I rimedi del terzo intestatario del bene sequestrato in pendenza del giudizio: Sezioni Unite n. 48126/2017

I rimedi del terzo intestatario del bene sequestrato in pendenza del giudizio: Sezioni Unite n. 48126/2017

1. La pronuncia in commento

Con la pronuncia n. 48126 del 20 luglio 2017 (depositata il 19/10/2017) la Suprema Corte di Cassazione, a Sezione Unite, ha definitivamente risolto il conflitto giurisprudenziale creatosi intorno agli strumenti a disposizione di un soggetto terzo al procedimento penale che vede sottoporre a sequestro preventivo[1], prima e a confisca, poi un bene a lui intestato, tema oggetto anche di ampio dibattito dottrinale[2].

Il profilo controverso, oggetto di un vivace contrasto interpretativo alimentato da plurime pronunce, così veniva enunciato nel momento in cui il Primo Presidente assegnava il ricorso alle Sezioni Unite: “Se il terzo, rimasto estraneo al giudizio di cognizione, proprietario del bene del quale sia stata disposta, con sentenza, la confisca, sia legittimato a promuovere incidente di esecuzione prima della irrevocabilità della sentenza stessa”.

2. I differenti indirizzi giurisprudenziali

Orbene, prima di giungere all’analisi della soluzione offerta dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 48126/2017, giova in tal sede dar risalto ai differenti e radicalmente contrapposti orientamenti giurisprudenziali che hanno reso necessaria una pronuncia da parte dei giudici di legittimità nel loro più autorevole consesso.

Un primo filone giurisprudenziale[3] riteneva che il terzo titolare del bene attinto dapprima dal sequestro preventivo e, dopo la pronuncia di merito non ancora definitiva, dalla confisca potesse chiedere la restituzione del bene al giudice procedente e, nell’eventualità di un provvedimento di diniego (non essendo esperibile l’appello ex art. 322-bis c.p.p., proponibile unicamente sino alla sentenza), potesse proporre opposizione al giudice della cognizione: trovava applicazione analogica, in quanto il proprietario del bene non è parte del processo e quindi privo della legittimazione all’appello ex art. 579 c.p.p., la procedura prevista dal disposto degli artt. 676, 677 c. 4 e 666 c.p.p.: norma, quest’ultima, che prevede espressamente la possibilità di ricorrere autonomamente per Cassazione avverso l’ordinanza emessa all’esito della camera di consiglio.

L’orientamento contrapposto[4], viceversa, negava al terzo proprietario del bene –in quanto soggetto estraneo al giudizio di cognizione – la legittimazione ad attivare un “sub-procedimento parallelo” (con forme e schemi dell’incidente di esecuzione), prima del passaggio in giudicato della sentenza che ha disposto la confisca.L’indirizzo in commento evidenziava come la possibilità garantita al terzo-estraneo di chiedere la restituzione del bene nelle forme di cui all’art. 263 c.p.p., sino alla pronuncia della prima sentenza di merito e – una volta intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca – la facoltà di proporre incidente di esecuzione risulti coerente sia con i principi costituzionali, sia con la normativa della CEDU, poiché esse incidono soltanto sui modi e sui tempi nei quali il terzo può far valere i propri diritti sui beni e non sulla possibilità di tutela dei diritti stessi.Il fatto che, nel periodo ricompreso fra la pronuncia e il passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca, sia “sospesa” la possibilità di chiedere la restituzione del bene vincolato si impone, secondo tale corrente giurisprudenziale, poiché v’è la necessità di scongiurare il rischio di un contrasto – interno al medesimo Giudice – fra quanto deciso nell’ambito del giudizio di cognizione e quanto statuito circa l’istanza che mira alla revoca della confisca promossa dal terzo.

3. L’iter processuale e la decisione delle Sezioni Unite

Ricostruiti i contrapposti orientamenti giurisprudenziali è ora possibile analizzare la vicenda che ha dato origine alla pronuncia in commento.

In pendenza del ricorso per Cassazione, promosso avverso la sentenza con la quale la Corte di appello di Napoli aveva condannato l’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 12-quinquies d.l. 306/1992 (convertita dalla Legge 356/1992) e mantenuta la confisca ex art. 12-sexies d.l. 306/1992 disposta all’esito del giudizio di primo grado (preceduta dall’esecuzione di un sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p.), le ricorrenti, terze rispetto al giudizio di cognizione, in qualità di titolari delle quote societarie colpite dalla misura cautelare reale, proponevano istanza per la revoca della confisca alla Corte di appello di Napoli, con conseguente restituzione, in loro favore, dei beni.

Con provvedimento emesso de plano, ai sensi degli artt. 676[5] e 667 c. 4[6] c.p.p., la Corte d’Appello competente a pronunciarsi rigettava l’istanza. Avverso la decisione de qua proponevano quindi opposizione le aventi diritto chiedendo, ai sensi dell’art. 666 c.p.p., la fissazione dell’udienza camerale per la discussione. All’esito dell’udienza, la Corte di appello di Napoli, non prima di aver motivato quanto all’ammissibilità in rito dell’istanza proposta, confermava il provvedimento già assunto de plano, rigettando le doglianze. Avverso la seconda ordinanza le istanti proponevano allora ricorso per cassazione, denunciando vizi in rito e sul merito.

Assegnato il ricorso alla prima Sezione, il Collegio (e poi il Primo Presidente) ravvisando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine all’ammissibilità, in rito, dell’incidente di esecuzione proposto dal terzo proprietario del bene attinto dalla misura ablativa prima della irrevocabilità della sentenza che ne dispone la confisca, investiva le SS. UU. per la risoluzione del dubbio interpretativo.

La Suprema Corte, risolvendo il sopra menzionato contrasto interpretativo, ha innanzitutto escluso che, in pendenza di un giudizio di cognizione, si possa istaurare un procedimento a questo “parallelo” (quale si rileverebbe il giudizio instaurato con l’incidente di esecuzione). Si rischierebbero infatti contrastanti pronunce da parte del medesimo organo giudicante (per non considerare il fatto che si tratterebbe di un anomalo percorso procedurale in quanto la competenza del giudice dell’esecuzione è competenza funzionale, diretta a dar seguito alla sentenza irrevocabile): il terzo estraneo potrà quindi ricorrere alla procedura dell’incidente di esecuzione solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca.

Durante il procedimento il terzo non rimane, però, privo di tutela. Gli Ermellini hanno infatti “consentito” a quest’ultimo di adire il Tribunale del Riesame ai sensi dell’art. 322 –bis c.p.p., sia durante le indagini preliminari, sia nelle mole del giudizio di primo grado, sia, infine, dopo la pronuncia di sentenza non definitiva.  Ciò è possibile in quanto la sentenza, non definitiva, non muta il titolo giuridico dell’ablazione del bene – che continua ad essere rappresentato dall’originario provvedimento di sequestro, in base al quale il terzo è stato spossessato della materiale disponibilità del bene -.

In conclusione, secondo la pronuncia in commento, il terzo estraneo al giudizio di cognizione può far valere il proprio diritto alla restituzione dei beni che gli sono stati cautelativamente sottratti a mezzo sequestro mediante l’appello cautelare, ai sensi dell’art. 322 –bis c.p.p., strumento che costituisce l’unico rimedio attivabile per contestare il vincolo gravante sui beni sino al passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca del bene.

Dopo tutto, sottolinea la Suprema Corte, l’appello al Tribunale del Riesame è un rimedio di carattere generale per tutti i provvedimenti differenti da quelli impositivi della misura e la natura, di per sé incidentale, del procedimento cautelare consente di ritenere che esso possa essere attivato anche nel corso del processo di cognizione, poiché lo stesso non interferisce con il thema decidendum rimesso al Giudice, ma incide su un aspetto parentetico, che non vincola -prosegue la Corte – e non rischia di contraddire la decisione definitiva del giudicante.

Concludendo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, rispondendo al “quesito” sottoposto dalla Prima Sezione alla sua attenzione, ha enunciato il seguente principio di diritto: “Il terzo, prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile, può chiedere al giudice della cognizione la restituzione del bene sequestrato e, in caso di diniego, proporre appello dinnanzi al tribunale del riesame. Qualora sia stata erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, questa va qualificata come appello e trasmessa al tribunale del riesame”.


[1] Per l’analisi della disciplina riguardante le cautele reali si rinvia, tra gli altri, a Santoriello C., “Le misure cautelari nel processo penale. Considerazioni generali, in Fiorentin C., C. Santoriello, G. Spangher (a cura di), Le misure cautelari reali, Torino, 2009; Balducci P., Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano 1991.

[2] Per una panoramica generale si veda: Romano E. Confisca e tutela dei terzi: tra buona fede e colpevole affidamento” in Cassazione Penale, 2016, Galantini M. N., in E. Amodio e O. Dominoni, “Misure cautelari reali. Impugnazioni, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, III, Milano, 1990.

[3] Tra i più recenti Cass. Pen., Sez. I, 30 ottobre 2008, Banca Antonveneta S.p.a., CED, n. 241844; Cass. Pen., Sez. V, 9 febbraio 2015, Rocchi, ivi, n. 264253.

[4] Tra cui Cass. Pen., Sez. II. 10 gennaio 2015, Purificato, in C.e.d., n. 26283; Cass., sez. II, 18 gennaio 2017, D’Alonzo, ivi, n. 269239

[5] secondo cui: Il giudice dell’esecuzione è competente a decidere in ordine all’estinzione del reato dopo la condanna, all’estinzione della pena quando la stessa non consegue alla liberazione condizionale o all’affidamento in prova al servizio sociale, in ordine alle pene accessorie, alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate. In questi casi il giudice dell’esecuzione procede a norma dell’articolo 667 comma 4. Qualora sorga controversia sulla proprietà delle cose confiscate, si applica la disposizione dell’articolo 263 comma. Quando accerta l’estinzione del reato o della pena, il giudice dell’esecuzione la dichiara anche di ufficio adottando i provvedimenti conseguenti.

[6] Ai sensi del quale: “Il giudice dell’esecuzione provvede in ogni caso senza formalità con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato. Contro l’ordinanza possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice il pubblico ministero, l’interessato e il difensore; in tal caso si procede a norma dell’articolo 666. L’opposizione è proposta, a pena di decadenza, entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell’ordinanza”.


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