Il bilanciamento tra l’esigenza di certezza dei termini entro i quali la P.A. può intervenire in tema di SCIA e la tutela del terzo
Sommario: 1. Premessa – 2. I poteri della PA rispetto alla SCIA – 3. La tutela del terzo – 4. Conclusioni
1. Premessa
Nel corso degli anni il settore delle attività economiche e produttive è stato interessato da numerosi interventi legislativi finalizzati alla semplificazione e alla liberalizzazione. L’obiettivo perseguito dal legislatore è stato quello di restituire ampi spazi alla libertà di iniziativa economica mediante la rimozione degli ostacoli che si frappongono all’avvio delle attività del privato così come previsto dall’art. 41 della Costituzione.
In virtù dei predetti interventi legislativi, la PA ha assunto un nuovo ruolo essendo chiamata ad intervenire non più preventivamente ma successivamente in sede di verifica della legittimità dell’attività posta in essere dal privato ed esclusivamente per la tutela di un interesse pubblico superiore.
Il processo di liberalizzazione ha trovato la sua massima espressione nell’istituto della SCIA (certificazione di inizio attività), in passato DIA (denuncia di inizio attività), disciplinato dall’art.19 della legge n.241/1990.
2. I poteri della PA rispetto alla SCIA
La ratio dell’art. 19 della legge n. 241/1990 è stata quella di facilitare l’attività d’impresa subordinando in casi specifici l’inizio del suo esercizio non più ad un atto autorizzatorio della PA bensì ad una iniziativa del privato interessato.
Il legislatore ha considerato la SCIA come normale modello di inizio dell’attività economica, prevedendo la possibilità di ricorrere ad esso in sostituzione di ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione, permesso, nulla osta il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi generali, salvi i casi previsti espressamente dalla norma (come quelli in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici, culturali e per gli atti rilasciati da Amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, salute ecc).
L’art. 19 della legge n.241/1990 disciplina anche puntualmente la documentazione che deve accompagnare la SCIA (dichiarazioni sostitutive, attestazioni, asseverazioni, elaborati tecnici) nonché le modalità di trasmissione della stessa al fine di consentire alla PA di effettuare le dovute verifiche.
Entro 60 giorni dalla presentazione della SCIA la PA, accertata la carenza dei requisiti e dei presupposti normativi previsti, può esercitare poteri inibitori, adottando provvedimenti di divieto , di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti. In alternativa, qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa, la PA può prescrivere le misure necessarie da adottare entro un termine temporale non inferiore a 30 giorni, decorso il quale, in mancanza di adozione delle prescrizioni da parte del privato, l’attività sarà considerata vietata.
Il comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241/1990 prevede che, decorsi 60 giorni senza che sia intervenuto alcun provvedimento interdittivo, la PA può comunque intervenire con l’annullamento d’ufficio purchè sussistano ragioni di interesse pubblico ed entro massimo 18 mesi, termine che decorre dalla scadenza di quello previsto dal comma 3 per l’esercizio dei poteri di verifica. Qualora la SCIA si sia formata sulla base di dichiarazioni mendaci o false, la PA può intervenire anche oltre i 18 mesi.
In materia edilizia i poteri interdittivi potranno essere esercitati entro 30 giorni dalla presentazione della SCIA. Sul punto particolarmente interessante è la sentenza del Tar Campania-Salerno del 01/10/2020 n. 1276, che ha affermato l’illegittimità del provvedimento di sospensione decorsi i 30 giorni atteso che il decorso del termine previsto per l’esercizio del potere inibitorio circa i lavori oggetto di SCIA comporta la definitiva consumazione del potere inibitorio stesso e il consolidamento della situazione soggettiva del dichiarante/segnalante, residuando in capo all’Amministrazione, a fronte di un’attività avviata al di fuori delle condizioni normativamente previste, i soli poteri di autotutela.
3. La tutela del terzo
Considerato che l’attività economica, oggetto di segnalazione potrebbe pregiudicare terzi, si è discusso sulla natura della SCIA e sui rimedi attivabili da parte di terzi che possono, appunto, variare a seconda della natura che si riconosce a predetto atto.
Invero, prima del 2011 si erano affermate due tesi: una sosteneva la natura privatistica della SCIA; l’altra riteneva la stessa un atto amministrativo tacito impugnabile con l’azione di annullamento.
Nel 2011 il Consiglio di Stato in Adunanza plenaria [1]è intervenuto per fare chiarezza, a fronte dei contrastanti orientamenti, riconoscendo la natura privata della SCIA.
Con riguardo alla tutela del terzo, il Consiglio di Stato ha individuato diversi rimedi esperibili a seconda del momento in cui il terzo decide di agire. Qualora il terzo interviene dopo i 60 giorni, l’azione esperibile è quella di annullamento avverso il silenzio significativo prevista dall’art. 29 cpa, eventualmente accompagnata dall’azione di condanna della PA all’adozione del provvedimento inibitorio. Qualora il terzo intende agire prima che siano decorsi i 60 giorni, l’azione proponibile secondo la pronuncia del 2011 del Consiglio di Stato è quella di accertamento finalizzata a verificare l’assenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto di SCIA.
Con il dl. n. 138/2011 è stato introdotto nella legge n. 241/1990 il comma 6 ter all’art. 19 che ha statuito la natura privata della SCIA e ha chiarito quali sono le forme di tutela del terzo.
Invero, la norma afferma che la SCIA non può essere considerata un provvedimento tacito immediatamente impugnabile. Inoltre, il comma 6 ter prevede che i terzi interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti alla PA e, in caso di inerzia, esperire l’azione avverso il silenzio di cui all’art. 31, commi 1,2,3 cpa.
Occorre rilevare che a seguito della questione di legittimità costituzionale sollevata merito all’art. 6 ter della legge n. 241/1990, la Corte costituzionale con la sentenza del 13 marzo 2019 n. 45 è intervenuta per precisare quali sono i termini per la sollecitazione da parte del terzo dei poteri di verifica sulla SCIA atteso il silenzio del legislatore nonché per fornire indicazioni sul quadro dei rimedi esperibili dai controinteressati. Con riguardo al primo aspetto, la Corte costituzionale ha precisato che i poteri di verifica che il terzo può sollecitare sono quelli previsti dall’art. 19 della legge 241/1990. Pertanto, i termini per il terzo sono quelli previsti da predetta norma ai commi 3 (ovvero 60 giorni, ridotti a 30 in materia edilizia ) e 4 ( ossia 18 mesi atteso il rinvio all’art. 21 nonies). Decorsi tali termini, l’amministrazione perde il potere di intervenire e, di conseguenza, viene meno anche l’interesse del terzo all’esercizio del controllo amministrativo, non potendo più questo essere esercitato.
Pertanto, la Consulta ha evidenziato che decorsi questi termini la situazione soggettiva del terzo si consolida sia nei confronti della PA che del terzo e il privato potrà sollecitare l’esercizio dei poteri di verifica della PA in caso di dichiarazioni false o mendaci ex art. 21 comma 1, stimolare la PA ad esercitare i poteri di vigilanza e repressivi di cui all’art. 21comma 2-bis ; infine agire in sede risarcitoria nei confronti della PA per mancato esercizio del doveroso potere di verifica, ferma restando la possibilità di agire in sede civilistica per il risarcimento del danno derivante dall’attività illecita.
Con la successiva sentenza del 20 luglio 2020 n. 153 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tar per l’Emilia Romagna sez st. Parma in merito all’art 19, comma 6-ter evidenziando come la situazione giuridica soggettiva del terzo va valutata tenendo conto dell’insieme degli strumenti di tutela previsti. Infatti, la Consulta ricorda come il terzo potrà attivare i poteri di verifica della PA in caso di dichiarazioni false o mendaci ex art. 21 comma 1, agire in sede risarcitoria contro la PA per il mancato esercizio del doveroso potere di verifica, ricorrere alla tutela civilistica per risarcimento del danno da attività illecita.
4. Conclusioni
La Corte costituzionale con le sentenze n. 45/2019 e n. 153/2020, pur affermando la sussistenza di un bilanciamento tra la tutela complessiva del terzo e l’affidamento al consolidamento dell’attività che vanta colui che ha presentato la SCIA, ha sollecitato un intervento legislativo volto a consentire al terzo interessato una immediata conoscenza dell’attività oggetto di SCIA e , di conseguenza, impedire il decorso dei termini in caso di sua sollecitazione in modo da evitare l’effetto estintivo dell’esercizio del potere inibitorio da parte della PA. Spetterà, quindi, al legislatore colmare il vulnus normativo nell’attica di un rafforzamento della tutela del terzo in caso di SCIA.
[1] Cons., Ad. Plen., n. 15 del 29 luglio 2011.
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