Il concetto di “abuso di autorità” nel reato di violenza sessuale
Introduzione. La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza emessa dalle Sezioni Unite in data 16.07.2020, n. 27326 , depositata in data 01.10.2020, ha posto fine al precedente contrasto giurisprudenziale relativo al concetto di “abuso di autorità” di cui all’art. 609 bis co. 1 c.p. , affermando che deve essere interpretato come una forma di abuso che “presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subito atti sessuali”.
IL Gup del Tribunale di enna, con sentenza del 22 gennaio 2015, all’esito di giudizio abbreviato condizionato, ha affermato la responsabilità penale dell’imputato, che ha condannato anche al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio , in relazione al reato di cui agli art.81 cp, comma 2 e art.609-quater cp,comma4, nella conferenza cosi riqualificata l’originaria imputazione riferita all’art.81 cp, comma 2 , art.609-bis c.p. e art. 609-ter c.p., n.1) perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di insegnante di inglese che impartiva lezioni private, e quindi, con abuso di autorità, aveva costretto due minori degli anni quattordici, a subito ed a compiere su di lui atti sessuali.
Secondo quanto specificato nel capo di imputazione, tale condotta si concretata, riguardo ad una delle persone offese, nell’avvicinarsi in più occasioni tra le sue gambe ed abbracciandola stretta, accarezzandola sulle cosce e baciandola sulla bocca, tendando anche di inserire la lingua.
1. Il limite di scelta tra il reato di violenza sessuale (art.609-bis c.p.) e il reato di atti sessuali con minorenni (art.609-quater c.p.)
L’art. 609-bis c.p. rubricato rubricato “Violenza sessuale”, ai sensi del quale “Chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”. Il secondo comma dispone che “Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituto ad altra persona”.
il reato di violenza sessuale è un reato comune e si pone a salvaguardia della libertà sessuale del soggetto passivo.
Principalmente, si tratta di un delitto a forma vincolata, dovendo la condotta descritta dalla norma necessariamente consistere nel compimento di atti sessuali contrasto con la volontà della vittima.
Più precisamente, l’elemento oggettivo tipizzato dal primo comma dell’art.609-bis c.p. richiede un comportamento connotato da violenza o minaccia, ovvero abuso di autorità, atto da costringere taluno a compiere o subire atti sessuali. il secondo comma, invece, delinea una condotta connotata dall’induzione della vittima a compiere o subire gli atti “de quibus“, operata abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della stessa.
Quando all’elemento psicologo, è sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e la volontà, da parte dell’agente, di porre in essere uno dei suesposti comportamenti.
Il delitto di atti sessuali con minorenni è previsto e punito dall’art. 609-quater c.p., il quale così dispone:
“Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609 bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza. Fuori dei casi previsti dall’articolo 609 bis, l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza, che, con l’abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni. Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Si applica la pena di cui all’articolo 609 ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci”.
La norma incriminatrice tutela quindi la libertà personale e morale della persona minorenne, sotto il particolare profilo della libertà di autodeterminazione della propria vita sessuale.
La legge, cioè, considera il minore non pienamente capace di autodeterminarsi nella espressione della propria sessualità.
Il fatto materiale consiste nell’intrattenere rapporti sessuali con una persona non ancora maggiorenne, senza l’uso di violenza o minaccia o abusi di autorità (nel qual caso si applicherebbe invece l’art. 609-bis c.p.) solamente al ricorrere di precise e tassative circostanze determinate dalla norma.
Occorre subito precisare alcune questioni, che nel senso comune spesso sfuggono: se non vi è violenza o minaccia, né abuso d autorità, qualora una persona maggiorenne – di qualsiasi età – abbia rapporti sessuali con una persona minorenne consenziente, purché abbia compiuto i 14 anni, non commette reato.
2. Il significato di “abuso di autorità”
Il primo orientamento trae origine dalla sentenza delle Sezioni Unite del 31.05.2000, n. 13, secondo cui l’abuso di autorità ai sensi dell’art. 609 bis co. 1 c.p. presuppone nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, escludendone, nel caso di specie la configurabilità, nel caso di un insegnante privato che aveva compiuto atti sessuali con un minore di 16 anni a lui affidato per ragioni di istruzione ed educazione, ritenendo conseguentemente corretta la pronuncia del Giudice di primo grado che aveva qualificato il fatto ai sensi dell’art. 609 quater c.p.
Nella pronuncia in questione il concetto di abuso di autorità era ricondotto alla nozione di pubblico ufficiale di cui all’art. 520 c.p., riconoscendo la forza di coartazione derivante dall’esercizio distorto dei poteri connessi con la funzione preminente esercitata dal titolare della posizione sovraordinata
Il secondo orientamento, uniformandosi alla dottrina prevalente, propende per un concetto di abuso di autorità comprensivo anche di relazioni di natura privatistica in cui l’autore del reato riveste una posizione di supremazia della quale si avvale per coartare la volontà della persona offesa.
Successivamente, con la sentenza n. 23873 del 2009, discostandosi dall’orientamento giurisprudenziale consolidato, è stato affermato che nell’abuso di autorità rientra ogni forma di strumentalizzazione del rapporto di supremazia, senza distinzioni tra autorità pubblica e privata, utilizzando come parametro di riferimento l’art. 61 n. 11 c.p.
Oggi le Sezione Unite hanno dato una definizione specifica di abuso di autorità.
La Suprema Corte ha spostato la sua riflessione sulla natura dell’autorità privata, verificando se l’autorità “privata” sia solo quella che deriva dalla legge o anche quella derivante da un’autorità di fatto.
La Suprema Corte giunge pertanto ad affermare il seguente principio di diritto: “L’abuso di autorità cui si riferisce l’art. 609 bis comma primo, c.p. presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”.
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Mariateresa Camigliano
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