Il contratto di somministrazione telefonica e i servizi a sovrapprezzo

Il contratto di somministrazione telefonica e i servizi a sovrapprezzo

Sommario: 1. Contratti di telefonia, servizi base e servizi a sovrapprezzo – 2. Il rapporto contrattuale tra Provider ed utente – 3. Rimedi delle compagnie telefoniche e risvolti processuali

 

1. Contratti di telefonia, servizi base e servizi a sovrapprezzo

Oggigiorno, chi non ha un cellulare? Probabilmente nessuno.

Gli smartphone sono ormai diventati parte integrante della nostra quotidianità. Tutti con il bisogno di condividere sui principali social network le peripezie della giornata; tutti con la fortuna di poter effettuare una ricerca lampo su internet alla fermata dell’autobus; tutti con la possibilità di mettersi in contatto con persone lontane e sentirle come fossero vicine.

Pur tuttavia, per essere in grado di compiere tali azioni, vi è necessità di stipulare un contratto con uno dei tanti operatori telefonici oggi presenti sul mercato.

Che si tratti di una ricaricabile o di un abbonamento, tutti paghiamo un prezzo per la corresponsione di un servizio base che ricomprenda, a mero titolo esemplificativo, chiamate, sms, connessione internet.

Si rientra perfettamente nello schema sinallagmatico previsto dall’art. 1559 cod. civ. in virtù del quale “La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose”.

Le compagnie, quindi, si impegnano a fornire servizi base, ossia quelli tradizionali di telefonia e di accesso a internet, che costituiscono oggetto dell’obbligo contrattuale principale dell’operatore telefonico, e servizi supplementari (cd. a sovrapprezzo) oggetto, quindi, di pagamenti aggiuntivi, che nella maggioranza dei casi coinvolgono altri soggetti diversi dall’operatore che detiene il contratto principale con l’utente, collegati contrattualmente a quest’ultimo in catene del valore spesso complesse.

Invero, nella prassi accade sovente che l’utente, nell’intento di navigare in internet con il proprio smartphone, richieda l’attivazione di servizi aggiuntivi accedendo ad un banner pubblicitario con adesione ad una forma di abbonamento, oppure, nell’intento di chiudere una finestra di pop-up, sottoscriva servizi ulteriori a quelli base; può accadere, ancora, di ricevere sms di vario genere, con contenuti a pagamento.

Il caso pratico è quello dell’utente che durante la navigazione clicchi, più o meno volontariamente, su un’icona che in automatico addebita il costo per il servizio più o meno richiesto (ad esempio una suoneria, un’immagine o l’oroscopo settimanale).

Di qui la problematica principale del tema: come distinguere i casi in cui il servizio a sovrapprezzo sia richiesto coscientemente dall’utente da quelli in cui l’attivazione si realizzi per mero errore di digitazione?

2. Il rapporto contrattuale tra Provider ed utente

Per tali servizi, qualificabili anche come premium, l’addebito che viene effettuato sul conto dell’utente è generato da processi in massima parte non controllati direttamente dall’operatore telefonico, ma delegati a terze parti.

In particolare occorre prevedere che, in caso di acquisto di contenuti digitali o servizi a sovrapprezzo tramite rete dati mobile (ovvero tramite cellulare), l’operatore non possa addebitare il relativo costo sul conto telefonico del cliente se il fornitore del servizio non ha acquisito l’esplicito consenso da parte dell’utente in ordine a tale modalità di addebito ed in particolare tramite l’inserimento del proprio numero di utenza mobile al momento dell’acquisto.[1]

Parte della giurisprudenza di merito ritiene, invero, che non sussista alcuna responsabilità dell’operatore telefonico con riguardo all’attivazione dei predetti servizi, atteso che l’attivazione stessa non è stata eseguita dalla compagnia ma da soggetti terzi proprietari (definiti Providers) delle pagine web che l’istante ha visitato nell’utilizzo del proprio terminale sussistendo, pertanto, un vero e proprio difetto di legittimazione passiva nell’attivazione dei servizi e circa la domanda di disattivazione.[2]

D’altronde, il Codice di Autoregolamentazione Servizi Premium (CASP) richiede che il cliente debba “cliccare” sul tasto di attivazione presente nella pagina di acquisto, confermando la piena ed inequivocabile consapevolezza e volontarietà nella sottoscrizione del servizio. Il rapporto contrattuale sorgerebbe, quindi, tra la società che fornisce lo specifico servizio attivato ed il cliente stesso, nel momento di adesione al servizio offerto, con totale estraneità dell’operatore telefonico a tale rapporto.

3. Rimedi delle compagnie telefoniche e risvolti processuali

Fermo restando che la compagnia telefonica non può in alcun modo inibire l’accesso e la fruizione della piattaforma commerciale che resta dipendente da chi ha in uso il terminale, anche quando concesso a terzi dal proprietario dello stesso o nei casi di utilizzo non autorizzato, per ovviare ai problemi con i servizi a sovrapprezzo l’utente può richiedere al proprio gestore l’attivazione del barring.

Si tratta di un servizio che blocca gli sms a pagamento, impedendone la relativa attivazione ed il successivo addebito sul conto telefonico.

Tuttavia, sovente accade che le aule di giustizia vengano intasate da lunghi procedimenti volti all’accertamento della corresponsione indebita di somme relative proprio all’attivazione dei servizi de quo.

L’utente cita in giudizio l’operatore telefonico chiedendo, il più delle volte, la mera restituzione degli importi addebitati poiché a suo dire riguardanti abbonamenti non richiesti.

Da un lato, il consumatore si sente forte e legittimato, nelle pretese, dall’AGCOM. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni prevede, infatti, che “nelle ipotesi di attivazione di servizi non richiesti, fatto salvo il diritto degli utenti ad ottenere lo storno o il ricalcolo degli addebiti fatturati, gli operatori sono tenuti a corrispondere un indennizzo […]”.[3]

Fatto salvo, appunto, che si dimostri di non aver richiesto il servizio.

Dall’altro, come già sottolineato, gli operatori telefonici si fanno forti di sempre più numerose pronunce di merito[4], sebbene non a carattere unitario, alla luce delle quali spetta al consumatore finale fornire la prova della mancata adesione al contratto di fornitura del servizio a sovrapprezzo e/o del mancato consenso all’attivazione dell’abbonamento premium sussistendo, ogni qual volta tale probatio diabolica non sia soddisfatta, un difetto di legittimazione passiva delle compagnie convenute.

Fatto sta che ad oggi le compagnie telefoniche si stanno muovendo per l’attivazione del cd. blocco di default, proprio al fine di evitare l’addebito non richiesto dei servizi aggiuntivi. In altre parole: quando il consumatore acquista la sim mobile identificata da una data numerazione, questa in automatico risulta bloccata impedendo l’attivazione dei servizi aggiuntivi. Fatto salvo che sarà possibile richiedere la disattivazione del blocco, in qualunque momento e gratuitamente, anche dopo la sua attivazione, contattando semplicemente il Servizio Clienti.

Per converso, per riattivare i servizi a sovrapprezzo, dopo aver rimosso il blocco, l’utente dovrà: andare nella pagina dell’operatore dedicata; inserire manualmente il proprio numero di cellulare; inserire una password temporanea, definita OTP (One Time Password), di almeno cinque cifre; cliccare, infine, sul tasto di conferma.

In altre parole, la predetta procedura sarà segno di una attivazione volontaria per la quale l’utente ha manifestato il proprio inequivocabile consenso.

Va da sé, d’altro canto, che un utilizzo maggiormente corretto del terminale ed una condotta più responsabilizzata da parte dell’utente (che ad esempio si impegna al fine di evitare di cliccare sui banner pubblicitari, di monitorare il credito costantemente e di contattare l’operatore per richiedere la disattivazione del servizio ogni qual volta questo non sia volontariamente richiesto), sortirebbe un effetto deflattivo del contenzioso, alleggerendo l’enorme macchina della giustizia.

 

 

 

 


[1] Cfr. Delibera AGCOM n. 23/2015, art. 4 controllo dell’utente sul portafoglio mobile.
[2] Cfr. Giudice di Pace di Todi, sentenza n. 22/2019. Nel caso di specie si escludeva la responsabilità dell’operatore telefonico in merito all’addebito dei servizi a sovrapprezzo in quanto attivati da un provider esterno alla società telefonica che assumeva la qualità di possessore dei servizi.
[3] Cfr. Allegato A alla Delibera AGCOM n. 73/11/CONS.
[4] Cfr., ex multis, Giudice di Pace di Roma, sentenza n. 28756/2018; Giudice di Pace di Napoli, sentenza n. 42338/2018.

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