Il c.d. “Revenge porn”: tra insidie applicative e sospetti di incostituzionalità
Sommario: 1. Premessa: il perimetro applicativo della fattispecie – 2. La interessante pronuncia n. 771/2023 del Tribunale Penale di Siena – 3. Considerazioni conclusive
1. Premessa: il perimetro applicativo della fattispecie
Com’è noto, il Legislatore nazionale, attraverso la L. n. 69 del 19 luglio 2019, intitolata “Modiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, ha introdotto nell’Ordinamento penale interno il nuovo art. 612 ter c.p., rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”.
Mediante tale inedita interpolazione normativa, dettata – quantomeno sul piano della mens legislatoris– dal chiaro intento di arginare il sempre più avvertito allarme sociale derivante dal proliferare di nuove forme “virtuali” di aggressioni alla persona, si è inteso, a ben vedere, attribuire espressa rilevanza penale a tutte quelle forme intrusive connotate, sul versante finalistico, da ragioni di tipo puramente vendicativo, oggi comunemente riconducibili sotto l’egida dell’oramai noto neologismo anglosassone “Revenge porno”.
Ciò posto, volendo tentare di circoscrivere l’interesse protetto dalla nuova disposizione incriminatrice, emerge chiaramente come il nuovo art. 612 ter c.p., al di là delle varie riserve suscitate in dottrina in merito alla sua discutibile collocazione topografica, intenda espressamente presidiare la libertà dell’individuo, tanto sul piano morale, quanto – più incisivamente – sul versante della sfera sessuale.
Ebbene, entrando più nel vivo della presente trattazione, è necessario evidenziare come la norma in disamina distingua, sul piano eminentemente strutturale, due differenti condotte, il cui punto di discrimen, fermo restando la integrale simmetricità del trattamento sanzionatorio irrogabile, va rinvenuto sulla base del modus operandi attraverso cui l’agente sia entrato in possesso del c.d. materiale “sessualmente esplicito”, poi successivamente divulgato o diffuso.
Più in dettaglio, mentre la condotta delineata al primo comma (presidiata, altresì, dalla presenza della clausola di sussidiarietà espressa “salvo che il fatto costituisca più grave reato) individua come destinatari del precetto penale coloro i quali abbiano direttamente partecipato o contribuito alla realizzazione del materiale sensibile; quella descritta al secondo capoverso, di contro, ha una portata senz’altro più ampia, contenendo un esplicito riferimento a quei soggetti (c.d. secondi diffusori) che siano entrati, a vario titolo, in possesso del materiale a sfondo sessuale soltanto a seguito dell’originario momento realizzativo.
Inoltre, il Legislatore, nel chiaro obiettivo di assicurare un livello di offensività crescente tra le delineate ipotesi delittuose, ha preferito diversamente modulare il necessario nesso psicologico di fattispecie, richiedendo: per la prima delle previsioni delittuose, il semplice dolo “generico”; e per quella di cui al secondo comma, viceversa, la presenza della più incisiva forma del dolo “specifico”, declinato nel senso del dover essere la condotta del c.d. “secondo diffusore” necessariamente contrassegnata dal “fine di recare nocumento” alla persona rappresentata in atti sessualmente espliciti.
Tale netta differenziazione, ampiamente criticata dai primi commentatori della norma, parrebbe giustificarsi, almeno prima facie, in base alla diversità strutturale del soggetto attivo contemplato dal secondo comma, il quale, coincidendo – il più delle volte – con un soggetto “terzo” del tutto estraneo alle dinamiche relazionali di “coppia”, potrebbe non essere animato, a differenza dal soggetto individuato nella prima parte della norma, dalla più pervicace, e senz’altro più offensiva, finalità vendicatrice.
Quanto al requisito, anch’esso ampiamente discusso, per cui l’oggetto materiale del reato (immagini o video) debba atteggiarsi alla stregua di “contenuto sessualmente esplicito”, va sottolineato come all’esito della lunga gestazione parlamentare si è, infine, optato per sopprimere la definizione legale originariamente contenuta all’interno della norma.[1]
Appare, dunque, evidente l’intenzione del Legislatore di affidare all’attenta esegesi della giurisprudenza di legittimità il delicato compito di individuare ciò che debba intendersi per materiale “sessualmente esplicito”.
Nondimeno, va al contempo evidenziato come tali dubbi non risultano, allo stato, ancora dissipati, essendosi le prime pronunce della Suprema Corte regolatrice, per lo più, limitate a dirimere la questione circa la natura istantanea o meno della nuova figura delittuosa (v. in tal senso, Cass. Pen. Sez. V, n. 14927 del 22.02.2023, con la quale, il Supremo Consesso ha affermato il principio secondo cui “Il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, che ha natura di reato istantaneo, si perfeziona nel momento in cui avviene il primo invio a un destinatario, indipendentemente dal rapporto esistente tra quest’ultimo e la persona ritratta”).
2. La interessante pronuncia n. 771/2023 del Tribunale Penale di Siena
I dubbi interpretativi appena lumeggiati, già sussistenti, come detto, per i Giudici di Piazza Cavour, si palesano con ancor più plastica evidenza nell’ambito della giurisprudenza locale.
A tale proposito, appare utile richiamare, attesa la assoluta rilevanza delle questioni e delle soluzioni ermeneutiche adottate, un recentissimo arresto giurisprudenziale del Tribunale Ordinario Penale di Siena.
Segnatamente, il caso citato, vedeva imputati, in concorso, due soggetti per avere il primo, dopo averlo realizzato con il proprio telefono cellulare, inviato all’altro coimputato – anch’esso partecipe attivo dell’atto sessuale presupposto – un video raffigurante la persona offesa intenta a compiere atti ritenuti sessualmente espliciti.
La seconda delle condotte oggetto della postulazione accusatoria, invece, riguardava il fatto dell’avere entrambi gli imputati, in tempi diversi, “mostrato” quelle stesse immagini a soggetti terzi non meglio identificati.
Tanto doverosamente premesso in punto di ricostruzione fattuale, la principale questione affrontata dal Tribunale senese afferiva alla possibilità di ricondurre entrambe le condotte sopra descritte entro l’alveo applicativo del nuovo art. 612 – ter c.p..
A tale spinoso quesito interpretativo, il decidente, approntando un’articolata trama argomentativa, ha fornito responso negativo, concludendo, dunque, per l’assoluzione di entrambi gli imputati dal reato agli stessi ascritto, secondo la più ampia formula “perché il fatto non sussiste“.
Segnatamente, secondo l’impostazione euristica adottata dal giudicante, in relazione alla prima delle condotte in contestazione, mancherebbe la possibilità di ritenere concretamente esistente un’attività di cessione o consegna penalmente rilevante, essendo stato il video incriminato, come già sopra anticipato, semplicemente trasferito dall’uno nei confronti dell’altro imputato.
Più in dettaglio, continua il Tribunale, la circostanza per cui le immagini siano state trasferite a soggetto anch’esso parte attiva del precedente rapporto sessuale, impedirebbe di affermare che l’oggetto materiale del reato sia realmente fuoriuscito dalla sua intima destinazione privata, requisito quest’ultimo indefettibile per dirsi il reato effettivamente consumato.
D’altra parte, neppure la seconda delle condotte incriminate, ovvero, quella consistita nell’avere entrambi gli imputati mostrato le immagini a stampo sessuale a soggetti terzi, risulterebbe correttamente sussumibile all’interno della fattispecie astratta, non potendo il mero atto del “mostrare” – condotta, peraltro, neppure letteralmente annoverata tra quelle descritte dalla disposizione incriminatrice – dirsi equiparabile, neppure in via estensiva, alle locuzioni verbali, “inviare”, “consegnare”, “cedere” ,“pubblicare” o “diffondere”.
3. Considerazioni conclusive
Ebbene, quella del Tribunale senese appare, a parere di chi scrive, una pronuncia certamente apprezzabile sul piano strettamente logico-giuridico, soprattutto in ragione della spiccata aderenza al dettato normativo.
Questa stessa aderenza, tuttavia, rende al contempo evidente come la tecnica, sempre più spesso utilizzata, del legiferare per eccesso di tipicità finisca, talvolta, inevitabilmente, per disvelare insormontabili deficit di determinatezza dell’area del penalmente rilevante.
Stando così le cose, dunque, due sono gli scenari che sembrano potersi (auspicabilmente) profilare nel prossimo futuro:
– il primo, è che il Giudice di legittimità si faccia carico di restituire vitalità alla ratio – ontologicamente condivisibile – della fattispecie in disamina, magari mutuando taluno dei consolidati indirizzi interpretativi posti a presidio di fattispecie incriminatrici – lato sensu – analoghe (si pensi, esemplificando, alle nozioni di cedere, diffondere, divulgare ecc., utilizzate in materia di pornografia minorile);
– il secondo, quello forse maggiormente preferibile, è che il Legislatore nazionale si prodighi al fine di più adeguatamente circoscrivere il perimetro applicativo della norma, sì da scongiurare il rischio – non del tutto inverosimile – per cui la stessa sia in futuro assoggettata ad un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, per violazione, quanto meno, del principio di determinatezza di cui all’art 25 co. 2 Cost.
[1] Così recitava il testo originario della norma: “ai fini di cui al presente articolo, per immagini o video privati sessualmente espliciti si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di soggetti consenzienti, coinvolti in attività sessuali, ovvero qualunque rappresentazione degli organi sessuali per scopi sessuali, realizzati, acquisiti ovvero comunque detenuti in occasione di rapporti od incontri anche occasionali”.
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Gabriele Ferro
Laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Siena, attualmente praticante avvocato, con predilezione per il settore del diritto penale sostanziale e processuale.
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