I rapporti tra ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita
I reati contro il patrimonio sono quelli a cui fa riferimento il Titolo XIII, libro II, del vigente codice penale e che, appunto, senza tuttavia voler sembrare tautologici, tutelano il patrimonio.
Il concetto di patrimonio, benchè possa apparire di immediata individuazione, è stato al centro di un dibattito dottrinale, volto a chiarirne la sua reale portata. Ad una concezione strettamente economica dello stesso, precipuamente indirizzata ad identificarlo con l’insieme di beni economicamente rilevanti appartenenti ad un soggetto, si è, infatti, affiancata una concezione di stampo giuridico, che intende il patrimonio quale somma di tutti i diritti soggettivi patrimoniali facenti capo ad una singola persona, prescindendo perciò dalla loro rilevanza economica.
A ben vedere, entrambe le suddette teorie non vanno esenti da critiche: potendosi obiettare alla prima, e cioè alla teoria economica, che, così opinando, dal patrimonio dovrebbero escludersi tutti quei beni che pur non avendo rilevanza economica, hanno invece un valore d’uso per il soggetto; su diverso fronte, la teoria giuridica non permetterebbe di graduare la gravità del reato a seconda del valore economico dei beni coinvolti. Per tali ragioni, la dottrina più attenta ha optato per una concezione mediana, secondo la quale il patrimonio si sostanzia tanto di beni economicamente rilevanti, quanto della dimensione giuridico-formale delle cose che ne fanno parte.
Il patrimonio, così inteso, rappresenta dunque il bene che le norme di cui agli artt. 624 e ss. vogliono tutelare.
Tra dette norme, a fronte del dilagarsi di comportamenti delittuosi atti a ledere proprio il patrimonio mediante frode, assumono una certa rilevanza quelle dedicate ai reati di ricettazione, di riciclaggio, e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, di cui rispettivamente agli artt. 648, 648 bis, 648 ter c.p.
Ai fini dell’analisi giuridica di tali fattispecie di reato, è necessario volgere in primis l’attenzione al delitto di ricettazione, non solo perché posto per primo in ordine di trattazione sistematica codicistica, ma soprattutto perché si tratta di reato più ampio rispetto ai suoi successivi, tale che, come si chiarirà di seguito, gli stessi stanno tra loro in rapporto di specialità.
Il delitto di ricettazione, ai sensi dell’art. 648 c.p., è un reato comune, che perciò punisce chiunque si renda responsabile di “acquistare, ricevere od occultare denaro o cose provenienti da qualunque delitto“, e insieme a questi ultimi anche coloro che, attraverso una condotta di mera “intromissione”, aiutino taluno a porre in essere le medesime tipologie di azioni. La stessa norma, inoltre, in apertura chiarisce, attraverso la clausola di riserva, che il soggetto attivo del reato deve essere diverso dall’autore del reato presupposto, laddove appunto recita “fuori dai casi di concorso nel reato“. Ai fini della configurabilità del delitto de qua, è pertanto necessario che sia stato compiuto in precedenza un reato, sebbene, beninteso, non sia altresì necessario che questo sia stato accertato giudizialmente con sentenza passata in giudicato, essendo tuttalpiù sufficiente che il giudice, chiamato a conoscere della ricettazione, riconosca “positivamente”, anche solo in via incidentale, il suo essersi avverato; oltre a ciò, è imprescindibile che la condotta sia sorretta dall’elemento soggettivo, come le basi del diritto penale tout court insegnano: elemento soggettivo che, in tale fattispecie criminosa, è integrato dal dolo specifico, ossia dalla volontà del soggetto agente di voler procurare un diretto vantaggio, rectius profitto (che può essere anche di natura non economica) a sé stesso o a terzi. Tale precisazione vale, infatti, a distinguere siffatta tipologia di reato da quella diversa del favoreggiamento reale, ex art. 379 c.p., distinzione che, sovente, aveva sollevato difficoltà per gli interpreti. A ben vedere, invero, il discrimen tra le due citate fattispecie deve ravvisarsi nella direzione della volontà dell’agente: volontà che è diretta ad aiutare l’autore del reato presupposto nel favoreggiamento reale; e volontà di garantirsi un profitto, di qualunque natura, nella ricettazione.
Quanto all’elemento soggettivo, deve ancora precisarsi che, se è vero che, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, è necessaria la conoscenza della provenienza illecita delle cose oggetto del reato, è altresì vero che non è necessario che tale consapevolezza si estenda alle modalità, al tempo, o al luogo in cui il reato presupposto è stato commesso, essendo dalla norma richiesto che, secondo la ordinaria diligenza, il soggetto possa prospettarsi l’ipotesi della provenienza illecita. Tale prova, che necessariamente deve essere raggiunta ai fini della rimproverabilità ex art. 648 c.p., può essere data in ogni modo, sebbene sia chiaro che esistono degli indizi rivelatori, quali l’adeguatezza o la viltà del prezzo pagato, oppure la mancata giustificazione del possesso; con la precisazione che, tuttavia, si tratta pur sempre di meri indizi, che pertanto fanno salva la prova contraria.
Se la condotta punita dall’art. 648 c.p. viene arricchita dall’elemento specializzante rappresentato dal comportamento del soggetto attivo del reato idoneo ad ostacolare l’identificazione della provenienza illecita dei beni o del denaro, ecco allora che la fattispecie concreta sarà sussumibile entro quella astratta prevista e punita dall’art. 648 bis c.p.
A detta norma, palesemente speciale rispetto alla precedente, è tuttavia sotteso il medesimo interesse del legislatore, volto ad evitare l’immissione nel mercato di denaro c.d. “sporco”, frutto di precedenti delitti.
Il riciclaggio è una fattispecie delittuosa a consumazione anticipata, atteso che non è necessaria l’effettiva lesione del patrimonio altrui, e dunque il verificarsi di un danno, ma, come testualmente si evince dalla locuzione “in modo da..“, la tutela è ampliata sino a ricomprendere la mera messa in pericolo del bene tutelato dalla norma stessa. A differenziare la disposizione in esame dalla fattispecie di ricettazione, oltre all’elemento specializzante di cui si è detto, vale il riferimento ai soli delitti non colposi, con ciò intendendosi che non possono costituire reati presupposti le contravvenzioni o i reati colposi, quando invece “qualsiasi delitto” può sottostare al reato di ricettazione. Sul piano dell’elemento soggettivo, si tratta di un reato a dolo generico, volto essenzialmente ad impedire agli inquirenti di rintracciare le cose oggetto del pregresso reato, attraverso un loro riutilizzo e riemissione sul mercato. Anche tale ultimo elemento aiuta a distinguere le due fattispecie in esame, integrate sulla scorta di diversi elementi soggettivi: dolo specifico per la ricettazione, dolo generico per il riciclaggio.
Da ultimo, e come già accennato, a fronte del dilagare di crimini di tal specie, il legislatore si è preoccupato di punire la condotta, ancor più specifica, di coloro che perseguono parimenti lo scopo di ostacolare il riconoscimento dell’origine delittuosa dei beni, mediante però il loro impiego in attività economiche o finanziarie. Il reato di cui all’art. 648 ter c.p. ribadisce, in prima battuta, la necessità che il soggetto attivo non sia soggetto concorrente nel reato presupposto, aggiungendo poi che deve contestualmente escludersi l’urgenza di procedere ai sensi degli artt. 648 e 648 bis c.p., tale che, la norma ora in esame possa qualificarsi quale norma di natura residuale rispetto alle prime due.
Nonostante la sinteticità della trattazione, già da una siffatta analisi delle norme richiamate, ben può statuirsi che le tre norme de qua stanno tra loro in rapporto di specialità (di cui all’art. 15 c.p.), stante che, essendo identico l’elemento materiale dei reati, rappresentato dalla disponibilità ed utilizzo di beni o di denaro di provenienza illecita, diverso è l’elemento soggettivo alla base delle diverse condotte: volontà di trarre un generico profitto per sé o per terzi, nel reato di ricettazione, volontà di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, portando così il delitto a conseguenze ulteriori, e prescindendo da ogni riferimento al profitto o a scopi lucrativi, nel caso di reato di riciclaggio, ed infine perseguimento di tale ultimo medesimo scopo ma mediante l’impiego delle risorse in attività economico o finanziarie, per il delitto di cui all’art. 648 ter c.p. (così come, tra l’altro, confermato recentemente da Cass. Pen., sentenza n. 33076 del 2016).
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Martina Quacinella
Laureata in Giurisprudenza, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e attualmente studentessa presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università Federico II di Napoli.
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