Il contratto di factoring: la posizione del debitore ceduto e le eccezioni opponibili al cessionario

Il contratto di factoring: la posizione del debitore ceduto e le eccezioni opponibili al cessionario

Nota a Cass. civ., sez. I, n. 24657 del 2.12.16

Presidente: Salvago. Estensore: Valitutti. Relatore: Valitutti. P.M.: Cardino

Premessa

Nella sentenza in epigrafe la Corte rigetta il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila, emessa in riforma dell’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo del Tribunale di Chieti. La Corte affronta la questione, in materia di factoring, delle eccezioni opponibili dal debitore ceduto al cessionario, confermando il principio di diritto per cui il primo non può opporre al secondo le eccezioni fondate su fatti estintivi o modificativi che siano intervenuti successivamente alla notificazione della cessione del credito al debitore.

Il caso all’attenzione della Corte

Occorre dare atto brevemente della vicenda. Nel 1999 la Diocesi Fabriano e Matelica stipulava un contratto di appalto con l’impresa Bozzi Restauri sas, avente ad oggetto la ristrutturazione e il risanamento di un edificio di culto danneggiato dal recente sisma.

L’art. 5 del contratto di appalto prevedeva che i compensi dell’impresa appaltatrice sarebbero stati determinati in conformità ai finanziamenti ricevuti del Comune (ente finanziatore) dal soggetto appaltante.

Successivamente, l’impresa Bozzi Restauri sas stipulava un contratto di factoring con Serfina Banca spa (factor); in adempimento di tale negozio, l’impresa cedente cedeva al factor il credito sorto dall’esecuzione dell’appalto nei confronti della Diocesi Fabriano e Matelica. La cessione del credito veniva notificata e accettata dal debitore ceduto nel novembre 2002.

Nel 2005 interveniva una deliberazione comunale, con la quale il Comune detraeva dall’importo da erogare alla Diocesi la somma corrispondente ai debiti dell’impresa appaltante nei confronti degli enti previdenziali, dovuti ad accertate irregolarità contributive.

Di conseguenza, la Diocesi rimaneva inadempiente nei confronti del factor, il quale chiedeva e otteneva decreto ingiuntivo, col quale intimava il pagamento del credito. La Diocesi proponeva opposizione al predetto decreto, eccependo l’intervenuta estinzione del credito per un fatto attinente alla fonte negoziale del medesimo. Il Tribunale di Chieti accoglieva l’opposizione.

Il factor interponeva appello avverso la sentenza di primo grado, richiamando l’unanime orientamento della giurisprudenza di legittimità e della dottrina che non ritiene opponibili al creditore le eccezioni fondate su fatti estintivi o modificativi intervenuti successivamente alla notificazione della cessione del credito al debitore ceduto.

La Corte d’Appello dell’Aquila accoglieva il gravame sulla base della regola richiamata dagli appellanti, e avverso tale sentenza ricorreva in Cassazione la Diocesi.

Il Supremo Collegio, applicando il principio di diritto accolto in appello, confermava la sentenza della Corte d’Appello. La determinazione comunale che riduceva i finanziamenti alla Diocesi costituiva un fatto estintivo del credito verificatosi successivamente alla notificazione, sicché risultava inopponibile al factor.

Brevi cenni sul factoring

Secondo l’impostazione maggioritaria in dottrina e in giurisprudenza[1], il contratto di factoring non è stato tipizzato dalla l. 52/1991[2]. Tale provvedimento legislativo si è limitato a disciplinare gli aspetti più difficili da armonizzare con la disciplina codicistica, sicché il factoring rimane un contratto atipico.

Attraverso il contratto di cessione di crediti d’impresa, l’impresa cedente cede o si obbliga a cedere in blocco la titolarità dei crediti presenti e/o futuri derivanti dall’esercizio dell’impresa al cessionario, denominato factor. Trattandosi di una forma di cessione di credito, ancorché caratterizzata da alcuni aspetti peculiari, la disciplina applicabile è quella delineata dagli art. 1260 ss. cc., salvo le disposizioni speciali previste dalla l. 52/1991.

Il factoring può realizzarsi attraverso due differenti schemi negoziali.

Un primo schema prevede l’effetto traslativo immediato dei crediti d’impresa esistenti nel patrimonio del cedente; per quanto attiene ai crediti futuri, la realizzazione dell’effetto traslativo viene differita al momento della venuta in esistenza dei medesimi. Questa tipologia di factoring non comporta pertanto, ai fini dell’effetto traslativo, un obbligo di trasferimento in capo al cedente dei crediti futuri. È necessario, ma anche sufficiente, che i crediti vengano ad esistenza perché si verifichi l’effetto traslativo.

Il secondo modello di cessione dei crediti d’impresa prevede invece l’obbligo in capo al cedente di trasferire al cessionario i crediti futuri[3]. Di conseguenza, dal contratto di factoring nasce l’obbligo di effettuare le singole cessioni del credito al momento del sorgere dei crediti, in adempimento della convenzione di factoring[4]. Spesso, queste ultime prevedono tale obbligo soltanto in capo al cedente, in quanto il cessionario si riserva di accettare la cessione dei singoli crediti.

La causa del contratto de quo è stata definita dalla dottrina “cangiante”, poiché varia a seconda del concreto regolamento contrattuale adottato dalle parti[5]. Nel contratto di cessione di crediti di impresa è possibile ravvisare aspetti della causa di finanziamento quando, come avviene nella prassi commerciale, il factor anticipa le somme, previa deduzione di spese e interessi convenzionali, da corrispondere sulla base del periodo che intercorre tra anticipazione e scadenza del credito[6]. Quando poi il cedente si limita a garantire l’esistenza del credito (cessione pro soluto), si ravvisa talvolta anche una funzione assicurativa del credito; in questa ipotesi il cessionario assume infatti il rischio dell’insolvenza del debitore. Ancora, si è osservato come il fatto che il factor, in quanto titolare dei crediti, si occupi dell’attività di riscossione evidenzia una causa concreta di semplificazione e razionalizzazione del settore, presente in ogni impresa, del recupero dei crediti[7].

L’ampio dibattito che si è sviluppato sul tema della causa del contratto di factoring incide però soltanto su aspetti marginali della disciplina, non attinenti alla cessione dei crediti. La disciplina applicabile alle operazioni di cessione rimane, come accennato prima, quella degli art. 1260 ss. cc., integrata dalla l. 52/1992. È possibile infatti affermare che la cessione del credito sia un negozio di alienazione che si caratterizza per la particolarità dell’oggetto (il credito), potendo inserirsi negli schemi causali più vari[8].

Per quanto di interesse nel presente lavoro, occorre evidenziare che la l. 52/1991 ha inciso sotto il profilo della determinatezza dell’oggetto del negozio di alienazione del credito. In applicazione della disciplina generale in materia di contratti, è necessario anche negli atti di alienazioni del credito che quest’ultimo sia determinato o determinabile (art. 1346 cc.); l’art. 1348 prevede poi espressamente la possibilità che formi oggetto del contratto la prestazione di cose future. In applicazione di queste regole, la giurisprudenza era giunta ad ammettere la possibilità di realizzare un negozio di cessione di credito futuro, ove questo fosse determinabile in relazione ad uno specifico rapporto[9], nonché di cedere un credito semplicemente sperato[10]. La disciplina sulla cessione dei crediti d’impresa ha precisato che possono formare oggetto di cessione crediti futuri derivanti da contratti non ancora stipulati. La cessione può poi avere ad oggetto crediti futuri in massa, a patto che rientrino nella cessione crediti che sorgeranno entro i 24 mesi dalla stipula del contratto; il co. 4 dell’art. 3 l. 52/1992 precisa poi che, in caso di cessione di crediti futuri, l’oggetto si considera determinato quando sia indicata la persona del debitore. Queste regole ampliative dei confini della determinatezza dell’oggetto della cessione del credito si applicano soltanto ove ricorrano i requisiti oggettivi e soggettivi indicati dall’art. 1 della l. 52/1991.

Il regime delle eccezioni opponibili e ratio della disciplina

Va adesso analizzata la disciplina dei rapporti tra debitore ceduto e cessionario. L’art. 1264 co. 1 cc. stabilisce che la cessione del credito è efficace nei confronti del debitore quando questi l’abbia accettata o abbia ricevuto la notificazione. L’interpretazione maggioritaria della disposizione citata conclude nel senso che la notificazione o l’accettazione (alle quali il co. 2 dell’art. 1264 cc. equipara la prova, fornita dal cessionario, della conoscenza della cessione da parte del debitore), rilevino nel senso di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento effettuato dal debitore nei confronti del cedente[11]. Il negozio di trasferimento è pertanto bilaterale[12]; la volontà del debitore non rileva in alcun modo, come precisa l’art. 1260 cc. (“il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale”), sicché questi rimane estraneo al negozio. Dall’estraneità del debitore al negozio di cessione del credito si desume la regola, ribadita dalla sentenza in epigrafe, per cui tale atto dispositivo non può pregiudicare la posizione del debitore ceduto, in ossequio al principio della relatività degli effetti contrattuali (art. 1372 co. 2 cc., per cui per i terzi il contratto è res inter alios acta, che neque nocet neque prodest; corollario di tale principio è perciò quello dell’intangibilità della sfera patrimoniale dei soggetti in assenza di consenso). Gli unici effetti che la cessione del credito può produrre nei confronti del debitore sono quelli esterni, consistenti nell’impossibilità di liberarsi pagando nelle mani del cedente[13].

Da un’interpretazione sistematica[14] deriva la disciplina in materia di eccezioni opponibili dal debitore ceduto al cessionario. Il debitore ceduto non può opporre al cessionario le eccezioni personali che avrebbe potuto opporre al cedente, ma può opporre tutte le eccezioni di carattere oggettivo fondate sul titolo o sul rapporto. Ai fini dell’opponibilità queste ultime devono però essere basate su fatti anteriori alla conoscenza della cessione del debitore ceduto. Di conseguenza non saranno opponibili tutte le eccezioni fondate su fatti estintivi o modificativi del credito successivi alla conoscenza.

La sentenza in commento ribadisce che tale regola è posta a tutela delle ragioni del cessionario, che non può vedere modificata in pejus la propria posizione creditoria per effetto di un accordo intercorso tra debitore e cedente (ad es. una transazione tra cedente e debitore ceduto che, fra le concessioni del primo in favore del secondo, preveda la remissione del debito). Anche tale disciplina è pertanto espressione del principio di relatività degli effetti contrattuali.

La giurisprudenza, tenendo conto della ratio di tale disciplina, nonché dell’esigenza di tutela della posizione del debitore pregiudicato dall’impossibilità di eccepire fatti estintivi o modificativi sorti successivamente alla notificazione della cessione, ha individuato un’eccezione a tale regola. La giurisprudenza di legittimità ha infatti precisato che il debitore ceduto può opporre al cessionario non soltanto le eccezioni fondate sulla fonte negoziale del credito, ma anche quelle relative a fatti posteriori alla nascita del rapporto obbligatorio non conosciuti dal ceduto[15]. In quell’ipotesi il fatto estintivo dedotto in via di eccezione era successivo alla, ma la Corte di Cassazione aveva ritenuto la sua opponibilità al factor, sul presupposto dell’ignoranza scusabile del ceduto.

Le peculiarità del caso esaminato dalla pronuncia e riflessioni conclusive

Delineata sommariamente la disciplina in materia di eccezioni opponibili dal ceduto al cessionario, è possibile adesso procedere ad una breve riflessione suscitata dalla peculiarità del caso all’attenzione della Corte.

La ratio della regola dell’inopponibilità al cessionario di fatti estintivi o modificativi successivi alla notificazione della cessione al debitore è stata individuata nella tutela delle ragioni del cessionario, che non può vedersi pregiudicato da accordi tra debitore e cedente rispetto ai quali egli rimanga terzo.

Con pari enfasi si enuncia l’altra regola generale in materia di cessione del credito, che consiste nell’impossibilità che l’atto di trasferimento del credito pregiudichi il debitore ceduto. La cessione è infatti un fatto meramente traslativo del credito, che produce soltanto una modificazione dal lato attivo del rapporto obbligatorio, inidoneo a produrre una modificazione oggettiva[16].

Entrambe le regole risultano, in ultima analisi, un’applicazione del principio della relatività degli effetti contrattuali.

Il caso oggetto della pronuncia in commento ha posto un problema di bilanciamento tra le due regole appena enunciate. Un simile problema di solito non si pone, in quanto la prima attiene ad accordi tra ceduto e cedente volti proprio a pregiudicare la posizione del cessionario, rispetto ai quali evidentemente le ragioni di tutela del debitore non possono avere ingresso.

L’inopponibilità dell’eccezione di estinzione del credito fondata sulla delibera comunale ha cagionato un pregiudizio per la posizione del ceduto, che però non può dirsi giustificato dal fatto che lo stesso ceduto vi abbia in qualche modo dato corso. Il fatto estintivo del credito era infatti imputabile al cedente e a un soggetto terzo, il Comune; rispetto ad esso, pertanto, il debitore era totalmente estraneo.

In questo giudizio di bilanciamento, che ha visto soccombere la regola del divieto di pregiudizio per il debitore ceduto, si sarebbe potuto forse tenere conto di due elementi, forse non adeguatamente valorizzati dalla Corte[17].

In primo luogo, come la difesa del ricorrente aveva esposto, il fatto estintivo del credito trovava la sua fonte nel contratto da cui sorgeva il credito. Al riguardo, se è certamente vero che la cessione del credito è atto meramente traslativo inidoneo a provocare modificazioni oggettive del rapporto, è anche vero che il credito di cui la cessionaria si è resa acquirente era determinato in relazione a fatti successivi .L’art. 5 del regolamento contrattuale determinava il compenso per l’impresa appaltatrice, e dunque il credito, ossia l’oggetto della cessione, per relationem, facendo riferimento all’entità dei finanziamenti erogati dal Comune alla Diocesi. Di conseguenza, tali fatti non potrebbero dirsi attinenti esclusivamente al rapporto cedente- ceduto, ma avrebbero potuto considerarsi anch’essi inerenti al credito e, pertanto, trasferiti insieme a questo nella sfera del cessionario. Pertanto, le eccezioni fondate su questi fatti avrebbero potuto considerarsi opponibili al factor.

Potrebbe, ancora, affermarsi che la determinazione Comunale non fosse un vero e proprio fatto estintivo successivo, ma soltanto un fatto riconducibile al regolamento iniziale, meramente specificativo rispetto a quest’ultimo. Poteva non trattarsi, in altri termini, di un fatto autonomo interamente avvenuto in epoca successiva alla notificazione, ma soltanto di un “completamento” del negozio, mera appendice di questo, come tale non interamente avvenuto successivamente alla notificazione.

In secondo luogo, si sarebbe forse potuta attribuire maggiore rilevanza alla circostanza della conoscenza, da parte del factor, della modalità di determinazione del credito. Sotto tale profilo, non può dirsi che la società cessionaria fosse realmente estranea al fatto estintivo. Di conseguenza, sarebbe venuta meno l’esigenza di tutela del cessionario, che si fonda sull’estraneità di quest’ultimo rispetto ad accordi potenzialmente pregiudizievoli della sua posizione.


[1] GAZZONI, Manuale di diritto privato, p. 1319, ESI, 2015; in giurisprudenza vd. Cass. n. 10004 del 24.6.03, CED 564504; Cass. n. 2746 del 8.02.07, CED 596387

[2] Per diversa impostazione, vd. DE NOVA, Digesto delle discipline privatistiche, V, 354

[3] In dottrina si registra un ampio dibattito sulla natura giuridica che assume la convenzione di factoring in questo secondo schema negoziale. Per taluni, essa si configurerebbe quale preliminare unilaterale, sul presupposto che, di regola, l’obbligo di offrire i crediti maturati sorge esclusivamente in capo al cedente, mentre il cessionario non è tenuto ad accettare: FRIGNANI, Trattato di diritto privato, 11, 3, 25, dir. da Rescigno. Secondo altri, in tali ipotesi ricorrerebbe la figura del contratto normativo (o, rectius, accordo normativo): il contratto di factoring sarebbe infatti volto a disciplinare i successivi eventuali contratti fra le parti: ZUDDAS, Il contratto di factoring, 1983, 191.

[4] Di conseguenza, il contratto di factoring che segua questo modello è assimilabile al genus dei contratti ad effetti obbligatori.

[5] ZUDDAS, Il contratto di factoring, 1983, p. 189

[6] È quanto avviene nello sconto bancario ex art. 1858 cc., che assolve pacificamente ad una funzione creditizia.

[7] LIBONATI, Rivista di diritto civile commerciale, 81, I, 317

[8] BIANCA, Diritto civile, vol. IV, 1993 rist., Giuffré, rist. 2015, p. 586

[9] Cass. n. 2798, del 5.06.78, CED 392222

[10] Cass. n. 4040 del 11.05.90, CED 467062

[11] BIANCA, op. cit., p. 583; DOLMETTA, Cessione del credto, in Dig. Disc. Priv., UTET, 1988; in giurisprudenza, Cass. n. 2243 del 2.06.77, CED 385967; contra, GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1959, 353

[12] Cass. n. 22280 del 2.11.10, CED 614335

[13] GALGANO- VISINTINI, Effetti del contratto, rappresentanza, contratto per persona da nominare, in Comm. Sialoja- Branca, Zanichelli, 1993, p. 32

[14] Decisiva viene ritenuta la disposizione contenuta nell’art. 25 l. camb., secondo la quale il cessionario resta soggetto alle eccezioni opponibili al cedente PAVONE LA ROSA, La cambiale, in Tratt. Cicu e Messineo, Milano, 1982

[15] Cass. 14225 del 28.7.04, CED 576125

[16] DOLMETTA, op. cit., p. 322

[17] Non si prende in considerazione l’ipotesi di considerare la determinazione del Comune quale causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile al debitore, poiché questa tesi si scontrerebbe con un argomento decisivo. L’obbligazione della Diocesi nei confronti del factor era un’obbligazione pecuniaria: secondo la dottrina dominante, le obbligazioni pecuniario sono una species del genus delle obbligazioni di genere, rispetto alle quali è impossibile ipotizzare un’impossibilità sopravvenuta, in ossequio al brocardo genus numquam perit


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