Il caso di Mantova: il divieto di postare foto dei minori sui social network
La tutela della privacy dei minori in internet è un argomento complesso. Nonostante la presenza di una folta legislazione internazionale ed europea, già a partire dalla Convenzione di New York del 1989 in materia di tutela dell’infanzia, la cultura giuridica ha continuato e continua a mostrare ancora delle perplessità nel riconoscimento pieno della tutela dei diritti dei minori.
Spesso, le soluzioni prese con occhio miope dell’adulto dimenticano che l’infanzia rimane il tema centrale, i bisogni individuali del fanciullo ed, in una prospettiva dinamica, dell’adulto di domani. Si tratta di decisioni, quindi, che non sono mai fine a sé stesse.
L’attenzione per i diritti dell’infanzia richiede nell’operatore del diritto una formazione specifica ed un atteggiamento più sensibile, prudente e saggio. Solo con un siffatto sforzo si può rendere la giustizia minorile veramente equa, attenta alle esigenze dei più piccoli ed adottare decisioni miti[1].
Si può dire esempio di una buona prassi la recente decisione di un giudice del Tribunale di Mantova nell’ambito di un procedimento di revisione delle condizioni di affidamento di cui al recente art. 337-quinquies c.c. – inserito dall’art. 55 della riforma della filiazione ex D.lsg. 154/2013 – che ha ribadito quanto sia pregiudizievole ed inutile l’inserimento delle foto dei minori sui social networks da parte dei genitori stessi.
In sede di accordi di affidamento dei figli minori nel giudizio di separazione dei coniugi, veniva vietato alla madre affidataria dei figli in regime di affido condiviso, di pubblicare le foto on-line dei figli su un social network come da richiesta ferma del padre dei minori che s’era sempre detto contrario, durante il giudizio per l’affido condiviso, alle abitudini della donna, accusandola di essere diseducativa per i figli.
La donna tuttavia non rispettava i termini di detto accordo omologato dal Giudice continuando a pubblicare foto dei figli on-line.
Quindi, scaturiva il ricorso del padre dei minori nell’ambito della richiesta di revisione delle disposizioni sull’affido, ai sensi dell’art. 337-quinquies c.c. rubricato “revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento”. La decisione accoglieva la richiesta inibitoria proposta contro la donna di attenersi alle condizioni dell’accordo, che le vietava di pubblicare le foto dei minori, nonché l’immediata rimozione delle immagini dei minori già pubblicate e disponeva il monitoraggio delle condizioni di vita della madre e dei figli.
La donna ha, infatti, violato oltre all’accordo suddetto, concernente l’affido, anche l’art. 10 c.c. che tutela l’immagine dei minori; gli artt. 4,7, 8 11 d.lgs. n. 196/03 in materia di tutela dei dati personali. Il decreto ha affermato in buona sostanza che costituisce pregiudizio per minori, il pubblicare foto che li ritraggono on line.
È sulla base dei disposti normativi elencati che il Giudice ha riconosciuto il “grave potenziale pregiudizio” alla sfera dei minori, posto in essere dalla condotta della madre nel “postare” le loro foto su un social network, nel rischio tangibile, come i fatti di cronaca odierni dimostrano, che con quelle foto i minori possano divenire facile preda di sedicenti malintenzionati e finire nel circuito della pedopornografia in rete, o addirittura vittime di cyberbullismo.
Analizzando le motivazioni del Giudice del citato Tribunale è bene riflettere su quello che per alcuni può sembrare banalmente un “gioco”. «L’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi – sottolinea il giudice nella sua decisione – in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che “taggano” le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia».
Il giudice di merito ha anche richiamato a corredo della decisione gli artt. 1 e 16 della Convenzione Onu dei diritti dell’Infanzia del 20 novembre 1989 recepita dall’Italia con la legge del 27 maggio 1991 e che rappresenta la Carta fondamentale moderna dei diritti del “fanciullo”, tale fino al compimento della maggiore età, fissata a diciotto anni (art. 1 conv.), nonché l’art.16 che stabilisce che “nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti“.
Il giudice cita anche il regolamento europeo di tutela dei dati personali n. 679/2016, che entrerà in vigore nel 2018, secondo cui «la immagine fotografica dei figli costituisce dato personale» e «la sua diffusione integra una interferenza nella vita privata». Dunque, «considerato che il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network» l’ordine di inibitoria e di rimozione «va impartito immediatamente», ha stabilito il giudice decidendo in via provvisoria. E, «ritenuta la necessità» di acquisire «dettagliate informazioni sulla capacità genitoriale delle parti», ha anche disposto che il Servizio Tutela Minori riferisca «ogni informazione utile in ordine alla capacità genitoriale dei predetti genitori».
Tale testo normativo adeguerà di conseguenza la disciplina interna in materia di trattamento dei dati personali e sensibili anche con riferimento alla necessità di una regolamentazione nell’era di internet e delle nuove tecnologie dell’informazione, per tentare di rispondere alle mutate esigenze di protezione dei dati personali immessi nella rete, anche dei minori. Questione attualissima in tutti gli ordinamenti democratici.
Piccola curiosità a margine della sentenza sugli scatti social: a riprova dei «comportamenti diseducativi» della donna, citava il padre dei due bimbi il loro coinvolgimento nella pratica del Reiki (disciplina spirituale orientale, ndr) seguita dalla madre. Coinvolgimento non adeguatamente provato secondo il giudice, che, però, attraverso il Servizio Tutela Minori, dispone di verificare «se l’adesione della madre alla disciplina del Reiki abbia influenza pregiudizievole sui figli».
L’auspicio di chi scrive è, allora, che più spesso si possano leggere provvedimenti del genere, più attenti alla soluzione, al cuore della questione giuridica piuttosto che soltanto agli interessi parziali della “res litigiosa” delle parti, a maggior ragione nei procedimenti riguardanti sia direttamente sia indirettamente i minori quali soggetti di diritti e, quindi, destinatari di tutte le tutele loro riconosciute come individui e “futuri” adulti di domani.
[1] Zagrebelsky G., Il diritto mite, Einaudi Torino, 1992; Resta E., L’infanzia ferita, Laterza Roma- Bari, 1998
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