I reati culturalmente orientati

I reati culturalmente orientati

L’identità civile, politica e giuridica di un Paese, il suo corso storico, le sue forme e le sue istituzioni culturali, sono inevitabilmente condizionati dalla conformazione geografica del territorio racchiuso entro i suoi confini.

E se il diritto rinviene il suo fondamento nella cultura di un popolo, se il diritto è lo specchio del suo costume, della sua morale, se affonda le proprie radici nella sua terra, come può, su di esso, incidere il bagaglio culturale dell’uomo straniero, che per qualunque ragione si trovi a solcare le nostre terre?

Può parlarsi di reato quando un comportamento realizzato da un soggetto appartenente ad un gruppo etnico di minoranza sia contrario alle norme del sistema della cultura dominante, pur essendo, nella cultura del proprio gruppo di appartenenza, accettato come normale, approvato o addirittura imposto?

I reati culturalmente orientati presuppongono una situazione di conflitto tra la norma applicabile in un dato territorio – quello dello Stato ospitante – e la cultura del gruppo etnico di origine del soggetto agente; conflitto che genera un dilemma interiore, risolto dall’individuo in favore della cultura d’appartenenza.

Quale sia il peso che una tale scelta possa avere nel nostro ordinamento è una questione che ha affaticato non poco gli interpreti.

Tradizionalmente, la cultura di minoranza e le peculiari usanze che porta con sé sono aspetti che non possono condizionare il sistema penalistico, né travolgere il rigorismo della legalità formale.

Tuttavia, ignorare la portata dirompente del multiculturalismo, delle mescolanze linguistiche e dei costumi, significherebbe esser ciechi dinanzi ai mutamenti storici che da sempre colorano l’umanità, imponendole il confronto, l’apertura, il riconoscimento. Storicamente, l’Italia, per la sua posizione strategica, nel cuore del Mediterraneo, ha rappresentato la culla della società civile, crocevia di popoli e costumi, spartiacque tra Oriente ed Occidente, tra l’Europa continentale e l’Africa mediterranea. Punto di separazione e, dunque, di contatto. Patria delle contraddizioni geografiche e linguistiche capaci di dialogare tra loro. Detentore di gran parte del patrimonio artistico e culturale censito ad oggi nel mondo.

D’altro canto, le più importanti Carte esistenti nel panorama nazionale e sovranazionale riconoscono e tutelano le minoranze, le diversità etniche, culturali e religiose, a partire dalla nostra Costituzione che, all’art. 6, inserisce il pluralismo linguistico tra i principi fondamentali dello Stato.

Il nostro ordinamento non vive in una dimensione ovattata, isolata dal resto del mondo, ma in un sistema multilivello in cui il diritto vive e si rigenera, in un costante interfacciarsi con altri ordinamenti, entro un’ottica di scambio continuo.

Multiculturalismo è riconoscimento pubblico della diversità. Non assimilazione, dunque, ma demarcazione della differente identità culturale, la quale acquisisce pieno riconoscimento e dignità.

Multiculturale è, pertanto, l’approccio ordinamentale che, riconosciuto il diverso, lo favorisce e lo tutela, in armonia con il principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, co. 2, Cost., prevedendo diritti derogatori rispetto alle norme applicabili nel nostro territorio; diritti promozionali, finalizzati alla conservazione degli aspetti peculiari di gruppi culturalmente identificati; diritti all’autogoverno e alla rappresentanza nelle istituzioni.

Diversamente, un approccio assimilazionista è un metodo con cui l’ordinamento adotta una politica di uguaglianza formale, integrando e assimilando a sé la minoranza, svilendone la diversità, al fine di garantire la certezza del diritto.

La Cassazione, negli ultimi anni, ha ribadito la necessità di promuovere un approccio esegetico, che abbia in considerazione il mutamento del costume e un sentire sociale in continuo divenire, di modo che le decisioni si mostrino come il prodotto di un’interpretazione contestualizzata in relazione al momento storico, piuttosto che la tralatizia ripetizione di concetti scontati e immutevoli.

In una società divenuta multiculturale, l’interpretazione della norma penale non può non risentire delle esigenze sociali di un popolo in un determinato periodo storico. Ritenere che il fenomeno del multiculturalismo possa incidere sulla punibilità dell’agente, pare, tuttavia, un passo azzardato. Diverse, invero, sono state le occasioni in cui l’elemento diversità ha inciso sulla portata della pena, in termini di circostanza aggravante (futili motivi), o attenuante (il particolare valore morale e sociale), o, ancora, in quanto causa di esclusione dell’antigiuridicità per ignoranza inevitabile della norma penale (art. 5 c.p. così come corretto dalla sentenza della Corte Costituzionale 364/1988).

Quel che è certo è che qualunque giudizio non potrà mai prescindere da un attento e scrupoloso bilanciamento tra il diritto del soggetto agente a non rinnegare le proprie radici, i propri valori cultuali e religiosi, da un alto,  e i diritti offesi o messi in pericolo dalla sua condotta, dall’altro.

È, quello demandato al giudice penale, un compito certamente arduo e delicato, oltre che pericoloso nella misura in cui rischi di disinnescare il principio di legalità.

Determinanti in tal senso sono state, dunque, le coordinate tracciate dalla Cassazione 2018 che, pur avendo negato rilevanza al fattore diversità nel caso sottopostole (venendo in rilievo il diritto alla dignità e alla libertà sessuale di un minore), ha stabilito i criteri che dovranno orientare il giudizio dell’interprete: la natura della regola culturale che ha ispirato l’agere del soggetto (culturale, giuridica, religiosa ecc.), il suo carattere vincolante, il grado di inserimento dello straniero nel tessuto sociale dello Stato ospitante e il grado di perdurante adesione alla cultura d’origine.

In questo quadro, la rilevanza del fattore culturale mai potrà incidere sui diritti fondamentali della persona. L’interpretazione della norma penale che non rinnega né esclude la necessità di tenere conto del momento storico e culturale di riferimento, mai potrà abdicare, in nome della bandiera delle diversità, alla punizione di fatti che colpiscano i diritti elementari dell’essere umano. Questi ultimi, difatti, rappresentano uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione, di fatto o di diritto, nella società civile, di consuetudini, prassi o costumi che tali diritti inviolabili offendano, siano essi del cittadino o dello straniero.


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Alessia Nicodemo

Ha conseguito la laurea magsitrale in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in Cooperazione Giudiziaria Penale, incentrata sulle prospettive di tutela dei diritti fondamentali della persona. Ha collaborato con uno studio legale napoletano operante nel settore penale e ha svolto il tirocinio formativo ex art. 73, d.l. 69/2013, presso la Seconda Sezione Civile del Tribunale di Napoli.

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