I requisiti della legittima difesa e l’ipotesi del commodus discessus

I requisiti della legittima difesa e l’ipotesi del commodus discessus

Il reato è un fatto giuridico provvisto di specifici requisiti necessari per la sua configurazione: il fatto, l’antigiuridicità, la colpevolezza e la punibilità. Il fattore antigiuridico del reato è l’aspetto che lo pone in contrasto con l’intero ordinamento giuridico; dunque l’antigiuridicità è l’elemento di contraddizione del reato rispetto all’assetto ordinamentale. La natura antigiuridica del reato porta con sé, come conseguenza, l’inevitabile applicazione della pena.

Può accadere che, in determinate circostanze, fatti che l’ordinamento giuridico ritiene antigiuridici acquisiscano natura doverosa ovvero facoltativa, il che determina l’insorgere di rapporti conflittuali tra norme contrapposte. Questi conflitti sono risolti dalla presenza delle cosiddette cause di giustificazione, note anche con il nome di scriminanti, che eliminano l’antigiuridicità di un fatto che di solito è considerato reato perché contrario all’ordinamento giuridico, ma che in presenza di una causa di giustificazione è perfettamente lecito, per cui non è nemmeno punibile.

Di base le cause di giustificazione escludono l’applicazione della pena, a differenza delle circostanze aggravanti e attenuanti che intervengono sulla modulazione di una pena a cui si dà esecuzione, ma che per una serie di fattori non trova un’applicazione piena, ma risulta mitigata ( nel caso delle attenuanti), ovvero incontra un aggravio nella sua comminazione  ( nel caso delle aggravanti). Dunque le circostanze del reato sono elementi che subentrano nella struttura del fatto, già di per sé perfettamente compiuto, implicando un’alterazione del livello edittale della pena, nel senso che la graduano tenendo conto di alcuni fattori: la modalità della condotta, la gravità del fatto, la personalità del reo, i rapporti con la vittima o con il bene giuridico, a seconda del tipo di reato. Risulta chiaro che riconoscere la sussistenza di una circostanza di questo tipo è compito del giudice, che è chiamato ad esercitare i poteri discrezionali di cui è dotato ai sensi degli articoli 132 e 133 c.p.. Dato il carattere accessorio che le contraddistingue, le circostanze del reato sono definite accidentalia delicti: le attenuanti sono sempre valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute o per errore ritenute inesistenti (regime di imputazione oggettiva); le aggravanti sono valutate a carico del soggetto agente solo se da lui conosciute, ignorate per colpa, o ritenute insussistenti per errore determinato da colpa ( regime di imputazione soggettiva). Tali circostanze sono disciplinate dall’art. 59 c.p. in cui sono racchiuse tutte le cause di esclusione della pena; l’art. 59 c.p., infatti, oltre a disciplinare le circostanze del reato, disciplina anche le cause di giustificazione ( in cui è ricompresa la legittima difesa). Esiste anche la categoria delle scusanti, che escludono la colpevolezza dell’agente. Esse si basano sul principio di inesigibilità, nel senso che non si può chiedere all’agente di tenere un comportamento diverso da quello in concreto attuato, per la presenza di determinate situazioni che incidono sulla sfera psichica del soggetto. Dunque le scusanti escludono la colpevolezza di un fatto antigiuridico e tipico.

Tra le cause di giustificazione che escludono l’applicazione della pena vi è la legittima difesa, disciplinata dall’art. 52 c.p., secondo cui ” Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. In sua presenza la punibilità è esclusa, in quanto si tratta di una situazione nella quale la condotta posta in essere, di per sé antigiuridica, è una risposta al fatto di subire un avvenimento pericoloso e in virtù di tale circostanza l’antigiuridicità della reazione viene meno. La legittima difesa si esercita al fine di difendere un diritto, personale o patrimoniale, da un pericolo attuale, come risposta ad un’offesa ingiusta, sempre che ci sia proporzionalità tra offesa e difesa.

Il primo aspetto da analizzare è il motivo per cui viene posta in essere la legittima difesa: ciò che si teme è la lesione di un proprio diritto, che può essere sia di natura personale sia di natura patrimoniale. Infatti la legittima difesa opera come scriminante non solo quando sia messo in pericolo il bene vita, per cui ad esempio è legittima la difesa quando si colpisce con una spranga l’agente che attenta alla propria vita con una pistola, ma anche quando il bene da tutelare sia di natura patrimoniale o materiale. In questi casi si può parlare di beni che sono previsti dalla Costituzione e che dalla stessa sono tutelati, dunque l’istituto della legittima difesa ben si colloca nel quadro costituzionale in equilibrio con le disposizioni che tutelano questi beni e che giustificano la reazione, per sua natura antigiuridica, stante in perfetta armonia con l’intero ordinamento. Inoltre sempre per quel che concerne il discorso degli interessi, è bene sottolineare che nel caso di applicazione di legittima difesa si ricorre a un bilanciamento degli interessi, che vede prevalere gli interessi del soggetto aggredito su quelli dell’aggressore. Posta in questi termini la legittima difesa rappresenta un residuo, presente nel nostro ordinamento, di autotutela privata, dal momento che per ottenere tutela è necessario rivolgersi ad un soggetto terzo. In questo caso, tuttavia, è possibile ” farsi giustizia da sé”, sempre che il pericolo sia attuale, cioè imminente, né già passato né futuro, e che ci sia proporzionalità tra difesa e offesa, nonché ingiustizia del danno.

Tuttavia non è da escludere il mancato ricorso all’istituto della legittima difesa quando per il soggetto aggredito vi sia la possibilità di seguire una strada diversa rispetto alla legittima difesa. Si parla di commodus discessus ( letteralmente “facile via d’uscita, comoda ritirata”), quando l’aggredito può scegliere una soluzione sempre lecita ma diversa dalla reazione all’offesa ingiusta ( classico esempio in caso di aggressione è la fuga, qualora ce ne sia la possibilità, piuttosto che reagire colpendo l’aggressore). Riguardo questa via d’uscita, sono state formulate diverse teorie circa la sua configurabilità: la vecchia teoria parla di reazione difensiva e di possibilità di fuga, secondo la quale la fuga è sempre disonorevole; una teoria più evoluta afferma che la legittima difesa va esclusa qualora la fuga sia sicura, agevole e non vergognosa; l’opinione oggi più prevalente afferma che la valutazione sul commodus o incommodus discessus va effettuata in relazione agli interessi e ai rischi in gioco ( bilanciamento degli interessi), escludendo dunque la rilevanza della possibilità di fuga solo quando, attraverso di essa, si verrebbe a provocare a sé o terzi un danno maggiore di quello derivante dalla reazione lesiva. Il giudizio sul commodus discessus va effettuato con riferimento al momento dell’aggressione, quando cioè il pericolo diviene attuale, non potendosi pretendere un discessus preventivo, da innescare quando si profila ipoteticamente un pericolo solo futuro.

Per quanto riguarda il pericolo, l’art. 52 c.p. ne sottolinea l’attualità: è opportuno che il pericolo sia imminente, che si verifichi, cioè, nel momento preciso in cui può scatenare la reazione da parte dell’aggredito. Dunque il pericolo non può essere antecedente rispetto alla reazione, perché in questo caso la difesa non sarebbe legittima e sarebbe a tutti gli effetti una condotta antigiuridica, e nemmeno successiva. Importante è anche il carattere dell’ingiustizia del danno, che è la conseguenza in cui si incorrerebbe se non si reagisse. Nella legittima difesa è necessaria anche la proporzionalità tra l’offesa e la difesa: sulla base del principio del bilanciamento degli interessi, è necessario che all’offesa risponda una difesa che si doti di quei mezzi che siano in equilibrio con i mezzi dell’offesa.


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