Il caso Contrada e le Sezioni Unite 8544/2020 sui “fratelli minori”

Il caso Contrada e le Sezioni Unite 8544/2020 sui “fratelli minori”

Nella sentenza relativa al caso Contrada, la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a risarcire i danni patiti dal ricorrente per essere stato destinatario di una sentenza irrevocabile di condanna per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa.

Nel caso di specie, la trattazione dell’intervento punitivo promosso dalla Corte EDU nei confronti dello Stato italiano consente la disamina dell’articolo 46 CEDU, che favorisce un ulteriore strumento di contatto tra l’ordinamento nazionale e quello convenzionale.

Con la sentenza de qua, la Corte ha ritenuto che il reato imputato al ricorrente fosse stato configurato dalla Giurisprudenza solo successivamente alla commissione dei fatti da parte del Contrada, condannando così l’Italia per violazione dell’articolo 7 CEDU.

Strettamente connesso all’articolo 25.2 Cost., l’articolo 7 CEDU sancisce il principio del “nullum crimen sine lege”, assorbendo il concetto di prevedibilità prospettato, per l’appunto, dall’ordinamento giuridico europeo.

Nel caso Contrada, la lesione della norma testé richiamata viene addebitata allo Stato italiano perché, facendo fede al ruolo creativo della Giurisprudenza, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa si ritiene da essa consolidato ex post rispetto alla commissione del fatto da parte del soggetto ricorrente, il quale non avrebbe potuto prevedere un’incriminazione in tal senso.

Dunque, dalla sentenza della Corte EDU, che accerta la violazione del principio di prevedibilità, deriva l’obbligo da parte dello Stato di conformarvisi ai sensi dell’articolo 46 CEDU, che funge da punto di connessione, modalità attraverso la quale l’Unione Europea esercita ancora una volta la sua  competenza indiretta in materia penale.

Siffatto obbligo, quindi, impone la rimozione della violazione contestata all’ordinamento giuridico nazionale, che deve adottare misure generali o individuali atte al ripristino dello status quo ante.

Relativamente al ricorrente Contrada, i rimedi prospettati si sostanziavano nella revisione europea ovvero nell’incidente di esecuzione.

Nel caso di specie la Giurisprudenza non ha ritenuto necessario innovare il processo mediante lo strumento della revisione ex art. 630 c.p.p., difatti, dalla violazione del principio di prevedibilità deriva una conseguenza inevitabile: la cedevolezza, la sterilità degli effetti discendenti dal giudicato, in ossequio alla prevalenza delle norme convenzionali. Per la realizzazione del risultato prospettato, dunque, il rimedio esperibile dal Contrada è stato individuato nell’incidente di esecuzione.

Pertanto, la questione ivi esposta impone la disamina delle problematiche connesse all’estensione erga alios delle pronunce della Corte EDU, allorquando queste accertino un difetto strutturale dell’ordinamento italiano rispetto ai principi sanciti dalla CEDU.

L’estensibilità degli effetti delle sentenze pronunciate dalla Corte di Strasburgo ha infatti investito per lungo tempo la Corte di Cassazione, specie relativamente ai rimedi esperibili dai cosiddetti “fratelli minori” del ricorrente vittorioso, tanto che, a fronte dei vari contrasti giurisprudenziali susseguitisi nel tempo, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite, pronunciatesi poi nel 2020.

I profili che dalla suddetta questione rilevano sono: da un lato l’efficacia generale del dictum della CEDU, considerato il ruolo di massimizzazione della tutela da essa svolto, dall’altro l’univocità riconosciuta ad ogni singola pronuncia in virtù del tipo di violazione ad essa sottesa.

Il problema sorge innanzitutto riguardo al giudicato formatosi nell’ambito di un procedimento giudiziario nazionale posto che, in virtù dell’art. 46 CEDU l’Italia, laddove sia riscontrata la violazione di una norma convenzionale, ha l’obbligo di conformarsi alle sentenze emesse dalla Corte europea nelle controversie di cui è parte.

Una volta accertata la predetta violazione, i soggetti terzi possono, così come stabilito dalla Giurisprudenza Costituzionale e delle Sezioni Unite, ricorrere al rimedio dell’incidente di esecuzione, purché non sia necessaria la riapertura del processo.

Qualora invece l’esecuzione della sentenza convenzionale presupponga una rivalutazione del caso concreto e quindi del giudizio di colpevolezza connesso alla prevedibilità dell’illecito o della pena che ne consegue, il rimedio da adottare è quello ex art. 630 c.p.p., idoneo a valutare nello specifico la vicenda del soggetto che intenda usufruire degli stessi principi riconosciuti dalla Corte EDU al “ricorrente vittorioso”.

Tuttavia, l’articolo 46 CEDU non può fungere da presupposto normativo per giustificare un’estensione degli effetti della sentenza Contrada nei riguardi di coloro che, pur non avendo adito la Corte Europea, abbiano subìto la medesima condanna del ricorrente vittorioso.

La norma de qua pone un obbligo a carico di ciascuno degli Stati membri, consistente nel conformarsi alle sentenze pronunciate dalla Corte EDU sulle controversie di cui costituiscono una parte.

Quindi, analizzando il ragionamento ad essa sotteso, si evince che i soggetti terzi estranei ad una determinata controversia non possono subire gli effetti di una pronuncia europea quando questa, oltre a non coinvolgerli direttamente, non ha natura di “sentenza pilota”.

Mentre è necessario consentire al ricorrente vittorioso l’esperibilità degli strumenti idonei a garantire la conforme accettazione delle imposizioni europee, per i terzi che non abbiano preso parte ad una controversia dinanzi alla stessa Corte di Strasburgo, l’articolo 46 CEDU non può fungere da connettivo per l’estensione degli effetti della sentenza Contrada, proprio a causa della mancanza del presupposto richiesto dalla norma.

Analogo discorso può maturare in seno all’articolo 61 del regolamento della Corte EDU, il quale stabilisce ulteriori presupposti per consentire l’espansione degli effetti di una decisione della Corte EDU nei confronti dei terzi.

Affinché ciò avvenga, la sentenza deve accertare una violazione strutturale da parte dell’ordinamento statale, causa della proposizione di una pluralità di ricorsi di identico contenuto e, nell’indicare anche le misure riparatorie da adottare a livello generalizzato, assurgere per l’appunto a “sentenza pilota”.

Siccome la sentenza Contrada non ha portata generale, in quanto si riferisce solo alla posizione del singolo ricorrente, anche l’articolo 61 non può costituire un’idonea base normativa per stendere gli effetti della pronuncia nei confronti dei terzi.

In particolare, affinché ad una sentenza europea sia conferita portata generale, è bene che questa accerti una violazione suscettibile di ripetersi con analoghi effetti pregiudizievoli nei confronti di soggetti ulteriori rispetto al ricorrente.

La sentenza Contrada ha sicuramente generato ampi dibattiti sia in ambito dottrinale che in quello giurisprudenziale, volti a comprendere quali potessero essere le sorti dei “fratelli minori” e i rimedi da essi eventualmente esperibili; le Sezioni Unite 8544/2020, pertanto, si sono orientate nel senso di non riconoscerle portata applicativa generale, essendo il giudizio espresso dalla Corte EDU riservato esclusivamente alla posizione di Bruno Contrada, posto che l’accertamento della violazione del principio di prevedibilità riguarda solo il caso concreto.

Difatti, non dichiarando in via generale l’illegittimità convenzionale di tutte le condanne ante 1994 per concorso esterno in associazione mafiosa, non può ritenersi a priori che il dictum de quo sia estendibile erga omnes.

Quindi, secondo il ragionamento affrontato dalle Sezioni Unite, il criterio della prevedibilità non è stato inteso dalla Corte EDU in senso oggettivo, di conseguenza la violazione dell’articolo 7 CEDU può ritenersi configurata solo in ordine al caso Contrada, essendo invece necessaria una valutazione singolare per ciascun soggetto terzo che si trovi in posizione a lui analoga.

Peraltro, le SS. UU. non hanno ritenuto il concorso esterno in associazione mafiosa fattispecie di creazione giurisprudenziale che, se ammessa nel nostro ordinamento giuridico implicherebbe una violazione del principio di legalità.

Dall’analisi delle norme poc’anzi indicate (art.46 CEDU e art. 61 del Regolamento Europeo) si evince che, difettando dei presupposti dalle stesse indicati al fine di qualificare la generalità di una pronuncia della Corte EDU, i soggetti terzi non possono risolvere le proprie vicende mediante la decisione sul caso Contrada.

Ebbene, anche il problema dell’individuazione dei rimedi eventualmente esperibili dai “fratelli minori” del Contrada si risolve automaticamente, a fronte dell’ esclusiva destinazione della pronuncia europea de qua in capo al ricorrente vittorioso.

Tuttavia, una questione ancora aperta e non chiarita dalle Sezioni Unite concerne l’ipotesi in cui la sentenza della Corte di Strasburgo rispetti, a differenza di quella Contrada, tutti i presupposti per essere definita “pilota”, risultando così passibile di estensione ai soggetti terzi: resta, infatti, ancora da comprendere quale tra l’incidente di esecuzione e la revisione europea sia lo strumento di cui i “fratelli minori” possano avvalersi nella propria vicenda definita con sentenza passata in giudicato


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