Il concorso formale di reati

Il concorso formale di reati

Il concorso di reati si verifica quando un soggetto pone in essere, con un’unica o con una pluralità di condotte, due o più reati della stessa o di diversa specie.

Per la concezione naturalistica si ha un solo reato o una pluralità di reati a seconda che si abbia, rispettivamente, una sola azione o più azioni, un unico evento o una pluralità di eventi; ad ogni azione o evento, inteso in senso naturalistico, corrisponde un reato.

Tale interpretazione non è tuttavia condivisibile, in quanto, presupponendo una valutazione della condotta solo in termini naturalistici, omette di prendere in considerazione la fattispecie tipica così come prevista dalla norma penale incriminatrice, ponendosi inoltre in contrasto con i principi di necessaria offensività, materialità e soggettività, i quali si pongono alla base del sistema giuridico penale.

Si deve ritenere, pertanto, che all’unicità della condotta o dell’evento, intesi in senso naturalistico, non corrisponda necessariamente l’unicità del reato e, nello stesso tempo, che dalla ripetizione della condotta o dalla sussistenza di una pluralità di eventi naturalistici non derivi necessariamente una pluralità di illeciti.

Sulla base di queste considerazioni si sviluppa così la concezione normativa, secondo la quale l’unità o la pluralità di reati deve essere desunta esclusivamente dalla norma penale, in modo tale che ad ogni violazione corrisponda un reato.

La concezione normativa su base ontologica, poi, costituisce un’evoluzione di tale impostazione: essa, infatti, pur partendo dal presupposto che la norma penale costituisce certamente il primo elemento logico sulla base del quale effettuare la valutazione del fatto storico in termini di unità o pluralità, riconosce che per la sussistenza di un fatto di reato siano comunque necessari ulteriori elementi rispetto alla mera violazione, quali l’offesa al bene giuridico tutelato e la colpevolezza del suo autore.

A seconda che la pluralità di reati derivi da un’unica o da una pluralità di condotte si suole distinguere tra concorso formale e concorso materiale.

Nell’ottica del legislatore, l’unicità o meno dell’azione assume estrema importanza ai fini del trattamento sanzionatorio: la presenza di un’azione unica, in particolare, giustifica l’applicazione di una sanzione più tenue rispetto all’ipotesi in cui a ciascun reato corrisponda una diversa condotta; ciascuna azione presuppone infatti un diverso proposito criminoso e quindi una maggiore capacità criminale dell’agente.

Si definisce “concorso formale” di reati, pertanto, quella particolare tipologia di concorso nel quale alla pluralità di illeciti corrisponde un’unica azione. A seconda che le violazioni riguardino una medesima disposizione di legge o disposizioni diverse, poi, si suole distinguere tra concorso formale omogeneo e concorso formale eterogeneo.

Sotto il profilo psicologico, il concorso formale deve essere caratterizzato per la presenza, nonostante l’unicità dell’azione, di una pluralità di processi volitivi.

In caso di concorso omogeneo, in particolare, la componente intellettiva del reato dovrà presentarsi tante volte quante sono le reiterazioni della condotta; analogamente, nei casi di concorso formale eterogeneo dovranno essere rinvenuti nell’unica azione od omissione gli elementi psicologici propri di ciascuna fattispecie incriminatrice.

L’unicità dell’azione deve intendersi in senso giuridico e non naturalistico, e dunque essere valutata

come tale prescindendo da una considerazione meramente materiale del fatto: ad una pluralità di atti intesi in senso naturalistico, infatti, non corrisponde necessariamente una pluralità di condotte dal punto di vista giuridico.

In quest’ottica, si avrà un’unica azione allorché si realizzano i presupposti minimi della fattispecie incriminatrice, anche se la condotta tipica, ad una considerazione naturalistica, risulti dal compimento di più atti.

Dal medesimo punto di vista, si ha unità di azione anche nell’ipotesi in cui sia la stessa fattispecie astratta a richiedere la realizzazione di più atti naturalistici ai fini della sussistenza del reato.

Sulla base delle medesime considerazioni si avrà inoltre unità di azione, nonostante il compimento di una pluralità di atti intesi in senso naturalistico, anche nei c.d. delitti di durata, i quali per loro stessa natura richiedono il permanere della condotta delittuosa.

Con riferimento all’individuazione del requisito dell’unicità dell’azione, nessun problema si pone nel caso in cui unica sia anche l’azione in senso naturalistico, alla quale non può infatti che corrispondere un’unità anche sotto il profilo giuridico.

Nello stesso tempo, è altrettanto agevole ritenere che alla pluralità di atti naturalistici diversi corrisponda, ad eccezione che nelle ipotesi previste dalla legge, una pluralità di azioni anche in senso giuridico.

Alla medesima conclusione, d’altronde, deve pervenirsi nel caso in cui la ripetizione della medesima condotta avvenga in contesti temporali diversi.

Il problema, piuttosto, si pone nell’ipotesi in cui la stessa condotta sia ripetuta nell’ambito del medesimo contesto temporale.

In tal caso si suole far riferimento al fine perseguito dall’autore delle condotte, ritenendo che l’unicità dello scopo presupponga l’esistenza di un’unica condotta.

Detto questo, deve pertanto ritenersi che più azioni in senso naturalistico costituiscano un’azione giuridicamente unitaria se unico è lo scopo che le sorregge e se si susseguono nel tempo senza apprezzabile interruzione.

Se presupposto normativo indefettibile di tale forma di concorso è un’unicità di azione od omissione, non sempre è però agevole stabilire quando ad una medesima azione corrisponda effettivamente una pluralità di reati.

Nel concorso eterogeneo, in particolare, la condotta, seppur unica dal punto di vista giuridico, realizza contemporaneamente elementi riconducibili a diverse fattispecie.

Ai sensi dell’art. 15 c.p. ed in ossequio al principio del ne bis in idem sostanziale, tuttavia, è necessario accertare che il concorso di norme verso la medesima condotta non sia meramente apparente, essendo in realtà solo una la disposizione in concreto applicabile in ragione dell’idoneità della stessa ad assorbire per intero il disvalore penale del fatto.

Secondo la lettera della legge, tale eventualità si verifica nel caso in cui le disposizioni in concorso si pongono in rapporto di specialità, andando a disciplinare il medesimo fatto di reato e distinguendosi solo per la presenza di uno o più elementi specializzanti.

In questa ipotesi, infatti, l’art. 15 citato impone di applicare la norma speciale, la quale deroga a quella generale, pena la violazione del principio del ne bis in idem nella sua accezione sostanziale, posto che diversamente si finirebbe per punire due volte il medesimo fatto.

Con riguardo al concorso formale omogeneo, invece, occorre spostare l’attenzione sul soggetto passivo dell’azione e sul bene giuridico tutelato dal legislatore attraverso la predisposizione della norma penale incriminatrice: nel caso in cui l’azione, considerata unica dal punto di vista giuridico, sia infatti posta in essere nei confronti del medesimo soggetto si avrà sicuramente un unico reato.

Viceversa, nell’ipotesi in cui la condotta sia indirizzata verso soggetti differenti è necessario prendere in considerazione il bene giuridico tutelato dalla norma, distinguendo tra fattispecie aventi ad oggetto beni altamente personali come la vita, l’integrità fisica, l’onore o la libertà personale, e fattispecie che proteggono invece beni di natura diversa. Rispetto alle prime deve infatti configurarsi una pluralità di reati se con una medesima azione si ledono soggetti diversi; rispetto alle seconde, invece, in presenza di un’unica azione pur lesiva di soggetti passivi diversi dovrebbe escludersi una pluralità di reati.

Tanto premesso, per espressa previsione legislativa vi sono dei casi in cui un medesimo reato risulta suscettibile di essere realizzato mediante condotte materiali differenti.

Secondo la dottrina, in tali ipotesi occorre distinguere tra disposizioni a più norme e disposizioni a più fattispecie: le prime ricorrono quando in un’unica disposizione di legge sono contenute norme descrittive di una pluralità di fattispecie incriminatrici diverse; le seconde, al contrario, prevedono diverse modalità alternative di realizzazione del medesimo fatto di reato, contenendo così un’unica norma incriminatrice.

Nel primo caso, la contestuale realizzazione di più condotte tra quelle previste comporterà l’applicazione di una sanzione penale ripetuta in ragione del numero dei reati commessi, andando a configurarsi un concorso di reati; nella seconda ipotesi, invece, la norma penale sarà applicabile solo una volta, trattandosi di semplice modalità alternativa di realizzazione del medesimo reato.

Il concorso formale di reati è disciplinato dall’art. 81 c.p., secondo il quale chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge, o commette più violazioni della medesima disposizione, soggiace alla pena prevista per la violazione più grave aumentata fino al triplo. La pena, in ogni caso, non può essere superiore a quella risultante dal cumulo materiale delle sanzioni previste per ogni singolo reato in concorso. Fermi tali limiti, se i reati in concorso formale sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dal quarto comma dell’art. 99 c.p., l’aumento della quantità di pena non può comunque essere inferiore ad un terzo della pena prevista per il reato più grave.

Tale disposizione, introdotta con la riforma novellistica del 1974, ha profondamente modificato l’originario impianto sanzionatorio previsto dal legislatore per il concorso formale di reati: al regime del cumulo materiale, codificato nella vecchia formulazione della norma, è infatti subentrato il regime del cumulo giuridico, il quale consiste nell’applicazione della pena prevista per il reato più grave, aumentata di una quantità corrispondente, non alla somma aritmetica delle pene sancite per i reati in concorso, quanto di una quota proporzionale prefissata dalla legge.

Con riferimento alla previsione di un limite minimo all’aumento della pena per i recidivi reiterati, ossia per coloro i quali trovandosi già nella condizione di recidivo commettono un altro reato, si osserva che così facendo si finisce con l’attribuire alla c.d. recidiva reiterata una duplice valenza, ponendosi in contrasto con il principio di cui all’art. 649 c.p.p.

Tale recidiva, infatti, oltre ad essere presa in considerazione per il calcolo della pena base, come qualsiasi altra forma di recidiva, influisce sulla determinazione dell’aumento minimo al quale tale pena dovrà poi essere sottoposta per effetto del concorso di reati.

D’altra parte, con tale previsione si fonda l’individuazione dell’incremento sanzionatorio su di un elemento di valutazione disomogeneo rispetto a quelli normalmente utilizzati nella determinazione delle pena, concernenti la struttura oggettiva e soggettiva della fattispecie.

Detto questo, un primo problema ermeneutico in materia di cumulo giuridico ha riguardato il significato da attribuire all’espressione “violazione più grave”.

Una prima impostazione ritiene che la valutazione in ordine a tale violazione debba essere compiuta in astratto, ovvero riferendosi semplicemente al titolo di ognuna, al loro grado di consumazione, alle pene edittali e, a parità di quest’ultime, alle circostanze aggravanti e attenuanti contestate ab origine, e non a quelle ritenute dal giudice in sentenza.

A sostegno di questa interpretazione si adduce, in primo luogo, il tenore letterale della norma, la quale fa riferimento alla “violazione’’ e non alla “pena’’ più grave; d’altra parte, si pone la necessità di rispettare la gravità dei singoli reati così come stabilita a priori dal legislatore attraverso la predisposizione delle pene edittali.

In questo contesto, la previsione contenuta nell’art. 187 disp. att. c.p.p., che ai fini dell’applicazione in sede di esecuzione del cumulo giuridico fa riferimento alla pena determinata in concreto, costituirebbe una norma posta in deroga al suddetto criterio generale.

L’opposto orientamento, per contro, sostiene che la valutazione della pena più grave debba essere compiuta in concreto, ossia facendo riferimento alla sanzione che in concreto risulta applicabile ai singoli fatti criminosi.

In tale valutazione entrerebbero pertanto i criteri di cui all’art. 133 c.p., nonché tutte le circostanze e gli altri elementi che possono incidere sulla valutazione degli episodi in concorso o in continuazione.

Ciò posto, la nozione di ‘’violazione più grave’’ ha, secondo la Cassazione, una valenza complessa: essa, infatti, muovendo dalla sanzione edittale comminata in astratto per una determinata fattispecie criminosa, implica la valutazione delle sue concrete modalità di manifestazione.

Nel sistema del codice penale, osserva la Corte, per sanzione edittale deve intendersi la pena prevista in astratto con riferimento al reato contestato e ritenuto in concreto in sentenza, tenendo conto, cioè, delle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata, salvo che specifiche e tassative disposizioni escludano, a determinati effetti, la rilevanza delle circostanze o di talune di esse.


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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo. L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile. Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale. Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori. Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.

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