Il contrasto fra giudicati e la sopravvenienza e scoperta di prove nuove nella revisione
La revisione, disciplinata dagli artt. 629 e ss. del Codice di Procedura Penale, è un mezzo di impugnazione cosiddetto “straordinario”, in quanto a differenza dai mezzi di impugnazione ordinari quali l’appello e il ricorso per cassazione , può essere azionato dal soggetto interessato senza limiti di tempo, a decisione ormai divenuta irrevocabile. Il carattere straordinario di tali mezzi di impugnazione deriva proprio dal fatto che essi hanno ad oggetto decisioni ormai divenute intangibili, in quanto passate in giudicato.
L’art. 630 c.p.p. stabilisce che l’esperibilità del mezzo di impugnazione in casi: a) contrasto tra giudicati: b) sentenza o decreto penale di condanna hanno ritenuto sussistente un reato sulla base di una sentenza civile o amministrativa, poi revocata; c) sopravvenienza o scoperta di prove nuove dopo la condanna, alla luce delle quali il condannato deve essere prosciolto; d) dimostrazione del fatto che la sentenza di condanna è stata pronunciata in conseguenza di falsità di atti o in giudizio o in conseguenza di un altro fatto previsto dalla legge come reato.
Particolare rilevanza assumono i casi del contrasto fra giudicati di cui all’art. 630, c. 1, lett. a) c.p.p. -e della scoperta o sopravvenienza delle prove nuove di cui all’art. 630, c. 1, lett. c).
In relazione all’ ipotesi di revisione della sentenza penale di condanna, con riguardo alla specifica ipotesi della inconciliabilità fra sentenze irrevocabili, secondo un recente indirizzo giurisprudenziale, il concetto di inconciliabilità si fonda su una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici sui quali si fondano le diverse sentenze, tra la realtà fattuale come accertata nelle diverse sedi processuali, dando rilievo all’errore di fatto e non alla contraddittorietà logica tra le diverse valutazioni effettuate nelle distinte sentenze (Corte di cassazione, sezione VI penale, sentenza 23 aprile 2018 n. 18086).
In tema di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili, fondamentale è anche la distinzione tra fatti e giudizi o valutazioni poiché, mentre la differenza di valutazioni è connaturata all’attività giurisdizionale che trova il suo momento conclusivo in un apprezzamento – logicamente motivato ma discrezionale – sul materiale probatorio acquisito al processo, l’ordinamento non può invece consentire che i fatti, il cui accertamento costituisce la premessa del giudizio, siano ritenuti esistenti da un giudice e inesistenti da un altro giudice. Insomma la realtà fattuale posta a fondamento delle decisioni giudiziarie deve essere incontrovertibile; la valutazione di questa realtà può invece essere diversa. È quindi inevitabile che, fermi restando i fatti accertati nei diversi processi, giudici diversi possano apprezzarli diversamente (Corte di cassazione, sezione II penale, sentenza 9 febbraio 2017 n. 6289).
Altra ipotesi è quella della sopravvenienza e scoperta di prove nuove Il problema consiste nello stabilire quando si è in presenza di una prova nuova , nel senso che va determinato rispetto a che cosa la prova sia ritenuta “nuova”[1].
Quanto alla decodificazione del concetto di “prova nuova”, si impone una premessa : quello che sessanta anni fa, doveva costituire un mero auspicio per il superamento della mancanza in dottrina[2] di un’approfondita ed esauriente indagine , diretta a precisarne, il significato ed il valore, si é invece, delineata una piattaforma interpretativa più stabile di quanto si possa ipotizzare.
Vero punctum dolens, sotto il profilo ermeneutico, è stabilire se integri il novum[3] solo la prova non acquisita , o anche la prova acquisita al processo, ma non valutata[4] dal giudice di merito.
In materia vi è stato un notevole contrasto da parte della dottrina e della giurisprudenza.
La dottrina prevalente, prima della nuova codificazione riteneva, sul presupposto che la finalità dell’istituto è quella di predisporre un rimedio all’eventuale ingiustizia di una condanna inflitta per errore, riteneva che la novità degli elementi di prova dovesse essere intesa in senso lato, assegnando valore esponenziale non solo all’insorgenza del fatto oggetto di prova (“noviter reperta”), ma anche alla sua produzione e valutazione (“noviter producta”). Va immediatamente specificato, peraltro, come la distinzione fra “noviter reperta”e “noviter producta”riveste ormai valore meramente classificatorio, dal momento che, sia in dottrina che in giurisprudenza, l’indirizzo prevalente è orientato ad ammettere la prova noviter producta.
Facendo leva sul carattere eccezionale della revisione, e temendo un uso eccessivamente disinvolto della stessa, si escludeva che si connotasse della novità la prova comunque acquisita al processo, anche se la stessa non era stata oggetto di valutazione nel precedente giudizio.
Una tesi meno restrittiva[5], ispirata al favor reparationis, stabilisce invece che può essere considerata nuova ha affermato che “in tema di revisione, per prove nuove rilevanti a norma dell’art. 630 c.p.p., lett. c) ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purchè non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario
Il requisito della novità dipende quindi unicamente dal fatto che le prove abbiano formato oggetto di un precedente apprezzamento giudiziale[6], restando irrilevante la loro acquisizione agli atti del processo e pertanto, l’eliminazione della sentenza di condanna divenuta irrevocabile trae origine da una ricostruzione che muove da ciò che il giudice non aveva inizialmente valutato[7].
Ciò giustifica il recupero, mediante impugnativa straordinaria, anche di quelle risultanze fattuali mai esaminate nel corso del giudizio di merito , così da comprendere tra i nuovi elementi di prova anche quelli già esistenti agli atti, ma né conosciuti né valutati, purché idonei a valutare in senso favorevole l’apprezzamento di quelle già raccolte nel precedente processo.
Infatti la distinta previsione da parte dell’art.630 c. p. p “ della sopravvenienza e della scoperta delle nuove prove” respinge il tentativo ermeneutico di agganciare la nozione di novum rilevante ai fini della revisione al criterio dell’acquisizione processuale che, imperniato sulla presenza di un determinato elemento tra le risultanze processuali, non consentirebbe di differenziare la scoperta di prove preesistenti fuori dal processo della loro sopravvenienza ed impone di attingere, per assicurare reciproca autonomia definitoria a tali fenomeni normativi, all’oggetto della valutazione compiuta dal giudice a quo. Tale valutazione trasferendo, da un punto di vista processuale, dal non noto al noto il dato probatorio , fa sì che l’area semantica segnata dal concetto di nuova prova ex art. 630 lett. c) c.p.p. possa essere in parte occupata dalle prove già acquisite al processo, ma sfuggite all’esame del giudice, e come tali successivamente scoperte, e per la restante parte dalle prove che, essendo invece rimaste estranee al processo definito con sentenza irrevocabile, con la successiva richiesta di acquisizione sopravvengono.
D’altronde, il testo dell’art. 630 lett. c) c.p.p., contrapponendo alle «nuove prove» quelle «già valutate», conferma come il confine tra fattispecie rilevanti ai fini della revisione e situazioni non interessanti la sfera di pertinenza di tale rimedio straordinario debba essere individuato nel momento valutativo- Che la mera precedente acquisizione al processo delle prove dedotte con la richiesta di revisione non sia ostativa all’ammissibilità del rimedio straordinario emerge indirettamente, altresì, dal divieto posto al giudice, al fine di evitare la metamorfosi del giudizio di revisione in un ulteriore grado di giudizio, dall’art. 637 comma 3 c.p.p. di «pronunciare il proscioglimento sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio»[8].
Ma «allorché la valutazione è mancata illo tempore, la prova assunta allora può essere valutata come novum in sede di revisione e fungere da tramite per una rivalutazione globale delle prove già valutate in precedenza» : il limite enunciato dall’art. 637 comma 3 c.p.p. inibisce soltanto l’ esclusiva diversa valutazione delle prove già acquisite, non copre invece le ipotesi di osmosi valutativa delle prove in precedenza sfuggite all’esame del giudice con quelle già valutate.
Inoltre, sul piano dell’interpretazione sistematica, non può contestarsi che l’ingresso nel sistema giudiziale dei rimedi revocatori del giudicato di quanto «non escluso» dal giudice della cognizione indica l’accoglimento ad opera del legislatore del 1988, sul piano degli interventi in favor rei, di una nozione «debole» dell’efficacia preclusiva del giudicato in senso oggettivo, destinata ad esplicarsi nei limiti del «deciso», anziché del «dedotto» (e non deciso) ovvero, prima ancora, del «deducibile»
Il giudice di legittimità si è occupata in tempi più o meni recenti dell’impiego di nuove tecniche quale novum in tema di revisione, affermando che la novità della prova scientifica può essere correlata all’oggetto stesso dell’accertamento oppure al metodo scoperto o sperimentato successivamente a quello applicato nel processo ormai definito, a condizione che risulti idoneo a produrre nuovi elementi fattuali. E, in quest’ultimo caso, la Corte aggiunge che spetta al giudicante la valutazione in ordine alla possibilità, da un canto, che la nuova metodologia conduca a risultati diversi, dall’altro, che questi, soli o uniti con gli elementi già valutati, facciano sorgere il ragionevole dubbio della non colpevolezza.
Il sindacato sulla novità della prova scientifica deve passare attraverso una serie di valutazioni. Anzitutto, deve vagliarsi la novità del metodo proposto; in secondo luogo, è necessario provvedere ad accertare la scientificità dello stesso; in terzo luogo, deve applicarsi il nuovo metodo scientifico alle prove diversamente valutate nel giudizio di merito; inoltre, il giudice deve operare un giudizio di concreta novità delle risultanze ; infine, gli elementi così ottenuti devono essere valutati nel contesto delle prove raccolte in precedenza, così da decidere se sono idonei a mutare la res iudicata.
[1] M. Boschi, Sul novum deducibile in sede di revisione, in Foto it., vol. II, 1965, c. 301; M. Vessichelli, Le “nuove prove” nella revisione, in Cass. pen., 1992, p. 1065.
[2] F. Cordero, Procedura Penale, 3ª ed., Giuffrè, 1995, p. 1060; A. Galati, Le impugnazioni, in D. Siracusano-A. Galati-G. Tranchina-E. Zappalà, Diritto processuale penale, vol. II, Giuffrè, 1995, p. 550; M. Pisani, Le impugnazioni, in M. Pisani-A. Molari-V. Perchinunno-P. Corso, Manuale di procedura penale, Monduzzi, 1996, p. 591.
[3] R. Adorno, Il concetto di “prove nuove” ai fini della revisione, in Cass. pen., 1999, p. 2609.
[4] Cass. sez. I, 19 dicembre 1995, Galeazzi, in C.E.D. Cass., n. 203604; Cass-Sez. I, 27 febbraio 1993, Curreli, ivi, n. 193994; Sez. II, 27 marzo 1992, Barisano, ivi, n. 192251; Sez. I, 20 gennaio 1992, Castaldo, in Giur.it., 1992, II, c. 644; Sez. VI, 17 gennaio 1991
[5] Cass- pen S. U. sent. n. 624 /2001
[6] G. De Donno, Prova «sopravvenuta» e prova «non valutata» ai fini della revisione , in Giur.it., 1996, II, c. 17
[7]P. Battistelli, Rilievi minimi in tema di “novità” della prova nel giudizio di revisione, in Giur. it., 1997, II, p. 292; Bargis, Prove nuove ai fini della revisione, ivi, 1992, II, p. 772; C. Ermini, Appunti sul concetto di novum nel giudizio di revisione, in Cass. pen., 1992, p. 279
[8] G. Dean, La revisione, in AA.VV., Le impugnazioni penali. Trattato diretto da A. Gaito, Utet, 1998, p. 818.
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