I reati commessi su internet: individuazione del locus commissi delicti

I reati commessi su internet: individuazione del locus commissi delicti

I reati commessi su internet pongono un problema di individuazione del relativo locus commissi delicti essendo il web caratterizzato dall’assenza di confini geografici e dalla simultanea connessione, in uno spazio virtuale informatico, di più soggetti, messi in condizione di interagire tra loro.

Lo sviluppo di Internet ha, quindi, imposto al legislatore e alla giurisprudenza non solo di rimeditare l’applicazione degli istituti previgenti, ma, anche e soprattutto, di introdurre adeguamenti e nuove norme per garantire una efficace risposta alle nuove forme di manifestazione dei tradizionali reati e alle nuove modalità di aggressione che l’evoluzione tecnologica ha reso possibili [1]. Le ipotesi più problematiche sono essenzialmente quattro e riguardano: il furto della identità digitale (che configura il reato di cui all’articolo 494 c.p., la sostituzione di persona), l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (che configura il reato di cui all’articolo 615 ter c.p.), la truffa (che configura il reato di cui all’articolo 640 c.p.) e la diffamazione (che configura il reato di cui all’articolo 595 c.p.).

1. Il furto della identità digitale

Il furto dell’identità digitale configura il reato di sostituzione di persona (di cui all’articolo 494 c.p.).

L’articolo 494 c.p. prevede che “chiunque, al fine di procurare a sé o agli altri un vantaggio o di recare agli altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o agli altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno“.

La giurisprudenza ha ammesso che il reato possa commettersi anche a mezzo internet, attribuendosi falsamente le generalità di un altro soggetto, inducendo in errore gli altri fruitori della rete. È considerata punibile anche la condotta di chi, utilizzando i dati ed il nome altrui, crei un falso profilo sui social network, usufruendo dei servizi offerti, procurandosi i vantaggi derivanti dall’attribuzione di una diversa identità e ledendo l’immagine della persona offesa.

2. L’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico

L’ articolo 615 ter disciplina il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico prevedendo, al primo comma, che “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni“.

L’individuazione del locus commissi delicti nel reato di cui all’articolo 615 ter è stata problematica.

Un primo orientamento stabilisce che il luogo di consumazione corrisponde al luogo in cui si trova il server violato [2].

Un secondo orientamento rileva, invece, che la rete deve essere considerata unitaria, da cui ne deriva che la gestione e lo scambio di dati corrisponde ad una sola unità di elaborazione, per cui il terminale attraverso cui il soggetto agente inserisce le credenziali costituisce un elemento strutturale essenziale della rete: assume, quindi, rilevanza “il luogo di ubicazione della postazione con cui l’utente accede o si introduce nel sistema che contiene l’archivio informatico” [3].

Il terzo orientamento ritiene preferibile la tesi che individua il locus commissi delicti facendo riferimento alla condotta del soggetto agente, piuttosto che quella che privilegia il luogo ove è materialmente allocato il server che controlla le credenziali di accesso del client.

3. La truffa

L’articolo 640 c.p. disciplina il reato di truffa, prevedendo, al primo comma, che “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032“.

La truffa on-line non rappresenta una figura di reato autonoma rispetto a quella contenuta nell’articolo 640 c.p., ma un metodo di realizzazione della condotta criminosa.

Il momento di consumazione del delitto di truffa è quello dell’effettivo conseguimento dell’ingiusto profitto [4].

Nella truffa contrattuale realizzata attraverso la vendita di beni online, il reato si consuma nel luogo ove l’agente consegue l’ingiusto profitto [5].

Riguardo ai pagamenti online, è necessario distinguere i metodi di pagamento utilizzati più di frequente: il pagamento mediante ricarica postepay e il pagamento a mezzo di bonifico bancario [6]

Per quanto attiene la prima modalità, il conseguimento del profitto da parte del truffatore si verifica nel momento stesso in cui la parte che è stata tratta in inganno ha proceduto al versamento del denaro, con competenza del Tribunale del luogo ove il soggetto tratto in inganno ha effettuato la ricarica [7].

Per quanto attiene la seconda modalità, il soggetto truffato perde subito la disponibilità del denaro, ma il beneficiario consegue il profitto solamente nel momento in cui la somma viene effettivamente accreditata sul conto, giacché fino a quel momento il pagamento può essere revocato, con competenza dell’ufficio del luogo ove è radicato il conto corrente sul quale il bonifico è stato effettuato, che non sempre coincide con il luogo dal quale il truffatore ha tratto in inganno la vittima [8].

4. La diffamazione

L’articolo 595 c.p. stabilisce che chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente (articolo 594 c.p., ingiuria, articolo abrogato dal D. lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016), comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

La Corte di Cassazione, vista l’impossibilità di applicare la regola di cui all’articolo 8 comma 1 c.p.p. [9], nel caso della diffamazione on line ha stabilito che il locus commissi delicti del reato di cui all’articolo 595 c.p., va ravvisato nel luogo in cui terzi percepiscono l’offesa, che, nel web, corrisponde al luogo nel quale il collegamento viene attivato [10].

 

 


Note bibliografiche
[1] F. Caringella, A. Salerno,Manuale ragionato di diritto penale, Dike Giuridica, Roma, 2019,p. 306.
[2] Cass. pen., Sez. I, sent. n. 40303 del 27.09.2013.
[3] Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 17325 del 26 marzo 2015.
[4] Cass. pen., sent. n. 3869 del 1997 e Cass. pen., sent. n. 14907 del 2009.
[5] Cass. pen., sent. n. 7749 del 2005.
[6] Studio Legale LBMG,Truffe online: consumazione e competenza territoriale, 11 dicembre 2020, disponibile all’indirizzo https://www.studiolegalelbmg.com/truffe-online/.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato.
[10] Cass. Pen., sent. 8513 del 5 febbraio 2009.

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