Il clima nei suoi rapporti con la criminalità
La scuola criminologica classica ha sempre sostenuto una correlazione statistica tra il clima e la criminalità, ovvero tra le variazione climatiche e le varie tipologie di reati.
Il primo studio analitico, possiamo dire il primo studio in senso moderno per i metodi utilizzati, è quello condotto da Enrico Ferri nel 1882 dal titolo La criminalità in rapporto alle variazioni termometriche annuali, pubblicato in Germania ma poi riprodotto negli Studi sulla criminalità. Il grande criminalista conduceva un ampio studio basato sulle statistiche criminali della Francia e dimostrava che le variazioni climatiche incidevano sul crimine e anche sulla tipologia degli stessi. Egli sosteneva che i crimini contro le persone dipendevano dalla temperature più elevate, mentre i crimini contro la proprietà registravano un costante incremento nei periodi invernali, dunque quando le temperature si abbassavano.
Secondo Ferri la ragione di questa incidenza era dovuta sia a fattori fisiologici sia a fattori indiretti. Il caldo, ad esempio, avrebbe un’influenza diretta sui delitti dovuta all’azione fisiologica della stagione calda che <<rendendo più facile il riscaldamento del corpo, aumenta la forza altrimenti disponibile; la quale perciò, unita alla maggiore eccitabilità delle passioni, più facilmente può degenerare>> nell’attività delittuosa contro le persone. Invece il freddo agirebbe solo indirettamente incidendo sull’andamento dell’economia e rendendo conseguentemente più difficile procurarsi il sostentamento. Da qui la crescita dei delitti contro la proprietà nei periodi con temperature basse. Per esempio, dal 1855 al 1870 si registrarono inverni miti e diminuzione significativa dei furti, mentre nelle ondate di caldo del 1825 – 1826 si verificò un altrettanto significativo aumento di omicidi.
Dunque, le conclusioni erano queste: influenza diretta e fisiologica del caldo e indiretta del freddo.
Lo studio condotto dal Ferri suscitò le ire degli atri esponenti della scuola sociologica criminale, in primis Napoleone Colajanni che definì quasi ridicola l’incidenza del clima sui reati. Ne nacque un’accesa diatriba alla quale Ferri dovette replicare con un altro articolo, Temperatura e criminalità, in cui difese il suo studio.
Le affermazioni di Enrico Ferri, quasi fantascientifiche a quell’epoca, hanno trovato riscontro in studi più recenti.
In uno studio mondiale pubblicato nel 2013 sulla prestigiosa rivista Science, studiosi americani hanno rilevato una correlazione tra i mutamenti climatici, anche lievi, e l’aumento di aggressioni, stupri, omicidi e persino rivolte e disordini sociali.
Lo studio poneva come esempio l’aumento delle violenze domestiche in India nei periodi di siccità e la crescita dei reati violenti negli Stati Uniti durante la grande ondata di caldo. Gli studiosi evidenziavano inoltre sia l’incidenza del clima sulle condizioni economiche, in particolare nelle zone agricole, con aumenti di reati contro la proprietà e disordini sociali, sia l’incidenza di fattori fisiologici come l’incidenza del caldo sull’aumento di aggressività delle persone.
Altro studio più recente, pubblicato sul Journal of Urban Health, condotto da ricercatori dell’università di Drexel e avente ad oggetto il rapporto tra il clima e i reati relativamente alle aree di Philadelphia (A time Series Analysis of Associations between Daily Temperature and Crime Events in Philadelphia, Pennsylvania) ha dimostrato che nel periodo compreso tra il 2006 e il 2015 si sono registrati aumenti di reati con temperature maggiormente alte.
La spiegazione di questo fenomeno, secondo gli studiosi, sarebbe dovuta al fatto che le temperature più confortevoli spingono le persone a uscire di casa e questo aumenterebbe le occasioni di commettere reati.
Dunque l’incidenza del fattore climatico troverebbe la sua giustificazione nella logica sociale.
Un diverso studio, condotto dall’università del Colorado nel 2018 su scala regionale e pubblicato su GeoHealth (The influence of interannual climate variability on regional violent crime in the United States) ha evidenziato che il crimine violento è più frequente negli inverni miti e dunque con temperature più alte. Anche in questo caso la ragione, si ipotizza, è dovuta alla maggiore possibilità di stare all’aperto e questo genererebbe più occasioni per commettere reati.
Da questo materiale e da altro oggi facilmente reperibile possiamo concludere che, da oltre un secolo di statistiche, emerge indubbiamente una correlazione tra crimine e variazioni climatiche. Tuttavia non conosciamo la natura di questa correlazione se non facendo ipotesi e supposizioni. Ignoriamo anche quale sia il reale grado di incidenza del clima sul crimine e quale ruolo giochi il fattore climatico rispetto agli altri fattori criminogeni già noti (biologici e sociali).
Dunque esiste una connessione segnalata dalle statistiche ma che rimane ancora oscura e si sottrae a ogni spiegazione scientifica.
Nonostante la difficoltà di pervenire a conclusioni chiare e considerata ormai l’importanza generale del clima per le nostre vite, vale la pena di continuare a studiare le relazioni tra clima e criminalità anche come parte dell’area più vasta che studia l’incidenza del clima sull’agire umano.
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Avv. Gaetano Esposito
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