La lunga storia del castello “mediceo” di Ottaviano

La lunga storia del castello “mediceo” di Ottaviano

a cura di Andrea Romano

Vigile sentinella della vasta e fertile pianura nolana, sorto su un insediamento romano poco prima dell’anno Mille come un castrum longobardo a difesa principalmente della via commerciale del grano, il castello mediceo di Ottaviano è stato per diversi secoli teatro non secondario del costume e della storia nazionale.

I Tocco, papa Gregorio VII, i d’Aquino, Carlo d’Angiò, Guerrello Origlia, gli Orsini, i Cola, Fabrizio Maramaldo, i Gonzaga di Molfetta, i Medici: sono stati questi alcuni interpreti di una vicenda ricca di luci e di ombre, di gloria e decadenza, in un alternarsi storico mutevole ed avvincente che ha accompagnato lo sviluppo sociale, politico e culturale della Campania, sebbene nel più vasto affresco della storia italiana.

Di origine longobarda, i Tocco si stabilirono in Italia intorno a quell’anno Mille, da tempo decantato e mitizzato come l’anno del risveglio e della rinascita, dando così origine a quella “Longobardia minor” che si dimostrò più longeva e tenace di quella “maior” situata a settentrione.

Godettero i Tocco titoli nobiliari a Napoli, a Venezia, Benevento, Capua, Tropea, Chieti e Nicotera e ricoprirono cariche pubbliche di primissimo piano in Campania, tanto da essere aggregati al Patriziato di Napoli nei Seggi di Capuana e Nilo.

Ad Ottaviano, secondo la narrazione del monaco Erchemperto, riprendendo il preesistente insediamento romano, tentarono con successo di trasformare l’antica struttura difensiva in un centro amministrativo e giuridico, capace di assicurare una valida protezione contro gli attacchi esterni, ma in grado anche di rendere governabile, attraverso una struttura gerarchizzata, il crescente addensarsi della popolazione.

La presenza longobarda in Ottaviano, sebbene in maniera non continuativa, ebbe uno sviluppo stabile e duraturo almeno fino al primo ventennio del quindicesimo secolo.

Posto a 282 metri sul livello del mare nella parte più alta dell’abitato in direzione sud, l’opera fortificata accolse e protesse il papa Clemente VII, quando si affrettava a raggiungere l’esilio di Salerno.

In una piccola cappella dell’attuale castello il papa celebrò una messa e nel castello dimorò anche per un certo tempo. Correva l’anno 1085.

Verso la fine del 1200, la struttura passò dai Tocco ai d’Aquino, famiglia di antichissima origine longobarda.

Tommaso, conte di Acerra e nonno del celeberrimo Santo, nominato da re Federico II di Svevia capitano e giustiziere delle Terre di Lavoro, non soggiornò molto ad Ottaviano, dove non aveva grandi interessi, ma rese più funzionale la fortezza, ampliando e fortificando le mura.

Signore di Sarno, Marigliano ed Ottaviano, Tommaso d’Aquino sposò nel 1247 Margherita, figlia di Federico II di Svevia e fece costruire a Cancello un imponente castello, che regalò alla moglie e che spesso vide soggiornare tra le sue mura lo stesso imperatore.

Presumibilmente, il suo operato in Ottaviano fu limitato unicamente ad una maggiore funzionalità della fortezza, essendo egli stato posto al comando di molte terre ed avendo lo stesso interesse ad ampliare su più vasta scala il prestigio e la risonanza della sua famiglia e del suo casato.

Circa cinquanta anni dopo, nel 1304, il borgo e la fortezza furono messi a ferro e a fuoco da Carlo di Lagonessa, per ordine di Carlo d’Angiò, che volle vendicare l’uccisione di un regio funzionario e della sua scorta.

La fortezza ebbe da quel momento un notevole declino ed Ottaviano cadde sotto il dominio degli angioini, che crearono nelle realtà urbane del Mezzogiorno una crescente e voluta conflittualità tra popolo e nobiltà, al fine di dare solo al re una funzione equilibratrice.

Nel 1336 divenne re di Napoli Ladislao d’Angiò-Durazzo, detto il “Magnanimo”.

Costui, volendo compensare Gurrello Origlia che l’aveva aiutato a sconfiggere Luigi II d’Angiò, donò a lui le terre di quello e, come dice il De Lellis, <<parte ne vendè per vilissimo prezzo>>.

Fu così che Ottaviano tornò ad essere possedimento di un’altra, antica famiglia di chiara origine longobarda.

Gurrello, conte di Acerra e Gran Protonotario del Regno, <<vecchio e carico d’anni passò di questa vita nel 1412>>.

<<Quando pensava>>, scrive ancora il De Lellis, <<haver lasciato la sua casa stabilita con tanta grandezza, la lasciò vicina al precipizio, perché essendo nel 1414 morto re Ladislao, e succedendo Giovanna sua sorella nel regno, aborrendo i figliuoli di esso Gurrello la disonesta vita di quella, per l’amore che portavano al morto re, per opera di Sergianni Caracciolo furono loro da colei colti gli Stati che con tanta fatica erani stati de Gurrello acquistati>>.

A Gurrello, ad ogni modo, si deve il riuscito tentativo di trasformare l’antica fortezza in un palazzo signorile.

Dopo aver strappato tutti i possedimenti ai figli di Gurrello, la viziosa Giovanna regalò il palazzo a Giovanni Antonio Orsini del Balzo, principe di Taranto e senza dubbio alcuno il più potente feudatario del Quattrocento.

Il castello di Ottaviano sarà da questo momento possedimento degli Orsini e dei Cola, in un’altalena di ruoli e di situazioni che ben testimoniano il mutevole clima politico italiano tra Quattrocento e Cinquecento, dove accordi e tradimenti si alternavano con stupefacente disinvoltura.

Nel 1537 l’imperatore Carlo V nominò ciambellano Fabrizio Maramaldo, controversa figura di condottiero, a torto accusato di viltà da una storiografia partigiana.

Costui, senza famiglia né figli, trascorse gli ultimi anni della sua vita dissipando i suoi beni e nel 1551, gravato dal fisco, fu costretto a vendere il castello di Ottaviano a Cesare I Gonzaga.

Dal 1551 al 1567 il castello fu possedimento dei Gonzaga di Molfetta, di Cesare I e di suo figlio Ferrante.

Il castello versava in uno stato di abbandono quando fu acquistato nel 1567 da Bernadetto dei Medici per la somma di 5.000 ducati.

Bernadetto vedeva nella “terra felix” un posto sicuro contro il dilagare degli eccessi controriformisti e diede all’intera struttura del castello un aspetto rinascimentale, sia con il ripristino degli ordini architettonici classici, sia grazie ad una rinnovata geometria dell’intero apparato, reso armonico e proporzionato.

Legato ad un ramo della dinastia granducale fiorentina dei Medici, Bernadetto acquistò il castello attratto anche dagli immensi vigneti del fondo di Ottaviano, che allora era esteso anche a San Giuseppe vesuviano e a Terzigno.

La costante ricerca di una metrica spaziale fondata su principi matematici semplici ed essenziali, portò i successori di Bernadetto a dare al castello, pur nella variatio del gusto personale, una essenzialità intelligente e produttiva, dove estetica e praticità trovarono una perfetta simbiosi nella nascita di quello che stava sempre più diventando un armonioso palazzo signorile.

Durante l’illuminismo, Giuseppe III dei Medici diede a Luca Vecchione il compito di ristrutturare il palazzo e di trasformare la sua dimora in una villa di delizie, secondo il modello estetico del tempo già consolidato lungo la strada del miglio d’oro nel vesuviano interno.

Luca Vecchione era legato da lunga e sincera amicizia ad Angelo Mozzillo, versatile e geniale artista di Afragola, un tempo già allievo del Bonito, artista stimatissimo da Giuseppe III.

Il Mozzillo, caldeggiato dal pittore di Castellammare di Stabia, dal Vecchione e dalla stessa moglie del principe, ricevette dallo stesso l’incarico di affrescare l’interno della nascente villa e di dare all’intero apparato architettonico una decorazione in grado di rispecchiare pienamente il gusto del secolo.

Angelo Mozzillo, insigne sia nella pittura che nell’arte decorativa, lasciò nella villa di delizie voluta dal principe mediceo il segno più emblematico della sua versatilità, riuscendo a fondere con rara potenza il linguaggio del tardo barocco napoletano con quello nascente gusto pompeiano, rivisitato all’ombra di una linea pittorica neoclassica, senza mai eccedere nelle tonalità cromatiche ed uniformando il colore alla luce e agli spazi architettonici.

Tutte le stanze del primo piano furono dipinte in stile pompeiano di terzo tipo, dove l’uso del monocromo, paragonabile ad un moderno tendaggio, contrasta volutamente con le più chiare tonalità delle “pinakes” centrali, creando effetti ornamentali plastici ed indelebili nel gioco mutevole dell’alternanza figurativa.

Ai piedi delle edicole e tra i sottili fregi le figure non furono ritratte in pose statuarie, ma con fresche e plastiche movenze, in piena consonanza con la leggerezza simmetrica delle linee architettoniche.

Bisogna rilevare, inoltre, che il Mozzillo adornò le stanze e le sale con diversità di soggetti, dando luminosità cromatiche alle scene di volta in volta rappresentate.

Su alcune pareti dipinse basi appoggiate su balaustre di marmo e paesaggi; sui soffitti, invece, rappresentò scene campestri e fluviali, nelle quali erano inseriti contadini, musici e danzatori, capaci di conferire agli ambienti bucolici rappresentati una tonalità stilistica a metà strada tra sogno e palpitante realismo.

Gli angoli alti, infine, furono dipinti dal pittore afragolese con immagini di animali e maschere del teatro greco antico, mentre tutti gli spazi furono adornati con stucchi ed archi, a testimonianza dell’eclettica versatilità del Mozzillo.

L’artista afragolese dipinse e decorò anche il secondo piano, ma il castello, acquistato da Raffaele Cutolo nel 1980 per 270 milioni di lire, subì in quel buio periodo espoliazioni e sfregi artistici di rilievo proprio al secondo piano: estremamente costoso, e forse non più salvabile, appare quanto rimasto.

I Medici rimasero padroni del castello fino al 1894, anno della morte dell’ultimo discendente di questa famiglia, Giuseppe.

Maria dei Medici, figlia di Giuseppe, sposò il duca di Miranda e da quel momento si ebbe una discendenza di eredi per ramo femminile: di cognome in cognome il castello divenne possesso dei Lancellotti di Lauro, che un poco alla volta spoliarono il castello dei suoi più preziosi arredi.

Nel 1980, come già detto, il castello fu venduto a Raffaele Cutolo.

Nel 1981 il castello, in virtù della legge Rognoni-La Torre, fu confiscato.

L’8 settembre 1985 fu affidato al Comune di Ottaviano.

Nel 1892 soggiornò nel castello, ma riferiamo soltanto a puro titolo di cronaca, quel Gabriele d’Annunzio, famoso più per le sue “pose” che per la sua sin troppo copiosa poesia, frutto di tecnica più che d’ispirazione; sembra che abbia profittato dell’ospitalità per dare libero sfogo ad un lusus erotico con una delle tante sue presunte amanti.

Tra le illustri presenze che hanno sostato nel castello di Ottaviano, poi, non va taciuta quella del Bellini, geniale musicista a tutti noto, che trovò ospitalità presso gli ultimi rampolli dei Medici di Ottaviano.


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Andrea Romano

Laureato in Lettere classiche, fondatore del disciolto gruppo archeologico di Afragola, Andrea Romano è autore di numerose pubblicazioni a carattere storico, artistico e letterario. Le sue competenze in campo archeologico l’hanno portato a scoprire numerose necropoli e ad individuare l’ubicazione dell’acquedotto augusteo in Afragola, suo paese d’origine. Prossimo alla pensione, attualmente è docente di religione presso la Scuola Secondaria di primo grado “Angelo Mozzillo”, pittore del quale ha scritto l’unica biografia esistente, dopo aver raccolto e analizzato quasi tutte le tele dell’artista afragolese, prima quasi del tutto ignorato. Ricercatore instancabile, ha portato alla luce un manoscritto inedito di Johannes Jørgensen, di prossima pubblicazione.

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