Il contratto: causa in concreto e negozio in frode alla legge

Il contratto: causa in concreto e negozio in frode alla legge

L’analisi della causa, quale elemento indefettibile del contratto, impone una breve disamina dei principi su cui si fonda l’intera disciplina codicistica dettata in materia di negozi giuridici, nonché un’attenta analisi delle patologie che, consistenti talvolta nella mancanza dell’elemento causale o, altre volte, nella illiceità dello stesso, finiscono per incidere inevitabilmente sulla validità o sull’efficacia del negozio giuridico in esame.

Con riferimento alla prima questione viene in rilievo come il contratto appartenga al genus del negozio giuridico, inteso come la manifestazione di volontà proveniente dal singolo e tesa a costituire, modificare o estinguere un determinato rapporto giuridico. Ne deriva che il negozio, rispetto al quale il contratto costituisce una species centrale, è espressione di un diritto di libertà ed, in particolare, della libertà di autodeterminazione che l’ordinamento riconosce al singolo al fine di regolamentare i propri interessi. In altri termini, il negozio giuridico potrebbe definirsi come un atto di autonormazione per il tramite del quale le parti si vincolano reciprocamente e volto a spiegare i suoi effetti soltanto nei confronti dei suoi autori secondo il principio di relatività e intangibilità della sfera giuridica di soggetti terzi, estranei al negozio medesimo.

Tuttavia, la libertà negoziale riconosciuta ai singoli non è da considerare illimitata. Invero, la libertà di autoregolamentarsi e di scegliere se e come perseguire i propri interessi, sebbene sia più ampia in astratto, è certamente più limitata nel concreto posto che essa trova un limite invalicabile nel rispetto dei principi supremi dell’ordinamento, quali possono definirsi i principi costituzionali, l’ordine pubblico, il buon costume, nonchè il principio dell’equilibrio delle prestazioni inteso in termini di ragionevolezza, liceità e proporzionalità delle stesse.

Il negozio giuridico, lato sensu inteso, è assoggettato ad un controllo di giustizia sia sotto il profilo oggettivo, sia soggettivo. Più specificatamente, si parla di negozio oggettivamente giusto quando le prestazioni, dedotte dalle parti, siano proporzionali in senso normativo; viceversa, si discorre di negozio soggettivamente giusto allorquando si perfeziona mediante una procedura regolare e valida, priva di vizi del consenso (dolo, violenza, ecc.) o di qualsivoglia forma di abuso di una parte contrattuale a danno dell’altra.

Così argomentando, si evince come i suddetti principi trovino applicazione anche con riferimento al contratto trattandosi del negozio giuridico per eccellenza.

La definizione di contratto è abbastanza complessa e di difficile comprensione. Nel nostro sistema la norma di riferimento è l’art. 1321 c.c. in virtù del quale “il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Da una lettura testuale della norma, appare evidente come il legislatore, nel tentare di fornire una nozione puntuale e precisa di contratto, ha inteso mettere in evidenza il principio consensualistico sotteso e necessario al perfezionamento del contratto, al pari di quanto sostenuto dalla maggior parte degli ordinamenti europei.

Oltre a definire il contratto, il Codice Civile ne elenca anche gli elementi essenziali all’art.1325. La norma de qua individua, quali requisiti essenziali e strutturali del contratto, l’accordo, la causa, l’oggetto e la forma quando sia prevista, a pena di nullità, dalla legge.

Sul punto non è mancato chi ha sollevato alcune obiezioni in ordine all’elemento dell’accordo e della forma. Più specificatamente, a parere di alcuni autori, l’art. 1325 c.c. metterebbe insieme elementi costitutivi ed elementi di legittimità del contratto.

In ordine al requisito dell’accordo, si è detto che l’incontro di due o più volontà, facenti capo a soggetti diversi, non rappresenti un elemento costitutivo del contratto, bensì l’essenza di questo. Ne deriva che, in mancanza dell’accordo, il contratto non è nullo ma completamente inesistente. Analoga considerazione è stata fatta con riferimento al requisito della forma. Considerata come veicolo attraverso il quale la volontà delle parti viene manifestata all’esterno e portata a conoscenza dei terzi, essa si eleva ad elemento costitutivo del contratto; di contro, intesa nell’accezione di forma solenne che il negozio deve assumere a pena di nullità si atteggia quale requisito di legittimità del contratto.

Nulla quaestio sorge in ordine alla causa, quale ulteriore e diverso elemento costitutivo del contratto.

Sul punto mette conto segnalare come il nostro sistema, ai fini della validità e del perfezionamento del contratto, ritenga condizione necessaria, ma non sufficiente, l’accordo tra le parti richiedendo, altresì, una causa- ragione giustificatrice che le abbia indotte a stipulare il contratto.  Tale considerazione muove dall’assunto che il nostro ordinamento, contrariamente alla maggior parte dei sistemi europei che sposano un concetto di “contratto acausale”, si fonda su quel generale principio di necessaria causalità secondo il quale tutti gli spostamenti patrimoniali da un soggetto ad un altro devono essere giustificati. Trattasi di un principio valevole per tutti i negozi giuridici inter vivos, a prescindere dal carattere tipico o atipico e dalla forma solenne o libera, che in alcun modo può essere derogato dalle parti.

In altri termini, il principio di necessaria causalità denota l’aspetto funzionale del contratto, ossia la funzione che lo stesso deve assolvere nell’interesse delle parti contraenti.

Tale aspetto, caratteristico dell’ordinamento italiano, non riveste la medesima importanza in altri sistemi giuridici, quale quelli di common law, nei quali quello che conta è l’accordo delle parti. E’ il nudo consenso, ossia il mero patto, che giustifica gli effetti obbligatori e reali del negozio senza che sia, altresì, necessario indagare sulla ragione sottesa al consenso medesimo. Difatti, l’indagine giudiziale è volta a verificare la sola effettività del consenso e non anche la ratio dello stesso, rimessa alla non sindacabile sfera intima del singolo.

Sulla scorta di tali considerazioni, appare evidente come il nostro sistema abbia sposato un’impostazione diametralmente opposta dal momento che richiede, ai fini della validità e dell’efficacia vincolante del contratto, non solo il consenso delle parti ma anche la necessaria esistenza di una ragione-funzione oggettiva ed apprezzabile che giustifichi l’intera operazione negoziale.

Ciò posto, occorre chiedersi in questa sede cosa il legislatore abbia voluto intendere con il concetto di causa non potendo rintracciare, all’interno del Codice Civile, una definizione puntuale e precisa del termine.

Intorno alla nozione di causa, nel corso degli anni, sono state elaborate in dottrina diverse teorie. Secondo i sostenitori della teoria oggettiva, la causa può essere definita come la “funzione economico- sociale” del contratto. Tale definizione, accolta dal Codice del 1942, finiva per far coincidere la causa del contratto con gli effetti da questo scaturenti. In particolare, si riteneva che, mediante la stipula del negozio giuridico in esame, le parti, oltre ad ottenere un profitto economico, perseguivano anche un fine-scopo socialmente utile, coincidente con un fine di natura pubblicistica.

Ben presto a questa tesi, aderente ad una nozione di causa in astratto, si contrappose una diversa concezione secondo la quale la causa del contratto è il fine perseguito dai singoli nel loro esclusivo interesse e, come tale, non spetta alla legge fissare la causa del contratto, ma sono le stesse parti che manifestano una volontà orientata in tal senso.

La suddetta tesi, semi-oggettiva o altrimenti detta della funzione economica-individuale, sposa una nozione di causa in concreto poiché guarda allo scopo che i singoli intendono perseguire. Trattandosi, dunque, di finalità individuali soggiacciono ad un rigoroso controllo giudiziale sia in termini di conformità alla legge, sia in termini di idoneità del contratto rispetto al fine perseguito. Nel dettaglio, si tratta di un controllo negativo poiché volto a verificare la non illiceità del contratto, e un controllo positivo atto a verificare l’idoneità della tipologia contrattuale prescelta a perseguire, nel concreto, lo scopo individuato e voluto dalle parti.

Avverso le teorie testè esposte sono state avanzate, da una parte della dottrina e della giurisprudenza, alcune critiche. Più specificatamente, in ordine alla teoria oggettiva, si è obiettato che se la causa del contratto debba essere rintracciata nella funzione economica e socialmente utile dallo stesso perseguita, non sarebbe configurabile un contratto tipico o nominato con causa illecita. Tale considerazione muove dall’assunto che i contratti tipici seguono uno schema negoziale predeterminato nella sua complessiva struttura dal legislatore e, dunque, anche nel suo elemento funzionale. Sicchè non potrebbe ipotizzarsi, o anche solo immaginarsi, un contratto nominato per il tramite del quale si intenda perseguire una finalità contra jus.

Parimenti criticabile è risultata essere la teoria della funzione economica-individuale poiché questa, a parere di alcuni, porterebbe ad una sovrapposizione della causa con i motivi del contratto. In altri termini, si è detto che la teoria semi-oggettiva finirebbe per far coincidere la causa con i motivi del contratto discostandosi così da quell’impostazione, prevalente, secondo cui la causa è diversa dai motivi del contratto. Difatti, mentre la prima è requisito essenziale ed indefettibile del negozio, i motivi non hanno rilevanza giuridica, né incidono sulla validità del contratto poiché si identificano nelle ragioni individuali che spingono il singolo a stipulare il contratto. Nel dettaglio, i motivi, che possono essere i più disparati, costituiscono il movente che inducono le parti a stipulare il negozio e influenzano in maniera decisiva l’an del contratto. Così argomentando, si evince come i motivi riguardino il contraente, mentre la causa, che è unica, riguarda il contratto.

La distinzione fra causa e motivi è netta ove si accolga la teoria della funzione economico-sociale del contratto, mentre risulta meno nitida ove si accolga la teoria della causa in concreto poiché in quest’ultimo caso i motivi, fuoriusciti dalla sfera intima del soggetto, assurgono a funzione del contratto.

Quanto testè detto ha trovato conferma in alcune pronunce della Suprema Corte con riferimento alla nuova fattispecie contrattuale del c.d. pacchetto turistico tutto compreso. Trattasi di un contratto che le parti decidono di stipulare con la precipua finalità turistica o per il perseguimento di uno scopo di mero piacere. Sul punto, la Corte ha precisato che nel contratto in oggetto la finalità turistica non è un motivo irrilevante, ma si sostanzia nell’interesse che il contratto è funzionalmente volto a soddisfare, connotandone così la causa in concreto. Di contro, i sostenitori della teoria oggettiva ritengono che, anche con riferimento al contratto del pacchetto turistico tutto compreso, sia possibile scindere, in maniera chiara e nitida, la causa del contratto dai motivi. Invero, la causa della nuova fattispecie contrattuale non va rintracciata nella finalità turistica che, invece, costituisce il motivo dell’agire negoziale delle parti, bensì nello scambio di prestazioni fra l’organizzatore del viaggio che si impegna a fornire l’intero pacchetto all’altra parte e l’utente che paga il prezzo a titolo di corrispettivo.

In definitiva, parte della dottrina, auspicando un intervento legislativo più incisivo intorno alla nozione di causa, ritiene che la teoria della causa in concreto, nell’ignorare la distinzione che intercorre fra causa e motivi del contratto, determina una sostanziale abrogazione di quelle norme codicistiche dettate in materia di contratto in frode alla legge e del motivo illecito.

A questo punto, prima di esaminare la natura e i caratteri fondamentali del negozio in frode alla legge, mette conto segnalare come la finalità illecita dello stesso costituisca una delle ipotesi tipiche di patologia dell’elemento causale che determina la nullità della pattuizione ex art. 1343 c.c. al pari di quanto avviene nell’ipotesi di mancanza di causa.

Orbene, il contratto in frode alla legge è un contratto che si caratterizza per essere un negozio indiretto con finalità illecita.

Con tale espressione, il legislatore ha inteso mettere in evidenza come il contratto de quo, pur non violando direttamente la legge poiché il suo contenuto non integra un risultato vietato e proibito, incorra nella violazione di legge in maniera indiretta o trasversale. Difatti, il contratto stipulato dalle parti, di per sé lecito, si inserisce in un più ampio procedimento negoziale volto a realizzare un interesse diverso ed ulteriore rispetto a quello tipico e, al contempo, vietato dalla legge. Basti pensare al caso di un soggetto che stipuli con l’altra parte un contratto di mandato irrevocabile in base al quale trasferire la proprietà di un bene, appartenente al debitore, al creditore nell’ipotesi di inadempimento del primo. In siffatta ipotesi, è indubbio che l’intento delle parti fosse quello di realizzare, per il tramite di un negozio tipico e lecito, un risultato vietato dalla legge ed, in particolare, un risultato equipollente a quello previsto per il patto commissorio, assolutamente vietato nel nostro ordinamento.

Venendo ora all’analisi delle caratteristiche del negozio in frode alla legge, si evidenzia come la dottrina, nel corso degli anni, abbia elaborato due diverse teorie, una oggettiva ed una soggettiva.

In ordine alla prima, l’elemento caratteristico del contratto in frode alla legge è il raggiungimento del risultato vietato dalla legge. Tuttavia, questa impostazione non ha convinto parte della dottrina la quale, muovendo dalla considerazione che per il tramite del suddetto negozio si raggiunge un risultato vietato dalla legge, ha sottolineato come alcuna differenza sembri sussistere fra il contratto in frode alla legge e il contratto contra legem. In altri termini, la principale obiezione mossa a siffatta teoria è stata quella di non aver saputo distinguere, in maniera chiara e precisa, le due diverse fattispecie contrattuali.

Pertanto, per cercare di superare l’impasse e le obiezioni mosse alla teoria oggettiva, è stata elaborata la teoria soggettiva secondo la quale, ai fini del perfezionamento del contratto in frode alla legge, devono necessariamente coesistere due requisiti: uno di carattere soggettivo, rappresentato dalla volontà e dalla consapevolezza delle parti di frodare la legge, e uno di carattere oggettivo, inteso come il raggiungimento di un risultato analogo o equivalente a quello specificatamente vietato da una norma proibitiva.

Tuttavia, anche questa teoria è stata oggetto di numerose critiche.  In particolare, si è osservato che, se il contratto in frode alla legge non realizza quello stesso risultato vietato dalla legge bensì un risultato analogo, assoggettarlo alla medesima disciplina prevista per il contratto contra legem si tradurrebbe in un’interpretazione analogica di una norma proibitiva, operazione questa vietata dall’art. 14 delle preleggi. Ed ancora, se si considera che le parti abbiano deciso di stipulare un contratto teso al raggiungimento di un risultato analogo ma non coincidente con quello vietato dalla legge, si dovrebbe concludere nel senso di ritenere assolutamente rispettato lo scopo del divieto.

L’analisi del contratto in frode alla legge è strettamente collegata con il tema della causa del contratto.  Difatti, accogliendo la più risalente tesi della causa quale funzione economico-sociale del contratto, non sarebbe possibile ipotizzare un contratto di questo tipo posto che, trattandosi di un negozio nominato, il legislatore giammai avrebbe potuto porre a fondamento di questo una causa illecita.  Ed allora, si deve ammettere che la disciplina codicistica in tema di contratto in frode alla legge si spiega alla luce della diversa teoria della causa in concreto, altrimenti detta della funzione economica-individuale, secondo cui, al fine della validità e del perfezionamento del contratto, è necessario indagare sullo scopo e sulla finalità concretamente perseguita dalle parti nel loro esclusivo interesse.

In conclusione, mette conto segnalare come il contratto in frode alla legge sia diverso dal contratto in frode ai creditori, ossia quel contratto mediante il quale il debitore sottrae le garanzie patrimoniali al titolare del diritto di credito. Invero, mentre nel primo caso la conseguenza che ne deriva è la nullità del contratto, parametrata alla gravità del vizio, nella seconda ipotesi, invece, il rimedio offerto al creditore frodato è rappresentato dall’azione revocatoria. Con tale azione, infatti, il creditore non mira a far dichiarare nullo il contratto, ma a renderlo inefficace nei suoi confronti al fine di non subire conseguenze pregiudizievoli a causa dell’atto dispositivo e negoziale del debitore. Analoga considerazione può essere fatta anche con riferimento ai contratti in frode o a danno dei terzi. In questi casi, infatti, non si parla di nullità del contratto, ma di inefficacia dello stesso relativamente alla posizione del terzo danneggiato.


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