Il conflitto di interesse nel Nuovo Codice degli Appalti

Il conflitto di interesse nel Nuovo Codice degli Appalti

Nel previgente sistema normativo in materia di appalti pubblici, costituito dal D. Lgs. n. 163/2006 e dal D.P.R. n. 207/2010, non si rinveniva una specifica previsione normativa del conflitto di interesse.

Infatti, come efficacemente rappresentato dall’allora AVCP (oggi, ANAC) nel parere sulla normativa del 20/12/2007, rif. AG 17-07, erano previste solo alcune (e, peraltro, disorganiche) ipotesi di conflitto di interesse: nell’art. 84 del D. Lgs. 163/2006, per i componenti delle Commissioni di gara, e nell’art. 90,  comma 8, per gli incarichi di progettazione; ma anche nell’art. 63 del D. Lgs. n. 267/2000 (il Testo Unico sugli Enti Locali) quando prevede tra  i casi di incompatibilità per la carica di sindaco, presidente della provincia,  consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale, l’essere parte in appalti.

Pertanto, secondo l’Autorità, laddove non riconducibili a tali previsioni normative, le potenziali situazioni di conflitto di interesse configurabili nell’ambito delle procedure di gara, andavano valutate e risolte attraverso l’esame della giurisprudenza che, sul punto, secondo un orientamento allora costante e consolidato, riteneva che “le situazioni di conflitto di interessi, nell’ambito dell’ordinamento pubblicistico non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite” (Cons. Stato, sez. V, 19/09/2006, n. 5444).

Dunque, al di là delle singole disposizioni normative, si riteneva che ogni situazione che determinasse un contrasto, anche solo potenziale, tra il soggetto e le funzioni attribuitegli, fosse rilevante, ciò in quanto, secondo costante affermazione della giurisprudenza, “ogni Pubblica Amministrazione deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione, al principio generale di imparzialità e di trasparenza ex art. 97 Cost.(Cons. Stato, sez. IV, 7 ottobre 1998, n. 1291; Cons. Giust. Amm. Sic., sez. giur., 26 aprile 1996, n. 83; Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 1995, n. 775), tanto che le regole sull’incompatibilità, oltre ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa, sono rivolte ad assicurare il prestigio della Pubblica Amministrazione ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o non un risultato illegittimo (Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 2004, n. 563)”.

Alla luce di tali insegnamenti giurisprudenziali, pertanto, ai fini della configurabilità di un conflitto di interesse, non occorreva sindacare se in concreto avesse avuto luogo la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento, dovendosi ritenere sufficiente la sussistenza di un ragionevole dubbio circa la possibilità che ciò potesse avvenire, in quanto ciò è già di per se stesso idoneo a ledere il principio che vuole l’immagine della Pubblica Amministrazione al di sopra di ogni sospetto.

Riferendo tali argomentazioni alla specifica materia degli appalti pubblici, dunque, l’Autorità concludeva nel senso di ritenere che la sola potenziale violazione dei principi di buon andamento e imparzialità nonché del principio della parità di trattamento che deve presiedere le procedure ad evidenza pubblica, fosse sufficiente a configurare un conflitto di interesse e dunque a ritenere inammissibile la partecipazione ad esse del soggetto in potenziale conflitto.

Con il Nuovo Codice dei Contratti, di cui al D. Lgs. n. 50/2016, è stata però finalmente introdotta una specifica previsione normativa del conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di gara (art. 42), facendone derivare precisi obblighi e sanzioni (artt. 42 e 80).

Infatti, ai sensi del comma 2 dell’art. 42 – che disciplina le modalità per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici – “Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62”.

Il personale che versa nelle ipotesi di cui al comma 2 è tenuto a darne comunicazione alla stazione appaltante, ad astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni. Fatte salve le ipotesi di responsabilità amministrativa e penale, la mancata astensione nei casi di cui al primo periodo costituisce comunque fonte di responsabilità disciplinare a carico del dipendente pubblico” (art. 42, comma 3).

E qualora “la partecipazione dell’operatore economico determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’articolo 42, comma 2, non diversamente risolvibile”, le stazioni appaltanti lo escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto (art. 80, comma 5, lett. d, D. Lgs. n. 50/2016).

Su tale previsione normativa ed i suoi effetti escludenti nei termini sopra indicati, si è di recente pronunciato il TAR Pescara, che, con la sentenza del 9 gennaio 2017, n. 21, ha chiarito, estendendone la portata, che:

  1. il riferimento, contenuto nell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 42, alle ipotesi previste dall’art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, costituisce un rinvio ampliativo ed esemplificativo e non limitativo, come si evince dall’uso della locuzione “in particolare”;

  2. l’art. 42 si riferisce al personale ma in senso lato, cioè non solo a soggetti titolari di un contratto di lavoro dipendente con gli enti coinvolti, ma anche, e a maggior ragione, a coloro i quali, rivestendo una influente posizione sociale o di gestione amministrativa, hanno giocoforza un maggior “interesse finanziario, economico o altro interesse personale”;

  3. l’obbligo di astensione, essendo, come noto, da un punto di vista del diritto amministrativo, posto a tutela di un pericolo astratto e presunto, non richiede la dimostrazione, volta per volta, del vantaggio conseguito con l’omessa astensione.


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