Il contratto atipico di parcheggio e la tutela del consumatore

Il contratto atipico di parcheggio e la tutela del consumatore

Ogni qual volta si immette la propria autovettura in un’area di parcheggio a pagamento, anche quando questa è gestita in forma automatica, si conclude un contratto di parcheggio che non trova il suo fondamento in una specifica tipizzazione normativa, ragione per la quale lo stesso viene identificato come atipico.

Il contratto in questione si conclude, come osserva la giurisprudenza che tipizza l’istituto in maniera conforme da tempo, “per facta concludentia”, ovvero proprio nel momento in cui l’automobilista lascia l’autovettura nell’area in questione.

Le considerazioni più prettamente giuridiche, che andremo di seguito a fare, non devono spaventare il lettore comune che, molto probabilmente, si sarà interrogato, lasciando la propria autovettura in uno di questi parcheggi, che sono tipici degli aeroporti o delle grandi città, su quale sarebbe potuta essere la sorte della sua autovettura e, soprattutto, che tipo di responsabilità gravasse in capo al gestore del parcheggio stesso. Queste considerazioni, infatti, hanno quasi la forma di un vademecum, di una guida per il consumatore.

Il primo aspetto da tenere in considerazione è che trattandosi di un contratto atipico è necessario trovare una disciplina cui si possa fare riferimento puntando sul numero maggiore di analogie possibili.

In ragione del fatto che quello alla nostra attenzione è un contratto che ha come oggetto la messa a disposizione di uno spazio unito alla custodia del veicolo, si fa riferimento al contratto di deposito (art. 1766 c.c.). L’obbligo di custodia, per quanto non tipizzato esplicitamente, viene ad essere oggetto di presunzione, poiché colui che immette il veicolo nell’area, quando questa è recintata, protetta da un cancello/sbarra e così via, viene indotto a ritenere che questa tutela sia implicita, ovvero non abbia bisogno di una specifica ed esplicita pattuizione. Come argomenta la giurisprudenza su questo punto si può sostenere che nell’utente venga indirettamente ingenerato l’obbligo di affidamento.

Dopotutto è possibile anche fare riferimento a quanto stabilito dall’articolo 1177 c.c., in ragione del quale abbiamo la tipizzazione normativa della correlazione tra conservazione di un bene e l’obbligo di custodia del bene stesso.

Si argomenta ancora, a questo riguardo, che la lettura dell’articolo 1766 c.c., la cui disciplina come detto è applicabile al contratto atipico di parcheggio, impone l’obbligo di custodia ovvero impone nella custodia, da parte del custode medesimo, il ricorso alla diligenza del buon padre di famiglia.

Inoltre a nulla valgono eventuali avvisi o condizioni di esclusione di obbligo di custodia laddove non oggetto di contrattazione specifica poiché l’utente non è in grado di prenderne compiuta coscienza visto il modo rapido con cui si perfeziona e conclude il contratto. Sul punto è importante sottolineare come la Giurisprudenza, di merito e di legittimità, sia assolutamente conforme a partire dal pronunciamento della Cassazione n. 3863/04.

Nonostante questo granitico orientamento si deve osservare come esista anche un filone interpretativo che ritiene che il contratto in parola possa essere assimilato alla locazione ed, in particolare, alla locazione d’area. Questa interpretazione, particolarmente caldeggiata, come è intuibile, dagli avvocati che difendono i parcheggi, porterebbe a delle conseguenze diverse, per il consumatore, nel caso in cui il suo veicolo gli venga restituito danneggiato, proprio per il diverso regime di responsabilità che grava in capo al locatore rispetto a quelle che grava in capo al custode.

Si tratta di un approccio comprensibile e diffuso anche nelle ipotesi in cui si sia in presenza di aree di sosta pubbliche, come i parcheggi comunali, che basano le loro difese sulla circostanza per la quale il contratto venuto in essere con il cittadino, che nello specifico è colui che parcheggia l’autovettura, avrebbe quale unico oggetto la messa a disposizione dello spazio e non già il relativo onere di custodia, nell’accezione di salvaguardia del bene stesso.

Data la specifica natura del soggetto che fornisce il servizio ed, onde evitare, nella prassi, un dilagare delle controversie legali, sul punto è intervenuta già da tempo la Cassazione a Sezioni Unite che ha ritenuto di escludere la responsabilità della Pubblica Amministrazione per eventuali danni solo nell’ipotesi in cui nell’area a cui si faccia riferimento sia fatta esplicita menzione della mancanza di custodia, ad esempio mediante affissione di cartelli ben visibili in cui si precisa che il parcheggio non è custodito (Cassazione Civile, Sezioni Unite, 14139/2011).

Ponendosi, invece, dalla più virtuosa parte del consumatore e del suo legale si può argomentare come il contratto in parola debba essere ricondotto a quello di deposito proprio per le considerazioni svolte innanzi ed, in particolare, poiché l’utente è indotto a ritenere che, viste le recinzioni e tutti i meccanismi di tutela, il suo veicolo sia protetto, controllato e tutelato. Dopotutto si può argomentare, al contrario, che chi pone in sosta la sua vettura in un’area non recintata e protetta agisce nella consapevolezza del rischio che si assume.

In estrema sintesi si può argomentare che qualificare il contratto in questione come un contratto atipico di deposito derivi dal fatto che gli elementi che lo qualificano portano a generare, come detto, un affidamento “finalizzato” alla custodia del veicolo.

La prassi ci porta ad osservare come, in particolare presso gli uffici dei Giudici di Pace, vi sia un consistente ricorso dei cittadini nei confronti dei parcheggi che si trincerano dietro le motivazioni cui abbiamo fatto riferimento e dietro la scusante rappresentata da condizioni contrattuali apposte agli ingressi.

Se è vero, da una parte, che per lungo tempo la giurisprudenza, pur riconoscendo la natura contrattuale del rapporto, ha trovato una causa di giustificazione per il parcheggio in questa apposizione di condizioni contrattuali è altrettanto vero che esiste anche parte di giurisprudenza che ha svolto un lavoro più approfondito e che ha avuto modo di argomentare in modo più compiuto.

I soggetti resistenti, nella casistica, tendono a trincerarsi dietro la qualificazione del contratto come un contratto di locazione di area ed anche dietro il fatto che la presunta esclusione di responsabilità sia da ravvisarsi nelle citate condizioni contrattuali unilaterali esposte agli ingressi.

La locazione di area, secondo questo orientamento, sarebbe preferibile poiché tecnicamente il proprietario dell’autoveicolo non consegna mai le chiavi al gestore del parcheggio e, nella gran parte dei casi, le continua a detenere, sostanzialmente non affidando a quest’ultimo il suo autoveicolo.

Questa interpretazione non è applicabile all’ipotesi del contratto atipico di parcheggio nel quale, pur se il proprietario effettivamente non consegna mai davvero il bene al gestore dell’area, è anche vero che lo stesso è indotto a ritenere di averglielo affidato.

Questo avviene principalmente perché l’automobilista riconosce nel luogo recintato un luogo protetto specialmente nelle ipotesi in cui vi sia una sbarra automatica all’ingresso o un cancello o comunque un meccanismo che delimita l’accesso all’area solo a coloro che effettivamente intendano utilizzare l’area.

Nel contratto di parcheggio atipico l’elemento costitutivo del contratto è l’affidamento in custodia, ovvero l’affidamento finalizzato, che ingloba in sé tutte le prestazioni accessorie, tra cui anche quella di noleggio dell’area.

Sotto altro profilo si argomenta che l’affidamento che non si perfeziona mediante la consegna delle chiavi si perfeziona ugualmente grazie al consenso del titolare del parcheggio all’immissione dell’autovettura o, nelle aree automatizzate, nel non impedire l’accesso del veicolo all’area.

A nulla vale, per escludere la responsabilità, invocare l’esclusione di responsabilità desumibile dall’affissione di condizioni contrattuali e clausole all’ingresso delle aree di sosta su cartelloni per due ordini di motivi. In primo luogo il consumatore che entra nell’area non ha il tempo di leggere tutte le clausole indicate e, soprattutto, come conferma anche la Cassazione sul punto, le clausole che limitano la responsabilità devono essere considerate come clausole vessatorie se non approvate specificamente e in maniera scritta e, pertanto, nulle (sul punto Cassazione Civile, sentenza 16079 del 2002).

La circostanza per la quale l’automobilista varchi l’ingresso non può essere interpretata come una accettazione esplicita di tutte le eventuali clausole predisposte dal titolare dell’area di parcheggio.

Da queste considerazioni emerge, dunque, come il contratto atipico di parcheggio abbia ormai una sua compiuta e solida qualificazione che trova dimostrazione nei pronunciamenti giurisprudenziali pur se non molto frequenti che spesso trovano il loro primo riconoscimento nelle sentenze dei Giudici di Pace, come la sentenza n. 53/19 del Giudice di Pace di Benevento.


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