La Cassazione ammette la fallibilità delle società in house
Con sentenza n. 3196/2017, la prima sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata sul controverso tema della fallibilità delle società in house, concludendo per la compatibilità tra tale ibrido soggetto di diritto e la procedura ex R.D. 16 marzo n.267/1942.
Come noto, sul punto la giurisprudenza e la dottrina hanno a lungo negato la fallibilità della società in house sostenendo che, in quanto soggetto di diritto avente natura pubblicistica, fosse esente dalla portata dell’art. 1 della legge fallimentare.
Tale impostazione è stata tuttavia osteggiata dall’opinione giurisprudenziale (Cfr. Corte di Cassazione n. 22209/2013) secondo cui “la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità“.
Aderendo a quest’ultima impostazione giurisprudenziale, la Corte afferma che vanno respinte le suggestioni dirette ad una compenetrazione sostanzialistica tra tipi societari e qualificazioni pubblicistiche, al di fuori della riserva di legge di cui alla L. n. 70 del 1975, art. 4 che vieta la istituzione di enti pubblici se non in forza di un atto normativo, così ponendo un argine ad una ricognizione interpretativa che assuma dai tratti materiali dell’attività quel titolo ad ogni effetto nei rapporti con i terzi.
Il predetto art. 1 della legge fallimentare disegna l’area di esenzione dalle procedure concorsuali attorno agli “enti pubblici“, non alle società pubbliche.
A sostegno di tale conclusione milita il D.L. n. 95 del 2012, art. 4, comma 13, (cd. spending review) secondo cui “le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina dettata dal codice civile in materia di società di capitali“.
Tale norma è stata successivamente riconfermata dal D.Lgs. n. 175 del 2016, nuovo art. 1, comma 3 (“Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato“).
Inoltre, il d.Lgs. n. 175 del 2016, art. 14 ha ribadito il principio secondo cui “le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi di cui al D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, e al D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 febbraio 2004, n. 39“.
Pertanto, dalla disanima congiunta di tali argomentazioni, la Corte afferma il principio di diritto secondo cui “In tema di società partecipate dagli enti locali, anche nella forma della società in house, la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità”.
Per ulteriori approfondimenti sull’argomento si veda:
Gli ermellini confermano il recente dettato normativo: anche le società in house providing possono fallire
Società a partecipazione pubblica: la Cassazione conferma l’assoggettabilità al fallimento
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Rita Claudia Calderini
Avvocato abilitato presso la Corte di Appello di Napoli. Dottoressa in giurisprudenza con votazione 110 e lode presso l'Università Federico II. Specializzata in professioni legali. Attualmente risiede a Milano in quanto partecipante del master Diritto e Impresa presso la Business school del Sole24ore.