Il cane “viziato”
Il tema è delicato. Etico prima che giuridico. Ma è del secondo che vi racconto. Attraverso due recenti sentenze. Entrambe riferite a una compravendita di un cane che presenta vizi. Come un’automobile, una la lavatrice, il televisore di ultimissima generazione. Perché anche un cane a volte “non funziona”. E possiamo renderlo, anzi restituirlo all’allevatore in cambio dei nostri soldi. Pronti per digitare sulla tastiera e cambiare venditore. Incuranti di cosa accadrà a quel cane che abbiamo restituito. Il tutto nel rispetto della nostra Costituzione che ha imposto al legislatore la tutela degli animali. Se il legislatore abbia inteso non è dato ancora saperlo.
La prima sentenza a firma di un Giudice di Pace di Messina (Sentenza n. 851/2024).
Un classico, purtroppo. Tizio acquista un cane (pastore tedesco) presso un allevamento e il cane a distanza di poche ore dalla consegna manifesta alcuni disturbi che dopo un paio di giorni si manifestano con diarrea e vomito. La diagnosi è di gastroenterite batterica evoluta poi un salmonella, risalente ad un periodo antecedente la data di acquisto del cane. Meno classico ma evidentemente ancora in uso, Tizio chiede la risoluzione del contratto restituendo il cane e chiedendo a sua volta la restituzione del prezzo della vendita. Richiesta alla quale non aderisce l’allevatore. Il diritto alla risoluzione viene riconosciuto dal Giudice di Pace applicando il codice del consumo. Tizio ha infatti dimostrato che il cucciolo era già affetto da un’infezione batterica al momento della vendita, tanto che dopo soli due giorni il medico veterinario (chiamato come teste) ha diagnosticato nell’animale un’infezione batterica, che, calcolati i tempi di incubazione dei germi, non poteva che farsi risalire a un periodo antecedente alla vendita.
La seconda sentenza è la n. 31288/2024, emessa dalla Cassazione civile.
In questo caso il vizio consiste in una malformazione a carico delle vertebre e dei tessuti molli di un cane acquistato sempre presso un allevamento. Notevoli le spese veterinarie sostenute dal compagno umano del cane delle quali viene riconosciuto il ristoro dalla Corte d’Appello di Firenze oltre al risarcimento del danno sempre in favore del compagno umano delle cane.
L’allevatore-venditore ricorre in Cassazione posto che malformazioni congenite a carico delle vertebre e dei tessuti molli costituirebbero, a suo dire, vizi occulti non conoscibili se non con indagini invasive e mirate che non è uso svolgere quando il cane è destinato ad essere un animale di compagnia. Una sorta di peluche, ne si può dedurre. E poi l’allevatore insinua che chi ha acquistato quel cane sapesse delle malformazioni e quindi sostiene che avrebbe accettato il rischio dell’evoluzione clinica di quelle. Insomma non vorrà mica ciurlare nel manico sembra dire sempre l’allevatore.
Di diverso avviso la Cassazione. Il venditore è tenuto ad una particolare diligenza e deve assicurarsi delle reali condizioni patologiche in modo da porre gli acquirenti nella condizione di decidere se concludere il contratto, consapevole delle sofferenze che l’animale avrebbe dovuto sopportare, dei disagi da affrontare e delle spese per le cure. E dello spaesamento di chi ha scelto di acquistare quel cane. Anche in questo caso la normativa applicata è quella di cui al codice del consumo. Come già accaduto con Cassazione civile, sentenza n.22728 /2018 e sempre Cassazione sentenza n. 35844/22.
In entrambe le sentenze la vicenda è stata ricondotta al codice del consumo. Apparentemente stridente tale scelta ormai pacifica in giurisprudenza ricorrendone i presupposti invero trova fondamento nell’obiettivo di conferire una tutela rafforzata al compratore non professionale che trova significativo riparo rispetto alle pratiche del venditore professionale, evitandogli di rimanere sguarnito nella sua posizione più debole, conseguenza questa che discenderebbe invece dalla esclusiva applicazione della disciplina della compravendita in generale.
Una opzione non riesco a condividere. Quella per cui quando i vizi si riferiscono ad una patologia che affligge un animale, in questo caso un cane, quel legame affettivo che si è instaurato tra l’umano e il non umano opera in maniera tale da non potere consentire la scelta del rimedio della sostituzione.
Quanto all’opzione della riparazione (qui da intendersi come interventi veterinari da parte dello stesso venditore) essa va intesa tenendo conto che letteralmente interpretato tale rimedio rischierebbe di determinare una situazione pregiudizievole per l’animale contravvenendo così all’interesse del consumatore-proprietario. Non va dimenticato, anche alla luce del riformato articolo 9 della nostra carta fondante, che l’interesse, nel caso di compravendita di un pet, è anche quello intrinseco a quest’ultimo ad evitare sofferenze che potrebbero derivare dal troncamento del rapporto con il proprio “padrone” o comunque dal “ping-pong” che potrebbe instaurarsi tra consumatore- veterinario-venditore.
Non può ormai essere dimenticato che la compravendita di animali da compagnia non può consistere nell’inespressivo e materialistico scambio di una cosa qualsiasi.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Avv. Filippo Portoghese
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