Il consenso informato: natura e struttura dell’istituto

Il consenso informato: natura e struttura dell’istituto

Sommario: 1. L’efficacia e la validità del consenso – 1.1. Il dovere di informare ed i requisiti strutturali – 1.2. La forma e la revoca del consenso – 2. L’evoluzione giurisprudenziale e la classificazione delle fonti

 

1. L’efficacia e la validità del consenso

Il consenso del paziente al trattamento medico-chirurgico è espressione della libertà di autodeterminazione del singolo, il quale, una norma dell’art. 32 Cost., Ha il diritto di rifiutare le cure, salvo i casi, tassativamente previsti dalla legge, di trattamenti obbligatori. L’istituto del consenso riveste il ruolo di presupposto necessario della prestazione sanitaria, che sia questa di natura diagnostica o di natura terapeutica; ovverosia una espressa manifestazione di volontà che proviene dal paziente, cioè colui che sarà sottoposto ad un’eventuale pratica medica.

La natura giuridica del consenso informato non risiede nella semplice adesione a suddetta pratica, bensì risulta quale vero e proprio consenso formatosi e maturato in seguito ad un’adeguata e completa informativa in merito alle potenziali conseguenze ed alle modalità della stessa condotta medica. A tale informativa è tenuto appunto il medico curante, avuta peraltro considerazione dell’obbligo espressamente disciplinato dallo stesso codice di deontologia medica. L’imprescindibilità di tale atto assume rilevanza anche nell’alveo nelle fonti del diritto nazionale e sovranazionale (come vedremo più avanti), il racconto è previsto che al paziente venga riconosciuto il diritto di rifiutare l’informazione. Assume quindi particolare rilievo l’esplicitazione del diritto di rifiutare il trattamento,

Il consenso informato costituisce infatti presupposto di legittimità e soprattutto di liceità per la pratica sanitaria, senza il quale potrebbe configurarsi nei confronti dell’esercente della professione sanitaria una ipotesi di responsabilità medica.

«Il paziente, infatti, deve consentire alla prestazione sanitaria in piena e adeguata consapevolezza sulla natura e le conseguenti conseguenze della stessa ed il medico curante ha l’obbligo di fornire al paziente ogni elemento utile alla manifestazione cosciente del consenso.

E ‘chiaro come la relazione tra medico e paziente sia basata su una serie di diritti e doveri reciproci. Il professionista, infatti, è tenuto ad informare adeguatamente ed in maniera completa il paziente, consentendogli di comprendere esattamente il proprio quadro clinico, i rischi e le eventuali conseguenze, anche economiche, delle cure.

Si evince come detto consenso, non funge quale causa di giustificazione, ex art. 50 cp, dell’intervento medico, bensì risulta quale presupposto necessario di liceità del trattamento medesimo, salvo ovviamente i casi in cui il trattamento risulti necessario (non oltremodo tempestivo) e soprattutto espressamente obbligato dalla legge.

1.1. Il dovere di informare ed i requisiti strutturali

La disciplina del consenso informato ha introdotto un carico del medico, quale conseguenza necessaria, un vero e proprio “dovere di informare”, la cui omissione comporterebbe gravi conseguenze in ambito di responsabilità professionale per il sanitario. Il medico curante ha infatti l’obbligo di essere adeguatamente al paziente circa le eventuali modalità, conseguenze e rischi della pratica medica, affinché questi possano essere utilizzati alla prestazione sanitaria in piena ed adeguata consapevolezza

La centralità del consenso informato ai fini della liceità del trattamento medico ha ovviamente mosso le maestose acque della dottrina e della giurisprudenza, accendendo un dibattito in merito alla natura della responsabilità eventualmente derivante dall’omessa informativa. La tesi minoritaria opta per la natura extracontrattuale della responsabilità, quale ulteriore sub specie di responsabilità precontrattuale, equiparando l’obbligo di informativa del medico al comportamento tipizzato nell’art. 1337, al quale le parti sono tenute nella fase dello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. Contrariamente alla prima, la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza, colloca l’omessa informativa nel piano della responsabilità di natura contrattuale, ponendo il difetto di informazione nell’ambito degli stati discendenti da un contratto già concluso.

In relazione alla natura di suddetta responsabilità, ovviamente conseguenziale è la disciplina dell’onere probatorio. Prendendo in esame la tesi che muove dalla responsabilità aquiliana, nonché extracontrattuale, la prova della violazione del “dovere di informare” incomberà sul paziente; al contrario nell’ottica della responsabilità per inadempimento contrattuale, l’onere probatorio sarà posto a carico del medico curante.

Una questione ancor più dibattuta risiede nell’eventualità in cui racconto responsabilità, quella appunto scaturente dall’omessa informativa, possa sussistere in totale indipendenza ed autonomia, rispetto alla “valutazione della diligente esecuzione della prestazione medica, ed indipendentemente dall’esito peggiorativo dell’intervento praticato ”. Solo infatti discernendo gli eventuali dati relativi al rilevamento appropriato, dall’eventuale prestazione medica, configurando quindi tali requisiti come “autonomi ed indipendenti”, sarà possibile individuare una violazione, fonte di responsabilità, a prescindere dall’esecuzione diligente, o meno, della pratica concretamente eseguita.

Data la natura e l’importanza del consenso informato, nonché una ponderata manifestazione della libertà individuale, è necessario che il consenso stesso, sia dotato di requisiti requisiti.

Ai fini della validità del consenso infatti, è richiesto che questo sia personale, specifico, esplicito, libero, attuale, informato e consapevole.

Con il requisito della personalità, si intende la diretta manifestazione del paziente, purché si tratti di persona cosciente e capace di intendere e di volere, ad eccezione delle ipotesi in cui il paziente sia infermo di mente, minore o comunque incapace di intere di volere.

Ulteriore requisito è quello della specificità, ossia il consenso deve avere ad oggetto il singolo intervento o ognuna delle ipotesi prospettate dal trattamento e non potrà quindi essere generico, e tanto meno onnicomprensivo, se non nei casi di prestazioni a basso rischio.

Il consenso informato non si configura come mero documento formale e tantomeno può ridursi alla semplice sottoscrizione di un modulo cartaceo, dovendo invece concretizzarsi in un dialogo tra il medico curante ed il paziente, in cui lo stesso medico è tenuto a raccogliere un’adesione reale, effettiva e partecipata del paziente.

1.2.  La forma e la revoca del consenso

Come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza, tra i requisiti necessari affinché il consenso sia valido risalta a quello dell’esplicitazione. Il consenso informato deve essere esplicito, si discute però se deve essere necessariamente espresso e quindi reso in forma scritta, o se sia sufficiente un consenso tacito, per “ facta concludentia“. Seppur la giurisprudenza affermi più volte l’importanza di una manifestazione espressa di volontà, ammette che in certi casi sia configurabile un consenso tacito, purché suffragato da una condotta inequivocabilmente idonea ad esternare la volontà del paziente. La legislazione, in merito alla forma del consenso informato, prevede in alcuni casi (quelli più comuni) la forma scritta, ma in mancanza di una legge che imponga la forma scritta, ed alla luce del principio vigente nel nostro ordinamento sulla libertà della forma, potrebbe appunto asserirsi la validità di qualsiasi altra forma. Lo stesso codice di deontologia medica, all’art. 35, dispone che il consenso debba essere reso “in forma scritta e sottoscritta,

Spetta poi al medico curante, esclusivamente e senza alcuna possibilità di delega, acquisire il consenso o l’eventuale dissenso del paziente.

E ‘prevista inoltre, la possibilità di revocare tale consenso. Si tratta per l’appunto di un atto revocabile in qualsiasi momento, considerata la natura di atto giuridico dello stesso (secondo la tesi prevalente in dottrina) avente un assoluto valore autorizzatorio. Contrapposta a tale tesi, vi è quella definita “negoziale”, di rilievo minoritario, che individua nel consenso appunto, la manifestazione negoziale di volontà, nonché accettazione del contratto d’opera professionale, quale elemento fondante di un negozio unilaterale.

2. L’evoluzione giurisprudenziale e la classificazione delle fonti

La sempre più crescente affermazione del consenso informato trova la sua origine nello sviluppo del diritto alla salute, concretizzatosi sempre più in un interesse individuale e per cui prettamente soggettivo, trovando nel concetto di benessere il principio normativo ed assiologico pregnante. Con il consenso infatti, non assumere consistenza un semplice diritto, quello alla salute, bensì la relazione tra medico e paziente, dove all’impronta paternalistica della volontà del primo, si sostituisce la scelta libera e consapevole del secondo (cd “alleanza terapeutica”) .

Tutt’oggi non esiste una legislazione ed una omogenea disciplina del consenso informato all’interno del nostro ordinamento, tuttavia una serie di interventi giurisprudenziali hanno contribuito a definire ciò che si intende oggi per “consenso informato”, delineando quelli che sono gli elementi necessari dello stesso.

Tra le prime sentenze che hanno contribuito a definire l’istituto vi è la sentenza Cass. Sez. III, 25 luglio 1967, n. 1945, laddove appunto fu stabilito che: «fuori dei casi di intervento necessario il medico nell’esercizio della professione non può, senza valido consenso del paziente, sottoporre costui ad alcun trattamento medico-chirurgico suscettibile di porre in grave pericolo la vita e l ‘ incolumità fisica ». Un’altra importante pronuncia in merito a tale argomento è la sentenza della Corte d’Assise di Firenze del 18/10/1990 (vicenda giuridica nota come il “caso Massimo”, dal cognome del chirurgo, professore universitario, che ne fu protagonista) , con la quale è stato individuato il consenso quale obbligo specifico e vincolante per il medico. Di eguale rilievo è anche la pronuncia Cass. Civ., Sez. III, 8/07/1994, n. 6464,

Recentissima inoltre è la pronuncia della Cassazione Civile n. 16503/2017 che ha rimarcato gli importi del medico in relazione all’informativa completa ed adeguata in ordine alla natura dell’intervento, nonché i possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili, sancendo inoltre la piena ed assoluta autonomia dell’obbligo di assunzione del consenso o dissenso rispetto alla prestazione medica principale, assumendo quindi una rilevazione indipendente dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione del paziente.

Nell’ambito delle fonti nazionali, mediante la Carta Costituzionale è possibile individuare i principi dai quali nasceva l’esigenza di poter scegliere in piena ed adeguata consapevolezza il trattamento sanitario da intraprendere. Esigenza che trova fondamento soprattutto nell’art. 2 della Costituzione, che tutela e promuove i diritti fondamentali e nell’art. 13 Cost., Il quale riconosce l’inviolabilità della libertà personale, nel cui ambito deve ritenersi ricompresa anche la libertà di salvaguardare la propria salute ed integrità fisica, escludendone ogni restrizione, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e con le modalità previste dalla legge. Anche nell’art. 32 co. 2 Costo. è possibile rinvenire traccia del principio di autodeterminazione,

In ultimo, Il passaggio dal “diritto vivente” al diritto positivo è culminato in seguito alla promulgazione della L. 22/12/2017 n. 2017. Tale legge infatti ha istituito e sancito l’obbligatorietà e l’imprescindibilità del consenso, quale presupposto di liceità di ogni trattamento sanitario (diagnostico e terapeutico), nonché del diritto del paziente rifiutare la prestazione sanitaria, consolidando così un orientamento ormai radicato tanto in giurisprudenza quanto in dottrina.

Di matrice sovranazionale è invece l’art. 5 della Dichiarazione universale, che statuisce l’obbligatorietà di un consenso “preliminare, libero ed informato” dell’interessato. Anche nella Carta di Nizza si dispone all’art. 3 che: “… Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”. Un’ulteriore ed importante regolazione specifica del consenso informato è contenuto nella “Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’attuale biologia e della medicina” adottata ad Oviedo in data 4 aprile 1997 e ratificata in Italia con la Legge 28 marzo 2001 n. 145. All’art. 5 di detta Convenzione infatti si afferma che: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze ei suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, ritirare liberamente il proprio consenso ”.

In virtù di ciò si evince come tale istituto, quello del consenso informato, non vada considerato unicamente come mero presupposto di liceità della prestazione sanitaria, bensì come diritto fondamentale all’integrità fisica della persona.


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