Il concorso nel reato proprio

Il concorso nel reato proprio

Tra gli elementi costitutivi del fatto incriminato vi rientrano i c.d. presupposti del reato, ovvero quelle circostanze che devono sussistere prima della commissione dell’illecito e dai quali dipende la rilevanza penale di questo.

Nell’ambito di tali presupposti si collocano le qualifiche soggettive dell’agente, le quali assurgono ad elemento costitutivo di alcuni reati.

A seconda della necessità o meno di tale qualifica, si suole distinguere tra reati propri e reati comuni.

Si definisce “proprio”, infatti, quel reato che può essere commesso solo dal soggetto in possesso della qualifica richiesta dalla norma penale incriminatrice, il quale è l’unico in grado di integrare l’illecito.

Il fondamento normativo di tali reati deve individuarsi nel principio di offensività in astratto, il quale vincola il legislatore nella previsione delle singole fattispecie, imponendogli di pervenire all’incriminazione di fatti che siano in grado di costituire un reale ed effettivo pericolo per i beni giuridici tutelati.

Proprio sulla base di tale esigenza vi è in alcuni casi la necessità di prevedere in capo all’agente la sussistenza di una particolare qualifica, in mancanza della quale non potrebbe infatti verificarsi l’evento giuridico dell’illecito, ovvero l’offesa o la messa in pericolo dell’interesse tutelato, e dunque l’integrazione del reato.

Oltre che operare come presupposto per l’integrazione del fatto illecito, la qualifica soggettiva richiesta in capo all’agente può incidere sulla definizione del reato commesso ovvero assegnare rilevanza a comportamenti che altrimenti costituirebbero meri illeciti civili o amministrativi.

In questo senso si suole distinguere tra illeciti propri esclusivi, nei quali la qualifica rappresenta il discrimine tra illecito penale e condotta altrimenti lecita, reati propri semi esclusivi, in cui la stessa influisce sul titolo del reato e illeciti propri non esclusivi, nei quali determina la rilevanza penale di un fatto che diversamente costituirebbe un diverso tipo di illecito.

La qualifica soggettiva del reo, in particolare, può attenere ad un particolare status giuridico, come avviene nei reati contro la p.a., ovvero identificarsi in una qualità naturalistica o materiale dell’agente, come per esempio avviene nel reato di interruzione illecita di gravidanza.

Tanto premesso, i reati propri pongono alcune problematiche ermeneutiche nel caso in cui alla commissione dell’illecito, in concorso con l’intraneus, ovvero il soggetto in possesso della qualifica richiesta, vi abbia partecipato un soggetto che ne sia privo, ossia un extraneus.

Mentre il concorso di persone nel reato proprio esclusivo risulta essere disciplinato dalle norme generali in tema di concorso di cui agli artt. 110 e seguenti c.p., quello nel reato proprio semi esclusivo è invece preso in considerazione dall’art. 117 c.p., andando a costituire una particolare ipotesi di concorso.

Nel caso in cui la qualifica soggettiva rilevi ai fini della rilevanza penale della condotta, come appunto avviene nei reati propri esclusivi, affinché il fatto illecito possa essere imputato all’extraneus è infatti necessario, in ossequio ai principi generali in tema di imputazione dolosa, che lo stesso abbia la coscienza di tutti gli elementi costitutivi del reato, tra i quali non può non rientrare la qualifica soggettiva del concorrente intraneus.

La fattispecie del concorso di persone nel reato proprio esclusivo, pertanto, non esula dai principi generali in materia di concorso di persone nel reato, i quali si conformano ai criteri di imputazione soggettiva del fatto, richiedendo in capo al concorrente la coscienza e volontà di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito.

Il concorso nel reato proprio semi esclusivo è invece disciplinato dall’art. 117 c.p., la cui norma, prevedendo un mutamento del titolo del reato per effetto del quale anche il concorrente estraneo risponde del reato proprio, non è di conseguenza applicabile ai reati propri esclusivi, i quali non possono convertirsi in altre ipotesi di reato e qualora siano stati commessi da soggetti diversi da quelli indicati non assumono alcuna rilevanza penale.

Ai sensi di tale norma, in particolare, se per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti tra il colpevole e l’offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso illecito. Nondimeno, se questo è più grave, il giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena.

Nei reati propri semi esclusivi la mancanza della consapevolezza in ordine alla qualifica rivestita dall’intraneus non influisce sul disvalore penale della condotta, in quanto l’extraneus potrebbe essere chiamato a rispondere del reato comune, del quale si è infatti correttamente rappresentato ogni elemento costitutivo.

Al fine di evitare che coloro i quali abbiano concorso alla realizzazione del medesimo reato ne rispondano a titoli differenti, tuttavia, interviene l’art. 117 c.p., la cui norma consente di imputare all’extraneus il reato proprio.

Detto questo, secondo l’impostazione tradizionale la disposizione in esame consentirebbe di imputare all’extraneus il reato proprio a titolo di responsabilità oggettiva, ovvero indipendentemente dalla consapevolezza in ordine all’altrui qualifica soggettiva.

A sostegno di tale interpretazione si richiama l’art. 1081 del codice della navigazione, il quale distingue tra le due diverse forme di concorso, richiedendo solo nell’ipotesi del concorso nel reato proprio esclusivo la coscienza in capo all’extraneus di concorrere nella commissione del reato proprio con l’intraneus.

Secondo tale concezione, dunque, la conoscenza della qualifica posseduta dall’intraneus sarebbe necessaria solo quando rilevi ai fini della sussistenza del reato e non invece quando influisca esclusivamente sulla sua qualificazione giuridica, come appunto avviene nel caso in cui il concorso concerna un reato proprio semi esclusivo.

Di diverso avviso è invece l’impostazione più recente, attualmente prevalente, la quale evidenzia la necessità di un effettivo coefficiente psicologico in relazione alla qualifica soggettiva rivestita dal concorrente intranues in capo a chi concorra nella commissione del reato senza esserne provvisto, ovvero l’extraneus.

In primo luogo, si osserva, ragionando diversamente ci si porrebbe in contrasto con il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 della Costituzione, in base al quale ogni elemento dal quale deriva il disvalore penale del fatto deve essere imputato all’agente quantomeno a titolo di colpa.

Secondo quanto ritenuto dalla Consulta, infatti, l’esigenza di colpevolezza non può intendersi solamente come divieto di responsabilità per fatto altrui e quindi come necessità di una responsabilità strettamente personale, implicando altresì l’imputazione colpevole di ogni elemento costitutivo della fattispecie, ivi comprese le qualifiche soggettive.

D’altra parte, la clausola di riserva contenuta nell’art. 1081 cod. nav. può certamente giustificarsi in ragione della diversità strutturale tra le due differenti ipotesi di concorso nel reato proprio esclusivo e nel reato proprio semi esclusivo, ma non può invece di per sé legittimare la qualificazione in termini oggettivi della responsabilità di cui all’art. 117 c.p.

Ragionando diversamente, inoltre, si perverrebbe ad un paradosso, in quanto per effetto dell’art. 47 c.p. la mancata conoscenza della qualifica soggettiva assumerebbe rilevanza per l’intraneus, mentre finirebbe per essere del tutto irrilevante per l’extraneus.

Ciò chiarito in ordine all’elemento soggettivo, occorre dare atto della sussistenza di alcune fattispecie di reato proprio semi esclusivo, c.d. a soggettività ristretta, le quali non consentono la partecipazione a titolo di concorso di un soggetto sprovvisto della qualifica richiesta, e dunque esulano dall’ambito di applicazione dell’art. 117 c.p.

Diversamente da quanto accade nelle ipotesi previste dalla norma menzionata, infatti, dove i delitti presi in considerazione si distinguono solo in relazione alla qualifica del soggetto agente, rimanendo identici in tutti gli altri elementi costitutivi, nei reati c.d. a soggettività ristretta sussiste una differenza sul piano oggettivo tra la condotta dell’intraneus e quella dell’extraneus, tale che la qualifica soggettiva dell’autore del reato incide sulla stessa tipicità del fatto, andando ad integrare un presupposto oggettivo della fattispecie penale.

La giurisprudenza ha definito tale, per esempio, il reato di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter 1 c.p.: come affermato dalla S.C., infatti, il soggetto che, non avendo concorso nel delitto presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio o contribuisca alla realizzazione, da parte dell’autore del reato presupposto, delle condotte indicate dalla norma menzionata, risponde di riciclaggio e non di concorso nel delitto di autoriciclaggio, essendo questo un illecito a soggettività ristretta, come tale configurabile solo nei confronti dell’intraneus.

Secondo quanto specificatamente ritenuto, d’altronde, l’intraneus deve essere ritenuto responsabile del delitto di autoriciclaggio anche nel caso in cui si limiti a trasferire il denaro nella mani dell’extraneus affinché provveda a riciclarlo, nonostante tale condotta non corrisponda a quella tipica prevista dall’art. 648 ter 1 c.p.

Deve escludersi, infatti, che il delitto di autoriciclaggio sia un illecito “a mano propria”, il quale, come tale, richiederebbe che sia l’intraneus ad aver posto in essere la condotta tipica, pena l’impossibilità di realizzare l’offesa al bene giuridico tutelato.

Così ragionando, infatti, si finirebbe per escludere la punibilità dell’autore del reato presupposto che si sia limitato a mettere a disposizione dell’extraneus il provento del delitto non colposo affinché provveda a riciclarlo, in quanto, per espressa affermazione legislativa, egli non può rispondere del delitto di riciclaggio, neanche a titolo di concorso.

Per la Corte, d’altronde, non può accogliersi nemmeno quell’orientamento che ammette il concorso dell’extraneus nel delitto di autoriciclaggio, richiamando l’art. 110 c.p. o l’art. 117 c.p. a seconda che lo stesso abbia o meno la consapevolezza della qualifica posseduta dall’intraneus.

A parte quanto già detto in ordine alla necessità di un’imputazione soggettiva della qualifica anche nell’ipotesi di cui all’art. 117 c.p., infatti, tale impostazione finisce per escludere l’applicazione delle fattispecie comuni di riciclaggio e reimpiego a vantaggio della nuova incriminazione, posto che per ottenere l’utilità da riciclare il terzo ha comunque necessità che questa gli venga consegnata dall’autore del reato presupposto.

Ciò, in particolare, si pone in contrasto con lo scopo perseguito dal legislatore attraverso l’introduzione del delitto di autoriciclaggio, il quale non può certo rinvenirsi nella previsione per l’extraneus di un regime di punibilità diverso da quello già risultante dagli artt. 648 bis e 648 ter c.p., dovendosi invece individuare nella necessità di colmare una lacuna dell’ordinamento, pervenendo a sanzionare la realizzazione di condotte riciclatorie da parte dell’autore del delitto presupposto.

Parte della dottrina, per contro, ritiene che il concorso dell’extraneus nel delitto di autoriciclaggio debba essere disciplinato applicando le norme in materia di concorso apparente di norme: secondo tale concezione, in pratica, la condotta del terzo estraneo sarebbe suscettibile di integrare due diverse fattispecie incriminatrici, ovvero plurisoggettivamente il reato di autoriciclaggio e monosoggettivamente quello di riciclaggio, il quale in ossequio ai principi di sussidiarietà e consunzione finirebbe per assorbire in sé il minor disvalore del concorso in autoriciclaggio, con la conseguenza che l’extraneus dovrebbe essere chiamato a rispondere del più grave delitto di cui all’art. 648 bis c.p., mentre l’intraneus resterebbe punibile per il solo reato di cui all’art. 648 ter 1 c.p., non potendo la sua condotta assumere rilevanza a titolo di riciclaggio.

Siffatta impostazione risulta in realtà difficilmente condivisibile, stante la mancanza di un rapporto di specialità ex art. 15 c.p. tra le norme considerate, le quali disciplinano fattispecie differenti.

D’altra parte, si osserva, i principi di sussidiarietà e consunzione, non trovando specifico riconoscimento da parte della legge, la quale nell’intento di disciplinare le ipotesi di concorso apparente di norme si limita a richiamare il principio di specialità, finiscono per porsi in contrasto con l’esigenza di legalità che deve caratterizzare il diritto penale.


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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo. L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile. Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale. Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori. Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.

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