Il caso della revisione del contratto di mutuo
Trattasi di un caso di revisione che si esplica nella modificazione delle condizioni del piano di ammortamento, che può riguardare qualunque tipologia di mutuo, da quello per l’edilizia, per le abitazioni, per gli immobili in genere, a quelli per le imprese e il commercio, siano essi a tasso fisso o variabile. In tale ultimo caso si tratta di quei contratti in cui è previsto un sistema di adeguamento automatico dei tassi d’interesse, che viene applicato in riferimento alle variazioni di mercato; la revisione quindi è attuata in forza di una clausola contrattuale, per cui si tratta di un’ipotesi di revisione convenzionale e non normativa.
In generale, comunque, le modificazioni sopra menzionate possono concernere la durata del contratto, la diminuzione o l’aumento dei tassi applicati e l’aumento del capitale.
È da rilevare che il prolungamento della durata della prestazione porta ad una diminuzione della rata periodica da corrispondere, pertanto la revisione influisce doppiamente, vale a dire sia sulla durata che sulla quantità della prestazione dovuta in ogni singola rata.
Riguardo le parti si può dire che esse sono portatrici di interessi differenti che necessitano di essere tutelati anche in sede di revisione e che sono presi in considerazione al fine di individuare la procedura da attuare. Da una parte, la banca ha interesse a non perdere le garanzie sul credito verso il cliente, dall’altra il cliente aspira a non perdere i benefici fiscali conseguiti allo stato attuale dal mutuo e a non assumere costi ulteriori per le operazioni necessarie. Entrambe mirano comunque a garantire l’elasticità delle operazioni in modo tale da avere la possibilità di porre in essere ampie modifiche al rapporto.
Oltre a ciò, bisogna distinguere tra mutui con debiti a breve termine, detti anche chirografari, nei quali la revisione tende a rafforzare la posizione debitrice attraverso l’introduzione di un’ulteriore garanzia per il creditore, e mutui con debiti garantiti da ipoteca, nei quali con la revisione si adegua il rapporto alle mutate circostanze di fatto, al fine di agevolare il debitore nell’adempimento.
Ciò premesso, occorre far menzione delle modalità attraverso cui la revisione può essere attuata in sede di mutuo. A tal proposito il Presti1 individua tre distinti procedimenti:
– Concessione di un nuovo finanziamento a nuove condizioni per mezzo della stipulazione di un nuovo contratto di mutuo, che prevede l’estinzione conseguente del precedente contratto e l’insussistenza di alcun legame tra i due contratti in questione. Questa tipologia, più nota come revisione in senso economico, comporta ingenti costi, relativi all’estinzione del precedente contratto e alla stipulazione di quello nuovo, nonché la perdita per il cliente degli eventuali benefici fiscali conseguiti e per la banca delle garanzie sorgenti sul precedente credito. Per tale ragione la suesposta procedura si manifesta come la soluzione più svantaggiosa per le parti.
– Novazione del contratto, che comporta la necessità della presenza di un animus novandi in capo alle parti e la sostituzione del titolo o dell’oggetto dell’obbligazione (aliquid novi). Sull’argomento, in dottrina e giurisprudenza, emergono diverse teorie: alcuni sostengono la necessaria presenza di entrambi i requisiti, altri la sufficienza di almeno uno di essi (volontà o nuovi elementi). Essa, pur se comporta la perdita degli eventuali benefici acquisiti, si caratterizza per costi meno esosi, che riguardano esclusivamente le forme di pubblicità attraverso l’istituto dell’annotazione nei pubblici registri (presupposto per l’operatività della novazione stessa), e per il trasferimento dell’eventuale garanzia preesistente sul credito della banca. Da ciò si può dedurre che tale tipologia è prevista in maniera da avvantaggiare totalmente la banca, la quale trova soddisfatti tutti i suoi interessi.
– Accordo modificativo stipulato dalle parti tenendo conto di tutti gli interessi.
Da quanto sopra esposto e alla luce dei principi che disciplinano l’istituto della revisione, a mio giudizio, si potrebbe sostenere che la tipologia più consona, in quanto meglio rispondente alle esigenze delle parti, è la terza. Ciò si può supportare argomentando sia in relazione alle differenze con l’istituto della novazione che in riferimento alla peculiarità della revisione, consistente nel non comportare l’estinzione di nessun contratto. La revisione si incentra nella sostituzione o modifica degli elementi, lasciando comunque immutato il nucleo essenziale del contratto, per cui le parti, a seguito di essa, resteranno pur sempre obbligate in forza non di un nuovo contratto, come frutto di novazione o di una nuova trattativa, ma del medesimo contratto, pur se modificato. Alla medesima conclusione è pervenuta anche la giurisprudenza, sostenendo la necessità di dover ampliare l’ambito dell’accordo tra le parti in luogo della novazione, anche al fine ultimo di evitare il rischio di eventuali novazioni non volute dalle parti.
Soprattutto in riferimento al caso del procedimento di rinegoziazione per novazione sorgono problemi di applicabilità dell’istituto e di individuazione degli elementi contrattuali sui quali può vertere. Difatti nel caso di modifica della durata del mutuo, pur se l’art. 1231 c.c. ne esclude la possibilità di novazione, questa è stata attribuita dalla giurisprudenza sulla base della riflessione che la durata è un elemento essenziale del rapporto. Parimenti non si avrebbe novazione nel caso del mutamento del tasso d’interesse, in quanto considerato un elemento accessorio del rapporto sorgente dal contratto di mutuo, anche se dottrina e giurisprudenza hanno più volte espresso l’intenzione di considerarlo come parte integrante dell’identità funzionale del rapporto medesimo.
Prima di analizzare nel dettaglio le varie fattispecie di rinegoziazione sussistenti pare opportuno, a mio avviso, fare qualche cenno alle posizioni sussistenti in giurisprudenza circa la possibilità di applicazione dell’istituto in esame al contratto di mutuo.
I tribunali di Napoli, Pescara, Roma e Torino2, infatti, a partire dal caso concreto di richiesta di modifica del contratto di mutuo con tasso d’interesse Ecu, affermano l’impossibilità di applicazione dell’art. 1467 c.c. al mutuo. Tale statuizione si basa sul presupposto che il mutamento dell’indice Ecu di riferimento rientra, per espressa pattuizione delle parti, all’interno della normale alea contrattuale, in quanto determinata in maniera precisa ed accollata espressamente in capo al mutuatario. Inoltre, si sostiene in generale che il contratto di mutuo è un contratto prevalentemente aleatorio a prestazioni unilaterali a carico di una sola parte e a carattere istantaneo, che escluderebbe a priori, per mancanza dei presupposti essenziali, l’applicazione dell’istituto della revisione o rinegoziazione. Nonostante ciò, la revisione può essere applicata se il contratto di mutuo viene interpretato quale contratto a prestazione istantanea di consegna, a cui corrisponde la prestazione differita di restituzione della relativa somma di denaro con i relativi interessi, da effettuarsi in un arco di tempo più o meno lungo. Inoltre, il contratto può definirsi a prestazioni corrispettive e di durata, se la corresponsione di interessi è considerata come corrispondente alla somma di denaro prestata nonché da restituire; per cui si può affermare che la durata è quella che intercorre tra la dazione della somma di denaro oggetto del contratto e la sua restituzione, mentre le prestazioni corrispettive sono rappresentate dalla dazione del tantundem con gli interessi (elemento importante per poter definirla come controprestazione).
Dopo quanto detto, in linea generale, è opportuno passare all’analisi delle singole fattispecie.
Un primo profilo è quello che concerne il mutuo ipotecario, ossia quella tipologia di mutuo, che prevede, quale sua peculiarità, la costituzione di un’ipoteca a garanzia dell’obbligazione di restituzione, sorgente in capo al mutuatario. Ciò che maggiormente richiede attenzione è la relazione che intercorre tra il mutuo e l’ipoteca. Nonostante si tratti di istituti funzionalmente connessi, per cui le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro (basti pensare al caso in cui il mutuo venga a termine comportando l’estinzione dell’ipoteca, ed ancora al caso in cui l’ipoteca può portare all’estinzione del credito in caso di inadempimento del mutuatario), essi sono autonomi e distinti (basti pensare ai soggetti nei cui confronti si possono far valere: il mutuo è opponibile soltanto verso il debitore-mutuatario, mentre l’ipoteca nei confronti di qualsiasi terzo, sia esso creditore o acquirente, estraneo al rapporto principale).
In particolare gli interessi del mutuo sono coperti da ipoteca solo se rientranti nel tetto massimo indicato nella nota di iscrizione dell’ipoteca, per cui la variazione del tasso non influisce su di essa. Infatti, se il tasso diminuisce, l’ipoteca resterà efficace per l’intero ammontare degli interessi, se invece il tasso aumenta, la garanzia permane fino al tetto massimo indicato in nota, mentre la differenza dell’ammontare degli interessi tra tasso iniziale e finale rimane scoperta (questo è sinonimo dell’indipendenza dei due istituti). Per ovviare a ciò, l’art. 39 del T.U.B., con riferimento al contratto di mutuo con finanziamenti a cui sono applicate clausole di indicizzazione, prevede, al fine ultimo di garantire un’adeguata garanzia del credito, la possibilità di modifica della nota di iscrizione relativamente a quanto stabilito dalle clausole stesse.
Non sussistono limiti, invece, in relazione alla modifica della durata, in quanto questa non deve essere necessariamente indicata in nota di iscrizione dell’ipoteca.
Sempre in tema di mutuo, possono citarsi numerosi dispositivi legislativi in riferimento ai quali occorre statuire, preliminarmente, che la revisione può essere vista anche come un intervento indiretto del governo, mirante alla conservazione dei rapporti, pur se riserva alla discrezionalità delle parti la determinazione delle variazioni da apportare.
La l. 539/1995 prevede, infatti, la possibilità per gli enti locali di rinegoziare il “capitale residuo dei mutui” contratti sia con istituti di credito privati che con la Cassa depositi e prestiti. Gli eventuali svantaggi o vantaggi che ne derivano dipendono essenzialmente dalla tipologia di mutuo, dalla sua durata e dalla situazione di bilancio dell’ente. Ad esempio in caso di mutui con contributi erariali, se questi vengono rinegoziati prevedendo un prolungamento della durata, venendo meno i relativi contributi alla scadenza originaria del mutuo, questo verrà a gravare per il restante periodo totalmente sull’ente; per cui quest’ultimo, salvo il caso di disavanzi in bilancio, ne risulterà svantaggiato. Inoltre, secondo Luciana Romeo, segretario capo del Comune di Goro, in provincia di Ferrara, la rinegoziazione porta ad una liberazione di risorse che risulterà vantaggiosa solo se l’ente locale la impiegherà per produrre benefici alla collettività (servizi, progetti…)3.
Ancora, l’art. 46 della l. 488/1999 statuisce al I° comma che « il Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica è autorizzato a rinegoziare, in favore di tutti i soggetti interessati, entro il 31 marzo 2000, i mutui con oneri a totale o parziale carico dello Stato le cui condizioni siano disallineate rispetto a quelle medie praticate sul mercato per operazioni analoghe alla data di entrata in vigore della presente legge».
L’art. 29 della l. 133/1999 in materia di mutui agevolati statuisce che «le persone fisiche e giuridiche destinatarie di tali contributi possono chiedere all’istituto mutuante la rinegoziazione del mutuo nel caso in cui il tasso d’interesse applicato ai contratti di finanziamento stipulati risulti superiore al tasso effettivo globale medio per le medesime operazioni […]», anche in tal caso è prevista la relativa delega al governo per l’individuazione delle modalità di attuazione.
L’ultimo caso di revisione, che occorre analizzare, è rappresentato dalla l. 110/2000 in materia di muti edilizi agevolati. Si tratta di mutui che generalmente vengono stipulati al fine di finanziare l’acquisto o la ristrutturazione di abitazioni, per i quali il legislatore ha previsto la possibilità di revisione nel caso in cui il tasso d’interesse applicato si riveli usuraio e quindi necessiti di essere riportato entro i limiti della legalità. Un tasso d’interesse è considerato usuraio se supera del 50% il tasso medio effettivo globale determinato con Decreto Ministeriale dal Ministero del Tesoro, secondo quanto disposto dalla l. 108/1996. Quest’ultima, meglio conosciuta come legge antiusura, è stata concepita per combattere il fenomeno, ormai dilagante, dell’usura, per il quale fine ha previsto delle modifiche al disposto dell’art. 644 c.p., che ne individua il relativo reato. La novità della modifica risiede nell’oggettivazione della fattispecie di reato, in cui si fa massimo riferimento al predetto tasso, senza nulla eccepire in merito alla condotta di approfittamento dello stato di bisogno. Per la sussistenza del reato è richiesto il comportamento di farsi dare o promettere somme di denaro a tassi usurai, il dolo generico di chi pone in essere tale condotta, la sproporzione da riferirsi alla misura del tasso pattuito rispetto al tasso soglia, infine la difficoltà economico finanziaria di chi è indotto a contrarre prestazioni di denaro a condizioni impraticabili. Si tratta di un reato istantaneo ad effetti permanenti, ossia di un reato che si consuma nel momento dell’accordo (datio o promissio) del tasso usuraio e i cui effetti si protraggono nel tempo necessario al mutuatario per la restituzione di quanto ricevuto a titolo di mutuo.
È da sottolineare che da quanto esposto, facendo riferimento all’ambito della revisione, la legge antiusura prevede sia quando il tasso è da definirsi usuraio che la nullità dei contratti che lo contengono. A tal proposito si può citare il Tribunale di Palermo4, il quale afferma in sentenza che l’eventuale tasso d’interesse, resosi usuraio, potrebbe essere, al fine di garantire la conservazione del rapporto contrattuale, automaticamente adeguato al tasso soglia vigente.
Il problema che maggiormente si è posto in giurisprudenza è comunque quello relativo all’efficacia della predetta legge antiusura, infatti, se alcuni sono favorevoli alla sua retroattività, altri invece propendono in senso opposto per l’irretroattività.
Ad esempio, il Tribunale di Perugia5 ha statuito che «l’art. 1815 c.c. II° comma e la l. 108/1996 vengono applicate a pattuizioni illecite di interessi che sono definibili come usurai sin dal momento della stipulazione». Da quanto riportato discende che la suddetta legge non deve essere applicata in maniera assoluta ai rapporti aventi ad oggetto mutui a tasso fisso sorti anteriormente alla sua entrata in vigore (in tal caso rimane operante la disciplina precedente), mentre se si tratta di mutui a tasso variabile l’inapplicabilità deve essere residua solo per il tasso operante nel periodo precedente l’emanazione della legge, mentre dovrà essere applicata al tasso determinato successivamente. Al contrario si avrà un operatività assoluta in relazione ai rapporti sorti successivamente alla legge medesima, pur facendo riferimento alle condizioni di contratto stabilite dalle parti, avuto riguardo che l’usura è definita attraverso il raffronto tra il tasso convenzionale indicato nel contratto e il tasso soglia definito in base alla legge.
La Corte di Cassazione6, al contrario, ritiene operante la legge anche per rapporti sorti anteriormente, ad esclusione di quelli già conclusi, in ottemperanza del principio dello ius superveniens. Nella stessa linea si muove anche la giurisprudenza ordinaria, che in una sentenza del Tribunale di Cagliari7 argomenta la tesi sopra riportata, riferendosi all’art. 11 disp. prel. c.c. in materia di ius superveniens, all’art. 3 Cost. sul principio di eguaglianza, per cui rapporti uguali nello stesso periodo di tempo di riferimento devono essere disciplinati allo stesso modo (pertanto, considerando come periodo di riferimento un arco di tempo successivo all’emanazione della legge, non si può definire non usuraio un tasso superante il tasso soglia solo perché il relativo rapporto era sorto precedentemente alla legge, ed usuraio il medesimo tasso in un rapporto sorto successivamente ad essa), all’art. 821 c.c. in forza del quale i frutti vengono percepiti giorno per giorno, che implica un adeguamento del tasso d’interesse alle eventuali modifiche.
Tali ultime posizioni inerenti la retroattività della legge sono, tuttavia, dissentite dall’A.B.I., che sostiene ciò come illegittimo, in quanto si tratta di un reato istantaneo che si costituisce con la stipulazione del mutuo e non con l’effettuazione, in un secondo momento, dei relativi pagamenti.
Dopo quanto detto riguardo all’usura del tasso d’interesse e a quanto disposto nella legge antiusura, occorre analizzare gli altri elementi previsti dalla testé menzionata l. 110/2000. Quest’ultima statuisce, infatti, che la revisione può essere richiesta una sola volta per soggetto mutuatario dai singoli privati mutuatari o dall’ente pubblico alla banca presso cui il mutuo è costituito, alla quale spetta l’accertamento dei requisiti soggettivi, che potrà avvenire tramite il controllo effettuato dall’ente o attraverso la consegna da parte del mutuatario di un autocertificazione. I requisiti richiesti sono la sussistenza di un mutuo a tasso definibile usuraio e il regolare pagamento delle rate scadute al momento dell’inoltro della richiesta di revisione.
Essa consiste nella rideterminazione del piano di ammortamento alla luce del nuovo tasso d’interesse, compatibile con il tasso soglia determinato dal Ministero del Tesoro, il quale verrà applicato a partire dal rateo di interessi maturati successivamente all’accettazione della richiesta di revisione. Nel caso in cui si tratti di mutui ad estinzione anticipata, la rinegoziazione coincide con l’estinzione del contratto stesso.
Ultimo riferimento è da farsi ai costi dell’operazione in esame, previsti nel pagamento di una commissione non superiore allo 0,50% del capitale residuo sussistente al momento della richiesta. Qualora, inoltre, il beneficio tratto dal soggetto privato, per mezzo della revisione, sia inferiore alle spese da cui è stato onerato per la sua applicazione, queste verranno pagate dall’ente erogante il mutuo.
1G. Presti, La rinegoziazione dei mutui ipotecari. Qualificazione e disciplina,
in Rivista di diritto privato, 1999
2 Tribunale di Napoli, sentenza 1 marzo 1997; Tribunale di Pescara, sentenza 24 gennaio 1997; Tribunale di Roma, sentenza 20 gennaio 1997; tribunale di Torino, sentenza 15 ottobre 1996, in Foro It. 1998 , 611
3L. Romeo, La rinegoziazione dei mutui, in Nuova Rassegna, 1996.
4 Tribunale di Palermo, sentenza 7 marzo 2000, con nota di E. Nicosia, Rilevanza penale della percezione di interessi divenuti usurai in base alla sopravvenuta l. 108/96, , in Foro italiano, 2001.
5Tribunale di Perugia, sentenza 9 dicembre 1998, con nota di A. Sassi, in Rassegna giuridica umbra, 1999
6 Cass., sentenza 11 gennaio1992, con nota di A. Di Majo, Eccessiva onerosità sopravvenuta e «reductio ad equitatem», in Corriere Giuridico , 1992.