I viaggi della speranza: analisi del TU in materia di immigrazione e condizione di vita dello straniero
Il decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 costituisce il testo unico in materia di immigrazione clandestina e condizione di vita dello straniero nel territorio italiano.
Lo straniero soggiornante nello Stato italiano è obbligato al rispetto delle disposizioni di legge in materia sia civile che penale ed è, pertanto, al pari dei cittadini sottoposto alla giurisdizione italiana.
Per soggiornare in Italia sono imposte dal decreto legislativo di cui sopra delle norme a presidio della pubblica sicurezza: per ottenere regolare permesso di soggiorno è, infatti, necessario presentare istanza alla Questura del luogo di residenza; il permesso può essere rilasciato a determinate condizioni.
Il permesso di soggiorno a tempo indeterminato o determinato, è infatti concesso previa verifica della cosiddetta fedina penale. Il Questore, in coordinamento con le forze di polizia giudiziaria anche straniere, deve verificare se sussistono procedimenti penali in corso o conclusisi con sentenza definitiva di condanna nel territorio nativo della persona che chiede il permesso di soggiorno.
Gli immigrati, per ottenere il permesso di soggiorno, sono sottoposti dalle forze di polizia, ai sensi del TU, a rilevamenti fotodattiloscopici e, cioè, all’acquisizione delle impronte digitali. A parere di chi scrive, la rilevazione di impronte digitali per il rilascio del permesso di soggiorno è “denigratoria” in quanto queste operazioni, nel territorio della Repubblica, sono poste in essere per fermi giudiziari previa autorizzazione dell’autorità pubblica alla limitazione della libertà personale del soggetto per comprovate esigenze di tutela della collettività. Si ritiene, dunque, che nei confronti degli immigrati che siano “in regola” di fronte alla legge dello Stato di appartenenza e dello Stato italiano, non occorra procedersi a queste attività che sembrano porsi in contrasto con l’articolo 1 Cedu in materia di dignità umana, salvo che siano utili ad identificare i soggetti senza documento di identità. Così infatti dispone la norma testé citata: <<la dignità umana è inviolabile>>. Pertanto, non si dovrebbe consentire ad una legge dello Stato, quale il TU in materia di immigrazione, di violare la “dignità” della persona quando non sussistono indizi di colpevolezza.
Nell’ipotesi in cui dovessero rendersi rei nel territorio occupante potranno essere espulsi per aver disobbedito alle leggi italiane; in tal caso, ai sensi dell’articolo 4 del d.lgs. Del 1998, comma 6, <<non possono fare ingresso nel territorio dello Stato e sono respinti dalla frontiera gli stranieri espulsi, salvo che abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di ingresso>>.
Ai sensi del comma 1 dell’articolo 4, l’ingresso in Italia è consentito allo straniero in possesso di passaporto valido o documento equipollente e (contestualmente) del visto di ingresso.
L’autorità diplomatica o consolare italiana consegna allo straniero una comunicazione scritta in lingua a lui comprensibile o, in mancanza, – stabilisce la legge – in inglese, francese, in spagnolo o arabo, che illustri allo straniero i diritti e i doveri dello straniero nel territorio dello Stato.
Il visto è rilasciato previa verificazione della sussistenza di disponibilità economica che consenta una vita libera e dignitosa per la durata del soggiorno: questa disposizione non tiene conto delle necessità di lavoro degli stranieri nel territorio dello Stato perché possano vivere una vita dignitosa dietro retribuzione regolare. Il visto è rilasciato, infatti, anche per motivi di lavoro e di salute. Dovrebbe, invece, a parere di chi scrive, essere garantita dalla legge adeguata assistenza all’ingresso degli stranieri per il tempo necessario all’inserimento sociale, visto che molte persone sono “costrette” dall’inerzia dello Stato di appartenenza e dalle gravi condizioni di vita (povertà, malattie, mancanza di lavoro, guerre) a chiedere asilo politico o rifugio e lavoro nello Stato italiano.
Gli immigrati in cerca di una vita migliore, infatti, corrono il rischio di morire lungo il cammino e pagano a caro prezzo la loro vita.
Gli individui che favoreggiano l’immigrazione clandestina, a discapito delle vite umane, traendo vantaggi patrimoniali e profittando della minorazione della capacità di scegliere di fuggire dal loro stato di sopraffazione, sono puniti ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. 286/1998 con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona.
Negli ultimi anni, si è assistito e si assiste tuttora – attraverso i mezzi di comunicazione – a strage di vite umane in mare: i cosiddetti viaggi della speranza.
Molte persone di ogni età sono morte nelle acque del territorio italiano in cerca di una vita migliore, lontano dai soprusi, dalle sopraffazioni e dalle guerre.
Gli Stati dell’Unione europea devono garantire il diritto alla vita della persona di qualunque nazionalità sia in ossequio ai principi del diritto europeo che ai sensi degli artt. 10, 11 e 117 Cost..
Attraverso le indagini della polizia giudiziaria coordinate dalle Procure è emersa l’ipotesi di reato di sequestro di persona a carico dei rappresentanti delle Istituzioni che hanno inadempiuto all’obbligo giuridico di soccorrere vite umane che si trovavano sulle navi delle ONG (organizzazioni non governative che forniscono assistenza e protezione anche in mare aperto), ledendo la dignità umana, il diritto alla tutela psicofisica della persona e il più lato diritto alla vita: infatti, in conseguenza di tale condotta, alcuni uomini, donne e bambini hanno perso la vita.
Non solo di sequestro di persona potrebbe parlarsi ma anche di strage o tentato omicidio ovvero omicidio nel caso in cui si verifichi l’evento morte.
Non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato, ex art. 12 TU rubricato <<disposizioni contro le immigrazioni clandestine>>.
Altro reato troppo spesso posto in essere a danno degli immigrati è quello che li vede costretti a lavorare in nero nei campi per più di dodici ore al giorno con “retribuzione” di un euro: è il fenomeno del cosiddetto caporalato.
Si tratta di persone private della dignità del lavoro e della vita umana. Se, infatti, fossero realmente accolte nel territorio italiano e fosse loro garantita la dovuta protezione (come stabilisce il TU) non sarebbero istruiti processi a carico di chi sfrutta la manodopera umana.
L’articolo 603-bis del codice penale, punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore, chiunque recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello Stato di bisogno dei lavoratori. Il comma secondo stabilisce che <<se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato>>.
La legge punisce gravemente lo sfruttamento del lavoro sia per i cittadini che per gli stranieri perché la dignità umana è di tutti e per tutti. Si legge, infatti, nell’articolo 4-bis del testo unico sull’immigrazione che <<ai fini di cui al presente testo unico, si intende con integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società>>.
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