I reati di falso e l’emergenza da Covid-19: alcuni spunti di riflessione
Sommario: Premessa – 1. L’art. 495 c.p.: profili sanzionatori e bene giuridico tutelato – 2. L’art. 483 c.p.: un corretto profilo applicativo
Premessa
L’emergenza sanitaria che ha recentemente colpito il nostro Stato ha comportato, da un punto di vista normativo, l’emanazione di alcune nuove misure da parte del Governo.
In particolare, al fine di garantire un controllo e per limitare gli spostamenti dei singoli soggetti, è prevista la compilazione di un modello – in verità cambiato molte volte nel corso delle ultime settimane – c.d. di autocertificazione.
In particolare il soggetto è tenuto a consegnare, ovvero a compilare, tale autocertificazione alle Forze dell’ordine a seguito del controllo.
In tale modulo vengono specificati i dati anagrafici, nonché i motivi dello spostamento che devono essere quelli tassativamente tipizzati, quali motivi lavorativi, di prima necessità (recarsi a fare la spesa) o sanitari.
In tal senso il soggetto compilante si assume la penale responsabilità di quanto indicato nel modulo che deve ovviamente corrispondere alla realtà dei fatti.
Nello specifico alla luce dei continui aggiornamenti relativi al modello di “autodichiarazione” ai sensi degli artt. 46 e 47 d.P.R. 445/2000 che viene pubblicato online dal Ministero dell’Interno, ciascuno è chiamato a dichiarare: le proprie generalità (tra cui, la propria utenza telefonica); di essere consapevole delle conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.); di non essere sottoposto alla misura della quarantena; di non essere risultato positivo al virus Covid-19; di essersi spostato dal luogo A con destinazione B; di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio adottate con d.l. 25 marzo 2020, n. 19; di essere a conoscenza delle limitazioni ulteriori adottate dal Presidente della propria Regione di appartenenza; di essere a conoscenza delle sanzioni previste dall’art. 4 del d.l. 25 marzo 2020, n. 19[1].
1. L’art. 495 c.p.: profili sanzionatori e bene giuridico tutelato.
Proprio in ragione di tale nuovo oblio certificativo di particolare interesse, anche in virtù di future applicazioni, risultano essere il c.d. reati di falso.
Orbene nell’ordinamento penale italiano una parte, libro secondo, titolo VII, dei delitti contro la fede pubblica, che concerne espressamente tali delitti.
In particolare l’art. 495 c.p. punisce la falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sull’identità o su qualità personali proprie o di altri.
Il reato di cui all’articolo 495 c.p. è volto a tutelare la pubblica fede che può essere lesa attraverso le condotte, individuate nella fattispecie incriminatrice, idonee ad alterare il contrassegno personale della persona fisica propria o altrui.
Si tratta di un reato di pericolo essendo sufficiente la lesione in senso giuridico del bene[2].
Con il termine identità devono intendersi il nome, il cognome, la data e il luogo di nascita, la paternità e la maternità, la residenza; invece, per stato si intendono cittadinanza, capacità di agire, parentela, patria potestà, stato libero o coniugale, ecc.
Con la definizione di altre qualità, si vogliono ricomprendere le indicazioni cui l’ordinamento riconnette effetti giuridici e che concorrono a stabilire le condizioni della persona, a individuare il soggetto e consentire la sua identificazione, e sono soltanto quelle che servono a completare lo stato e l’identità della persona ai fini della sua corretta individuazione.
Restano, perciò, fuori della tutela penale le richieste dell’Autorità su condizioni personali del soggetto non giustificate da esigenze di identificazione.
Infine nella nozione di qualità personali, a cui fa riferimento l’art. 495 c.p., rientrano gli attribuiti e i modi di essere che servono ad integrare l’individualità di un soggetto, e cioè sia le qualità primarie, quali sono quelle concernenti l’identità o lo stato civile delle persone sia le qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali la professione la dignità, il grado accademico, l’ufficio pubblico ricoperto una recedente condanna o simili.
L’art. 495, I comma, c.p. non richiede che si tratti di qualità alle quali la legge attribuisce effetti giuridici, come nell’ipotesi di cui all’art. 494 c.p., né che vi sia stata una interrogazione da parte del pubblico ufficiale, come nell’ipotesi di cui all’art. 496 c.p.: l’obbligo di veridicità esiste in ordine a qualsiasi dichiarazione concernente le qualità personali cioè tutti quelli attributi che servono ad integrare l’individualità di un soggetto.
Affinché possa dirsi integrata la condotta di cui all’art. 495 c.p. è necessario che l’agente si attribuisca espressamente, in una dichiarazione resa al pubblico ufficiale, una qualità di cui non è in possesso, pur avendola acquisita ed avendola conservata.
Per quanto concerne l’elemento soggettivo è richiesto il dolo generico che consiste nella coscienza e volontà di alterare una qualità della propria persona in una dichiarazione resa ad un pubblico ufficiale in un atto pubblico o destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico.
Non si richiede infatti il dolo specifico, non essendo rilevante il fine perseguito dall’autore della falsità, ma è sufficiente la coscienza e volontà dell’ipotesi delittuosa.
Per quanto attiene al moneto consumativo il reato di cui all’art. 495 c.p. si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione perviene al pubblico ufficiale, indipendentemente dalla sua riproduzione in un atto pubblico.
Sul punto poi la Corte di Cassazione[3] si è recentemente espressa affermando che “Nella nozione di qualità personali, cui fa riferimento l’art. 495, comma 1, c.p., rientrano gli attributi ed i modi di essere che servono ad integrare l’individualità di un soggetto e, cioè, sia le qualità primarie, concernenti l’identità e lo stato civile delle persone, sia le altre qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali la professione, la dignità, il grado accademico, l’ufficio pubblico ricoperto, una precedente condanna e simili. (Fattispecie in cui la falsa informazione di ricoprire il titolo di alto ufficiale dell’esercito è stata ritenuta rientrare nelle qualità secondarie)”.
Così, con riferimento alla configurabilità del reato di falso ex art. 495 c.p. in capo a chi venga fermato per un controllo e dichiari o attesti il falso al pubblico ufficiale, si deve ritenere che la stessa ricorra laddove l’oggetto del mendacio riguardi gli elementi appena evidenziati, ovvero quelli che concernono l’identità, lo stato e le condizioni/qualità della persona.
Non appaiono dunque tali quelli che sono oggetto delle dichiarazioni relative: alle circostanze di moto da un luogo all’altro; alla conoscenza delle norme concernenti le misure di contenimento; alla conoscenza delle sanzioni; alle giustificazioni dello spostamento.
Appare meno dubbia, invece, l’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 495 c.p. con riferimento alla propria condizione di stato (quarantena) o di salute (Covid-19 negativo), trattandosi di qualità della persona certamente rilevanti ai fini della sua completa e corretta identificazione in una situazione di emergenza sanitaria per epidemia.
Dichiarare falsamente di non essere sottoposto a quarantena o di non essere Covid-19 positivo, significa mentire in ordine alla qualità di soggetto pericoloso perché “probabilmente contagioso”, così da ottenere una libertà di spostamento altrimenti preclusa.
Secondo una tesi di recente esposta, la falsità riguardante il non trovarsi posto in quarantena e il non essere positivo al virus rientrerebbe nelle maglie letterali dell’art. 495 cit., avuto riguardo alla dizione delle “altre qualità”, già analizzate[4].
L’orientamento proposto, sollecita comunque l’osservazione secondo cui non rientra nella nozione di “qualità” personale ogni connotato della persona cui l’ordinamento riconnette effetti giuridici, ma solo quello che abbia, a monte, capacità di individuazione del soggetto nella comunità sociale; si nutrono forti dubbi quindi che l’attributo di “soggetto non sottoposto a quarantena” o di “soggetto non positivo al virus” soddisfi adeguatamente detto requisito[5].
2. L’art. 483 c.p.: un corretto profilo applicativo.
Esaminati così i caratteri essenziali dell’art. 495 c.p. è ora opportuno soffermarsi su un diverso reato, che appare più consono all’attuale situazione.
Il nostro ordinamento prevede e punisce, all’art. 483 c.p., la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.
Tale delitto si configura quando una norma giuridica obbliga il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all’atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente.
Proprio per tale ragione deve escludersi che una scrittura privata o un altro documento originariamente non costituente atto pubblico possa essere considerato tale in virtù del solo suo collegamento funzionale ad un atto amministrativo, per effetto dell’inserimento di esso nella relativa pratica dell’iter consequenziale occorrente per il provvedimento finale.
Il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico quindi riguarda solo attestazioni del privato che il pubblico ufficiale ha il dovere di documentare.
Tale ipotesi criminosa presuppone un collegamento tra il privato autore della falsificazione e il pubblico ufficiale il quale abbia raccolto le mendaci attestazioni: il delitto di falsità ideologica in atto pubblico commessa dal privato può dirsi sussistere quando l’atto in cui è stata trasfusa la sua dichiarazione sia destinato a provare la verità dei fatti narrati.
Sul punto poi si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità[6] la quale ha stabilito che: “In tema di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, è esclusa la configurabilità del dolo generico quando la dichiarazione ritenuta non veritiera sia contenuta in un modulo prestampato ed attesti soltanto la rispondenza di una data situazione di fatto ad una normativa genericamente indicata senza, però, la precisa indicazione delle condizioni normative e delle circostanze fattuali attestate, in quanto per l’integrazione del delitto è necessaria la coscienza e volontà di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non essendo, invece, sufficiente la mera colposa omissione di indagine sul significato delle indicazioni contenute nel modulo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non configurabile il reato per assenza di dolo nel caso del titolare di un opificio che aveva dichiarato, su un modello prestampato, che l’attività da lui svolta era conforme alla normativa vigente in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e liquidi, essendosi poi accertato che l’opificio non risultava autorizzato allo scarico in pubblica fognatura)”.
Per quanto attiene all’elemento soggettivo è richiesto il mero dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere il fatto nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico dichiarare il vero.
Si tratta di un reato di pura condotta sicché il perfezionamento prescinde dal conseguimento di un eventuale ingiusto profitto.
Una parte della dottrina[7] ha specificato che l’art. 483 c.p. richiede, per la definizione del suo contenuto precettivo, il collegamento con una diversa norma – eventualmente di carattere extra-penale – che conferisca attitudine probatoria all’atto in cui confluisce la dichiarazione inveritiera, così dando luogo all’obbligo per il dichiarante di attenersi alla verità.
È necessario, dunque, che esista una norma giuridica che imponga l’obbligo per il privato a dire il vero, ma non è necessario che tale obbligo sia esplicito.
L’obbligo di verità infatti può trovare anche un aggancio “implicito” e non necessariamente “esplicito” in una norma di legge.
La Suprema Corte[8] ha ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 483 c.p. in assenza di una norma che esplicitasse il dovere di verità in capo al privato in sede di denuncia di smarrimento, ma rinvenendo detto dovere nella previsione normativa di un obbligo di denuncia e nel fatto che detta denuncia funge da presupposto per l’avvio dell’iter amministrativo volto alla formazione e al rilascio del relativo duplicato in favore del denunziante, affermando che “con la dichiarazione di smarrimento si attesta, nell’atto pubblico, il fatto dello smarrimento, che è condizione necessaria per l’ottenimento del duplicato della carta di identità, sicché è consequenziale l’obbligo di dire la verità al pubblico ufficiale e l’atto pubblico, in cui la dichiarazione è trasfusa, “certifica” l’evento denunciato”[9].
Orbene da un’attenta analisi del tenore letterale della disposizione di cui all’art. 483 c.p. nonché della recente giurisprudenza di legittimità, non si può non ritenere che la falsa dichiarazione in sede di autodichiarazione in emergenza Covid-19 possa integrare il reato di cui all’art 483 c.p..
L’attestazione circa la giustificazione che può derogare all’obbligo di restare a casa non può rientrare nella previsione di cui all’art. 46 D.P.R. 445/2000, che consente di comprovare con dichiarazioni, anche contestuali all’istanza, sottoscritte dall’interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni, stati, qualità personali e fatti tassativamente indicati, i quali sarebbero, in assenza di autocertificazione, rinvenibili in pubblici registri o comunque sarebbero già di dominio della pubblica amministrazione.
L’attestazione parrebbe rientrare, invece, nell’ambito dell’art. 47 d.P.R. 445/2000, che ammette di sostituire l’atto di notorietà con una dichiarazione sostitutiva che abbia ad oggetto, tra gli altri, “fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato” ; oltre che “nei rapporti con la pubblica amministrazione tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46 possono essere comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà”(comma 3).
L’art. 47 conferisce, dunque, il potere di “comprovare” i fatti di cui si è a conoscenza con la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà; così facendo l’ordinamento attribuisce efficacia probatoria alla dichiarazione.
Il successivo art. 76, per parte sua, assume la generale funzione obbligare al vero nell’elaborazione dell’autodichiarazione, stabilendo che “le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 sono considerate come fatte a pubblico ufficiale”, in questo modo richiamando il precetto di cui all’art. 483 c.p.[10].
Tuttavia è bene che l’interprete effettui una doverosa distinzione a seconda dei casi concreti.
Difatti non tutte le falsità nell’autodichiarazione sono idonee ad integrare il reato di cui all’art. 483 c.p..
Se è vero che l’oggetto del falso può essere unicamente un fatto vero, allora potranno essere attestati solo fatti già compiuti.
Qualora sia falsa tale attestazione il reato in parola sarà configurabile; si potrà perseguire, se falsa, l’attestazione di un fatto che si è già realizzato nella realtà fenomenica.
Diverso è dichiarare l’intenzione di compiere un fatto non ancora realizzato nella sua completezza.
La dichiarazione, in questi casi ultimi, ha per oggetto una mera intenzione e conseguentemente rientra in quegli arresti giurisprudenziali che non ammettono di ritenere configurata la fattispecie delittuosa, in quanto a essere attestato è un mero intento, un proposito che, in quanto tale sfugge all’oggetto della falsità penalmente rilevante.
Insomma sarà necessario distinguere le dichiarazioni mendaci rese in ordine agli elementi identificativi rilevanti ai sensi dell’art. 495 c.p., dalle dichiarazioni rese in ordine ai fatti già compiuti, rilevanti con riguardo all’art. 483 c.p.. ed infine alle dichiarazioni inveritiere riguardanti le intenzioni (e, quindi, tutte quelle che concernono le “destinazioni” dei propri spostamenti) che, in quanto future ed incompiute, non possono rappresentare “fatti” su cui fondare la punizione per il reato di falso in parola.
Orbene, l’interprete dovrà attentamente verificare, alla luce della lettura congiunta e coordinata delle due sezioni e soppesando sapientemente le parole utilizzate, se il privato abbia dichiarato un fatto o piuttosto un’intenzione: nel primo caso, il dichiarante potrà essere tacciato di falsità; nel secondo la condotta pare sfuggire alle maglie della punibilità, in ossequio alla giurisprudenza su richiamata.
Alcuni autori[11] affermano poi che risulterà complessa la strada verso il riconoscimento della punibilità̀ di chi, sprovvisto dell’autodichiarazione ed interrogato dal pubblico ufficiale sui motivi della propria presenza in strada, renda dichiarazioni false che il p.u. recepisca a verbale.
Difatti i giudici di legittimità[12] hanno più volte chiarito che il reato di cui all’art. 483 c.p. non si configura quando in un controllo stradale il privato renda dichiarazioni mendaci al p.u. “posto che il verbale della polizia, contenente le dichiarazioni del privato, non è destinato ad attestare la verità dei fatti dichiarati ed il reato in questione è ravvisabile quando l’atto pubblico, nel quale sia trasfusa la dichiarazione del privato, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati”.
Ecco dunque che il cittadino, che deve essere sempre informato sulle modifiche legislative introdotte nonché su quelle vigenti, può incorrere in sanzioni penali particolarmente incisive qualora – con coscienza e volontà – decida di rendere delle dichiarazioni falsi e mendace in moda da poter liberamente trasgredire ai divieti e alla limitazioni della libertà di movimento costituzionalmente tutelata.
Sussistono, invero e ad una attenta ed accurata analisi, in questo caotico e intricato labirinto di norme e regolamenti delle problematiche inerenti al principio di tipicità, che è posto alla base e fondamento delle norme penali.
[1] NIZZA V., NIZZA D., Emergenza sanitaria: le autodichiarazioni e i reati di falso, in IlPenalista, 03.04.20.
[2] DI IESU M., L’art. 495 c.p.: la falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sull’identità o su qualità personali proprie o di altri, in Filodiritto, 25.10.13.
[3] Cass.pen., sez. V, 05.03.19, n, 19695.
[4] NATALINI A., Nuovo modello, delitto più grave di falsa attestazione, in Guida al Diritto, 2020, fasc.1.
[5] LOMBARDI F., Covid-19, misure di contenimento e reati di falso: aspetti problematici dell’autodichiarazione, in Giurisprudenza Penale Web, 3/20.
[6] Cass.pen., sez. V, 19.12.19, n. 2496.
[7] CORBETTA S., Falsità commessa dal privato in atto pubblico (nota Cass. pen. Sez. V, 14 dicembre 2010, n. 3681), in Dir. pen. e proc., 3.
[8] Cass.pen., sez. V, 17.09.18, n. 48884.
[9] LOMBARDI F., Op. cit.
[10] NIZZA V., NIZZA D., Op. cit.
[11] LOMBARDI F., Op. cit.
[12] Cass.pen., sez. V, 19.01.16, n. 9195.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.