzialmente due:
la norma sopravvenuta non abroga la norma vigente al momento della commissione del fatto, che resta vigente nell’ordinamento, ma si limita solo a riformulare la descrizione dell’illecito recata nella disposizione vigente al momento del fatto. cd. sopravvenuta riformulazione della disposizione incriminatrice che era vigente e continua ad essere vigente anche dopo l’intervento innovativo.
Ipotesi che si è verificata con riguardo al caso della bancarotta, del falso in bilancio, della concussione ecc. Sono ipotesi che la dottrina qualifica come casi di cd. successione impropria, che avviene non per abrogazione della disposizione vigente al momento della commissione ma per riformulazione della descrizione che quella norma recava dell’illecito.
In questi casi ci si chiede se questa riformulazione abbia implicato una abolitio criminis con conseguente applicazione del comma 2 ovvero una continuità dell’illecito con conseguente applicazione del comma 4;
la norma sopravvenuta abroga la norma precedente, vigente al momento del fatto, ma tuttavia nell’ambito di un intervento normativo più esteso che contestualmente all’abrogazione si connota per l’introduzione di una nuova fattispecie idonea ad assorbire fatti prima previsti e prima ricodotti nella disposizione abrogata.
Ipotesi che si è verificata con riguardo ai delitti dei pubblici ufficiali contro la PA, l’abrogazione dell’art. 324 c.p. (reato di interessi privati in atto di ufficio) avvenne con una legge (n.86/1990) che contestualmente all’abrogazione della norma riformulò il reato di abuso di ufficio (art. 323 c.p.) in termini tali da rendere quel riformulato reato idoneo ad assorbire fatti prima contemplati nell’abrogato art. 324 c.p.
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Giuseppe Mainas
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