Il confine tra truffa e risarcimento danni: la violazione degli obblighi informativi negli investimenti

Il confine tra truffa e risarcimento danni: la violazione degli obblighi informativi negli investimenti

Con il presente contributo si vuole esaminare una recente pronuncia della Cassazione civile e precisamente l’ordinanza nr. 7288/2023. La tematica affrontata e sottoposta all’ attenzione della Corte concerne la sussistenza o meno della responsabilità in capo all’ intermediario finanziario per la violazione degli obblighi informativi avverso il cliente; e una possibile configurabilità in capo allo stesso del delitto previsto e punito dall’ art. 640 c.p. ossia il delitto di truffa.

Nella società odierna è sempre più nota e diffusa l’importanza degli investimenti.

L’investimento può essere definito come quell’operazione che viene compiuta da un soggetto solitamente un risparmiatore, il quale mette da parte una parte del suo reddito e decide di utilizzare tale somma investendola, nella speranza che con il passare del tempo questa somma investita  possa aumentare e apportargli benefici. Va precisato che l’investimento è un rischio in quanto il valore di ciò che si è investito può aumentare ma anche diminuire comportando poi una perdita.

L’investimento finanziario che si analizzerà concerne l’acquisto di obbligazioni.

Il caso sollevato all’ attenzione della Corte viene avallato dalla madre- in qualità di erede- di una signora anziana settantanovenne e senza alcun titolo di studio la quale aveva effettuato un investimento finanziario, precisamente aveva acquistato delle obbligazioni senza però essere stata portata a conoscenza da parte dell’intermediario finanziario della natura, nonché dei rischi derivanti dall’investimento, rivelatosi poi del tutto sfavorevole. L’erede, in particolare chiedeva al Tribunale di primo grado di condannare al risarcimento del danno la banca e il suo intermediario per inadempimento dei doveri informativi, tuttavia la banca e il promotore costituitisi in giudizio ritenevano che non vi fosse stata alcuna violazione degli obblighi informativi atteso che l’anziana signora aveva già in precedenza effettuato degli investimenti e quindi fosse al corrente dei rischi derivanti da un investimento finanziario. Il tribunale di primo grado, disposta una CTU rigettò la richiesta di risarcimento avanzata dall’ attrice in quanto riteneva che la propensione al rischio fosse media (ossia pari a quella per la quale l’anziana aveva già fatto investimenti) e che dunque l’acquisto fosse adeguato. L’ attrice impugna la sentenza di primo grado in Appello, perché ritiene che la madre sia stata vittima di una truffa e ritiene sia legittima la richiesta di risarcimento del danno; tuttavia i giudici dichiarano l’inammissibilità dell’ appello in quanto l’ appellante non avrebbe impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale aveva escluso di accogliere la domanda risarcitoria per difetto di allegazione e prova sul nesso causale tra la violazione degli obblighi informativi ed il danno, nè la ricorrente aveva dimostrato che, se fosse stata edotta della pericolosità dell’acquisto, si sarebbe astenuta dal farlo. La decisione della Corte di Appello viene così impugnata in Cassazione per una serie di motivi:

– violazione e/o falsa applicazione del D.lgs. n. 58/1998 art 21. La ricorrente ritiene che  la banca e l’intermediario abbiano omesso di fornire all’investitrice adeguate informazioni sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni dell’operazione, e ritiene che il giudice d’ Appello non abbia rilevato come anche in relazione ai precedenti investimenti il promotore si fosse reso inadempiente agli obblighi informativi e ciò risulterebbe da un documento sottoscritto dalla investitrice in cui si desumeva che la stessa era stata indotta a firme “di comodo” sollecitate dal promotore per poter procedere agli acquisti ritenuti convenienti per la banca, con ciò risultando vittima di una vera e propria truffa;

– violazione e falsa applicazione del D.lgs.n.58/1998 art.21 comma 1, artt. 28 e 29 regolamento Consob n. 11522 del 1998 vigente alla data del marzo 2002, nonché degli art.1175, 1337 e 1375 c.c.- la ricorrente assume che i giudici di merito abbiano omesso di rilevare che l’investimento proposto era molto rischioso e che le informazioni erano rese in conflitto di interessi;

– la ricorrente assume che il giudice abbia omesso di considerare che la banca aveva l’onere di provare di aver assolto diligentemente ai propri obblighi informativi;

– con il quarto motivo la ricorrente assume che risulterebbe violato l’obbligo di informazione continuativa posto dall’ art.21 TUF.

Come si evince, tutti i motivi di impugnazione attengono all’ inadempimento degli obblighi informativi cui sarebbe stato tenuto il promotore e su cui aveva l’ obbligo di vigilare la banca con la conseguenza che la Corte ha accolto il ricorso per tutti i motivi su citati assorbiti dal primo, e ha condannato il promotore e la banca a risarcire i danni (trattasi quindi di una responsabilità solidale); stabilendo e precisando che l’onere di provare l’adempimento degli obblighi informativi grava in capo alla banca; e ha, inoltre, previsto che può ritenersi sussistente il delitto di cui all’ art. 640 c.p atteso che sussistono gli artifizi e i raggiri utilizzati dal promotore per convincere la donna ad effettuare anche i precedenti investimenti.


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Avvocato Antonella Fiorillo

Laureata in giurisprudenza. Avvocato.

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