Il Codice del consumo e i diritti dei consumatori

Il Codice del consumo e i diritti dei consumatori

Il Codice del consumo rappresenta il frutto di un’intensa attività di normazione effettuata dal legislatore comunitario con lo specifico obiettivo di offrire e garantire un ampio livello di tutela ai consumatori.

Sin da subito, infatti, il legislatore ha compreso che per perseguire uno degli obiettivi principali dell’Unione Europea, ovvero la creazione di un mercato unico, il più possibile efficiente, fosse necessario predisporre degli strumenti idonei ad eliminare le asimmetrie informative (e negoziali in genere) esistenti tra il professionista ed il consumatore. Garantire la realizzazione del mercato significa, infatti, garantire ai soggetti che operano al suo interno parità di trattamento e la possibilità di agire liberamente per la realizzazione dei propri interessi.

Tuttavia, tutte le volte in cui entrano in relazione due soggetti, uno forte e l’altro debole, quello forte cercherà sempre di realizzare al meglio e far prevalere i propri interessi, a discapito del soggetto debole.

Proprio per evitare ciò, e garantire ampia tutela al consumatore, il legislatore comunitario, sin dagli anni ’80, ha provveduto ad emanare una serie di direttive, tutte recepite dal nostro ordinamento.

Originariamente la disciplina di tali contratti era stata collocata all’interno del codice civile agli artt. 1469 bis e ss., in recepimento delle direttive 93/13/CE e 99/44/CE. Successivamente tali norme sono state espunte dal codice civile e collocate all’interno del codice del consumo, attuato con il d.lgs. 206/2005. Il tentativo fatto è stato quello di creare una disciplina organica di tale modello contrattuale al fine di garantire una serie di diritti fondamentali ai consumatori tra i quali il diritto alla salute, alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi, ad una adeguata informazione, nonché all’esercizio di pratiche commerciali nel rispetto dei principi di buona fede, lealtà e correttezza, ecc.

A seguito della emanazione di tale decreto gli interventi del legislatore comunitario non sono mancati ed il loro conseguente recepimento nel nostro Paese ha condotto ad un costante aggiornamento del Codice del consumo. Basti pensare alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, recepita con il d.lgs. 146/2007 che ha introdotto all’interno del codice l’art. 20 al fine di evitare che il comportamento del consumatore possa essere falsato o condizionato dalla diffusione di informazioni errate da parte del professionista.

Più di recente, con il d.lgs. 21/2014, si è data attuazione alla direttiva 2011/83/CE, la quale ha introdotto una serie di importanti novità. Preliminarmente ha attuato il cd. principio di armonizzazione totale, in base al quale è fatto divieto agli Stati membri di introdurre misure interne di minor protezione dei consumatori. Ha, inoltre, introdotto importanti novità con riferimento ai contratti a distanza ed ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali circa gli obblighi di informazione che devono essere garantiti ai consumatori.

A seguito di tale intervento, l’informazione ha assunto una rilevanza autonoma. Oggi è possibile configurare un vero e proprio diritto all’informazione in capo al consumatore, con conseguenti obblighi a carico del professionista. Ai sensi dell’art. 49 cod. cons., quest’ultimo dovrà ampiamente rendere note al consumatore qualità e caratteristiche dei prodotti, relativi prezzi, nonché le informazioni di contatto relative, così da consentire al consumatore di poterlo rintracciare ove necessario.

Al comma 5 stabilisce, inoltre, che tali informazioni costituiscono parte integrante del contratto. Pertanto, si tratta una informativa avente natura precontrattuale.

Tra le informazioni che devono essere fornite al consumatore, particolare rilievo assume quella relativa all’esercizio del diritto di recesso. Nell’ipotesi in cui le informazioni fornite al consumatore, infatti, dovessero essere inesatte o incomplete ai sensi degli artt. 52 e ss. cod. cons., a quest’ultimo viene data la possibilità di recedere dal contratto nel termine di quattordici giorni. Ove dovesse mancare l’informativa circa la possibilità di esercitare tale diritto, il relativo termine viene esteso a dodici mesi.

Il diritto di recesso, pertanto, rileva sotto un duplice profilo: rappresenta il contenuto dell’informazione e, allo stesso tempo, costituisce rimedio per il consumatore per sciogliersi da un contratto che non avrebbe concluso laddove le informazioni fornitegli fossero state adeguate. Nell’ipotesi in cui tale diritto dovesse essere azionato dal consumatore, sul professionista graveranno una serie di obblighi, tra cui il rimborso dei pagamenti ricevuti entro quattordici giorni, utilizzando lo stesso metodo di pagamento usato dal consumatore. Quest’ultimo, a sua volta, dovrà restituire al professionista i beni senza ritardo.

Anche la “forma” dell’informazione assume il rango di elemento necessario ai fini della valida formazione dell’intento negoziale. Con riferimento ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali, ad esempio, l’art. 50 cod. cons. prevede che il professionista debba fornire le informazioni necessarie su un supporto cartaceo o su altro mezzo durevole. Quanto ai contratti a distanza, invece, l’art. 51 cod. cons. prevede che le informazioni debbano essere fornite “in modo appropriato al mezzo di comunicazione a distanza impiegato”, con conseguente pluralità delle modalità utilizzate. Così se il contratto a distanza dovesse essere concluso con mezzi elettronici, il professionista dovrà fornire al consumatore le informazioni di cui all’art. 49 cod. cons. prima che venga inoltrato l’ordine. Dovrà inoltre garantire che il consumatore riconosca che l’inoltro dell’ordine implichi l’obbligo di pagare. Quest’ultimo sarà vincolato solo dopo aver azionato il pulsante che riporti in maniera esplicita le parole “ordine con obbligo di pagare”. Laddove il contratto a distanza venga, invece, concluso per telefono, il consumatore sarà vincolato solo dopo aver firmato l’offerta o dopo averla accettata per iscritto.

Ulteriore requisito attiene al linguaggio utilizzato dal professionista per fornire le informazioni al consumatore, che deve essere “chiaro e comprensibile”. La giurisprudenza ha fatto spesso leva su tale elemento, associando direttamente il difetto di trasparenza al profilo della vessatorietà, in quanto non si consentirebbe al consumatore di effettuare delle scelte sicure.

Dall’analisi delle novità introdotte emerge come l’impegno del legislatore comunitario sia stato costante nel corso degli anni al fine di garantire tutela a questo soggetto “debole” anche alla luce del progresso tecnologico, consapevole del fatto che tutelare il consumatore equivale a tutelare e garantire il funzionamento di un mercato il più possibile efficiente.


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Valentina La Spada

Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Messina nell' A. A. 2014/2015 con tesi di Laurea su "Falsa identità digitale e delitto di sostituzione di persona". Nel 2018 si è diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le professioni Legali dell'Università degli Studi di Messina con votazione 70/70 e Lode discutendo una tesi avente ad oggetto la "Mancata consegna di bene venduto online: tra truffa e insolvenza fraudolenta". Nell'ottobre dello stesso anno, ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense.

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