Il commercio elettronico secondo la direttiva 2000/31/CE
La regolamentazione del commercio telematico è stata a lungo oggetto di interventi normativi di carattere internazionale in quanto abbraccia argomenti quantomai vasti ed eterogenei. L’obiettivo è quello di creare un’unica regolamentazione valida universalmente su tutto il globo, in particolare per quanto concerne l’e-commerce e le firme telematiche.
I portavoce di questo fenomeno sono soprattutto le Nazioni Unite sul diritto del commercio internazionale – UNCITRAL -, la Camera di commercio internazionale – ICC – e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Esse si ripropongono, in particolare, di adattare lo sviluppo tecnologico alla normativa di settore e allo stesso tempo uniformare quest’ultima a livello globale.
Tra le maggiori fonti regolatrici della materia si possono annoverare:
– La legge-modello UNCITRAL del 12 giugno 1996 emanata con l’obiettivo di rendere più agevole eseguire gli scambi commerciali attraverso l’accertamento della firma digitale. Con tale provvedimento legislativo si voleva armonizzare le norme internazionali concernenti l’e-commerce integrando i singoli accordi internazionali e gli ulteriori strumenti messi a disposizione dalla materia generale del diritto commerciale.
La normativa in questione si occupa di tematiche che includono l’utilizzo dei mezzi di comunicazione elettronica contemporanei e l’archiviazione delle informazioni, nonché la formazione e la validità dei contratti elettronici.
Il modello offerto dall’UNCITRAL era quello della proposta e dell’accettazione tramite scambio di “data message” che non ne precludono comunque la validità e l’efficacia.
– La Convenzione ONU sull’uso della comunicazione telematica per la sottoscrizione dei contratti internazionali approvata dall’Assemblea del 23 novembre 2005, anche questa finalizzata ad armonizzare la regolamentazione dei contratti telematici e rimuovere all’incertezza giuridica sul tema. Con l’intervento normativo de quibus si è confermare l’efficacia della sottoscrizione del negozio giuridico tramite comunicazione telematica, ovvero attraverso l’uso di strumenti digitali e la presenza di clausole a supporto della validità del contratto stesso.
– “Il rapporto sulla promozione di fiducia elettronica[1]” approvato nel 2009 dall’UNCITRAL che aveva l’obiettivo di valutare ed eventualmente migliorare i sistemi di firma digitale e di autenticazione nella sottoscrizione del negozio.
In relazione alla Camera di commercio internazionale, costituita del 1919, l’istituto si proponeva di dare impulso al commercio e agli investimenti su beni e servizi rendendo più agevole l’autoregolamentazione dell’e-business per le realtà imprenditoriali.
La ICC emanò delle linee guida, chiamate “eTerms” che stabilì in modo sintetico i concetti chiave dei contratti telematici, tra i quali il c.d. “accordo e-commerce” e l’invio della proposta telematica. Con queste nozioni chiave si puntava eliminare qualsivoglia interferenza nella sottoscrizione dei contratti o delle singole parti dell’accordo.
Infine, di non poco conto, sono da citare le linee guida OCSE del 1999, dedicate alla tutela in particolare dei consumatori nelle transazioni telematiche.
I principi individuati con le linee guida erano finalizzati in particolare ad orientare le singole legislazioni nazionali sia in relazione alla conclusione e al perfezionamento dei negozi giuridici telematici, sia sull’emanazione di una disciplina idonea alla tutela dei consumatori finali. Tra le materie governate dai principi OCSE dovevano, poi, rientrare anche nuovi modelli di trasparenza ed efficacia, ovvero per le pratiche commerciali o pubblicitarie, di informazione e accettazione della disciplina contrattuale specifiche, nonché in relazione all’esecuzione della transazione o dell’obbligazione.
Tutte gli interventi regolamentari sono stati considerati come interventi di “soft law” in quanto aventi natura prevalentemente prasseologica e, quindi, non vincolante.
Infatti, queste norme non producono alcun effetto giuridico fino a quando non sono adottate e attuate a livello nazionale, ma fungono da linee guida per orientare i legislatori e influenzare il processo standardizzato di redazione delle clausole contrattuali.
L’obiettivo della uniformazione del mercato, anche quello digitale, rientrava tra i propositi del Trattato di Maastricht con il quale l’Unione europea si ripropose di favorire sul territorio comunitario la libertà di movimento per merci e persone.
In tal senso, una prima manifestazione di interesse sul tema si ebbe con la comunicazione della Commissione europeo n. 157 del 1997. Con tale documento la Commissione ha esternato la volontà di promuovere il commercio digitale e creare un nuovo mercato maggiormente competitivo.
A parere della Commissione il commercio digitale metteva a disposizione dei consumatori e degli imprenditori infinite possibilità di sviluppo e scambio che avrebbero facilitato e accresciuto il mercato globale.
Il fenomeno era facilitato, in particolare, per i ridotti costi di transazione e di passaggio di merci e servizi attraverso regioni del mondo e le frontiere, esterne ed interne all’Unione.
La comunicazione aveva, poi, introdotto il concetto di commercio telematico diretto e indiretto. Il primo indicava il negozio giuridico concluso in via telematica e eseguito tramite le vie tradizionali; mentre il secondo si concludeva ed eseguiva totalmente per via telematica.
La comunicazione della Commissione UE pose le basi per le successive novelle e regolamentazioni in materia del commercio digitale, con l’obiettivo permanente di uniformare la disciplina a livello internazionale.
A questa, quindi, fece seguito la Direttiva, precedentemente citata, n. 2000/31/CE.
La disciplina dei contratti di vendita “non in presenza” è contenuta nel nuovo capo I del c.d. “Codice del Consumo” recepito con direttiva UE del 2011/83/UE attraverso il decreto legislativo n. 21 del 21/02/2014.
Precedentemente la disciplina era divisa in due grandi macro-categorie: i contratti stipulati all’esterno dei locali commerciali e i c.d. “contratti a distanza”.
Queste due categorie trovavano, poi, l’implementazione della propria regolamentazione in tutta una serie di disposizioni speciali applicabili caso per caso.
La novella legislativa ha riguardato in principio la portata dell’art. 2 del Codice, estendendo in particolare la portata del contenuto dei diritti fondamentali e inviolabili del consumatore finale, alla luce del quale tutti i contratti “a distanza” devono adattarsi.
Sebbene la direttiva abbia modificato in maniera rilevante la precedente disciplina in materia, gli studiosi non hanno comunque ritenuto di attribuire alla suddetta direttiva autorità di decisione quadro.
Il capo I del codice si occupa innanzitutto di fornire delle definizioni degli istituti rilevanti nella materia e del loro ambito operativo: di particolare rilevanza, invero, l’art. 47 che elenca i contratti tassativamente esclusi dell’operatività della disciplina.
L’art. 48, quale articolo di chiusura del primo capo, indica i criteri che devono essere seguiti al fine di armonizzare i contratti stipulati con le prescrizioni sulla disciplina dei contratti a distanza di cui alla direttiva UE (c.d. armonizzazione minima).
Il secondo capo, invece, individua la c.d. “armonizzazione massima” che prescrive il contenuto minimo dei negozi stipulati tra assenti, ovvero fuori dai locali commerciali, prescrivendone anche i criteri formali e sostanziali generali.
Di particolare importanza, inoltre, la tipizzazione delle ipotesi di recesso di cui agli artt. 52 a 59.
Si segnalano i seguenti aspetti tra gli elementi di maggior rilevanza contenuti nella novella legislativa del 2014 – in attuazione alla direttiva UE –: il primo è la previsione di una accurata e obbligatoria informativa pre-contrattuale con la quale si avverte il consumatore dei diritti e degli obblighi derivanti dal perfezionamento del contratto, con particolare attenzione sull’esposizione dei diritti di recesso; il secondo è l’individuazione del momento perfezionativo del contratto solo a seguito della firma nel caso di accordi intercorsi telefonicamente; l’introduzione di un termine minimo obbligatorio entro il quale il consumatore ha il diritto di restituire il bene eventualmente acquistato; infine, l’assunzione della responsabilità a carco del venditore del rinvenimento del bene acquistato in condizioni danneggiate.
La nuova previsione di un “pacchetto di garanzie” è finalizzata a favorire ed incrementare lo strumento della vendita a distanza rassicurando il consumatore titubante che prova nei confronti dello strumento de qua sentimenti di scetticismo e riottosità.
Allo stesso tempo, l’incremento della vendita a distanza incentiva le imprese ad operare anche sul mercato transfrontaliero e creare l’equilibrio di mercato che l’economia mondiale si ripropone sempre di raggiungere.
È per la stessa ragione che la Direttiva UE, nel prevedere gli strumenti di tutela e garanzia del consumatore, attribuisce natura di inderogabilità e inviolabilità ai diritti in essa contenuti e imponendo, conseguentemente, agli Stati membri di adottare discipline interne in armonia con le prescrizioni comunitarie.
L’unica deroga alle suddette prescrizioni potrà essere prevista dal professionista solo in senso migliorativo rispetto alla tutela assicurata dalla direttiva comunitaria.
L’obiettivo generale che il codice del consumatore si ripropone di raggiungere è la massima tutela del consumatore, il quale si espone al rischio di ricevere un “sorpresa” non gradita in seguito alla sottoscrizione del contratto di vendita non avendo mai avuto modo di visionare l’oggetto del contratto sottoscritto, e la discendente impossibilità di constatare lo stato e la qualità del bene acquistato.
L’elasticità con cui i contratti a distanza possono essere sottoscritti, ovvero la particolarità con cui le parti esprimono la propria volontà di negoziare sono un terreno fertile per il consumatore finale di compiere scelte non adeguatamente consapevoli e coscienti.
Il parametro di riferimento per le tutele che si vogliono garantire, e che si intende raggiungere, è ovviamente quello contenuto nella macro-disciplina dei contratti di vendita perfezionati nei locali commerciali, in cui il consumatore ha piena coscienza e concezione dell’azione negoziale che sta concludendo, garantendo allo stesso modo alle parti la possibilità di confrontarsi sul contenuto del contratto.
La tutela del consumatore che sottoscrive un contratto a distanza dovrà, quindi, essere arricchita da specifici e reiterati doveri informativi gravanti sul professionista, ovvero sul venditore in ogni senso qualificato.
Il Legislatore comunitario intende, quindi, ricreare la parità di posizioni tra acquirente ed alienante nella stessa misura in cui è prevista per le c.d. “vendite tradizionali”.
È in tale ordine di idee che viene prevista per il consumatore la possibilità di recedere successivamente dal contratto sottoscritto senza subire pregiudizi economici, o soggiacere a obblighi contrattuali non equi derivante dalla sua posizione di inferiorità per la insufficiente informazione sui termini dell’accordo sottoscritto.
La corretta informazione riguardo il contratto da concludere è il principio inderogabile a cui la direttiva cerca di dare attuazione prevedendo, tra gli altri strumenti, la trasmissione di opportuna documentazione informativa prima del perfezionamento del contratto, al fine, altresì, di garantire il corretto funzionamento del mercato concorrenziale.
L’art. 46 del Codice del Consumatore indica espressamente la possibilità di estendere la disciplina contenuta al Capo 1, titolo 3, anche ai contratti di qualsiasi natura conclusi tra una figura professionale e il consumatore finali, inclusi anche i contratti di fornitura e quelli erogati da prestatori pubblici.
Data l’estrema generalizzazione della norma e la varietà delle forme contrattuali, nonché della diversità dei possibili fruitori, il Codice indica al successivo art. 47 comma 1 ben 13 fattispecie contrattuali che, invece, devono tassativamente considerarsi escluse.
A questa preclusione deve aggiungersi l’ulteriore limitazione sul tema del corrispettivo spettante, previsto in misura ridotta qualora appunto il negozio giuridico si conclude all’esterno dei locali commerciali.
Ad arginare l’ambito di validità del principio di cui all’art. 46 intervengono, altresì, le discipline speciali previste per alcune categorie di beni o servizi oggetto di accordo.
Detto in altri termini, l’art. 46 si pone come disciplina generale e completa per i contratti di vendita incidendo non solo nella regolamentazione pre-contrattuale, ma anche nella fase esecutiva del contratto.
Sotto il profilo subiettivo, invece, a differenza di quanto citato nell’art. 45, il quale fa esplicito riferimento ai soggetti ricompresi nelle macrocategorie di professionista e consumatore, il primo comma dell’art. 46 estende la categoria del professionista anche agli imprenditori pubblici che agiscono nelle forme e nei modi del diritto privato.
Un ulteriore limite alla disciplina delineata dall’art. 46 è individuato nel diritto di recesso previsto per i contratti stipulati al di fuori dei locali commerciali.
Per esso, infatti, è prevista una specifica disciplina attesa la c.d. “modalità aggressiva” di vendita.
Sul tema il rimando è all’art. 52, il quale prevede la possibilità di recedere dal contratto senza penali entro i successivi 14 giorni decorrenti dalla conclusione dell’accordo.
Altro elemento normativo di particolare rilevanza è l’amplia formulazione del concetto di “consumatore” contenuta all’art. 17 della Direttiva 2011/83/UE, la quale individua come consumatore la persona fisica che agisce al di fuori della propria attività d’impresa o professionale, o che comunque svolga un’attività che esuli dalla propria attività imprenditoriale predominante.
Deve, altresì, segnalarsi che l’art. 46 comma 2 cod. cons., anch’essa avente natura di lex generalis, disciplina le modalità di risoluzione dei conflitti tra la disciplina di cui al comma 1 e le varie disposizioni speciali che si assestano per le singole figure contrattuali, o per la specialità dell’oggetto della contrattazione.
In particolare, si stabilisce che nel caso di antinomia deve darsi prevalenza alle clausole speciali individuate dalla normativa di settore esistente a livello comunitario e recepite nel diritto interno, escludendo, d’altra parte, la disciplina dell’Unione che trova applicazione in via “indiretta”
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Giuliana Aprile
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